Irwin ha testato le sue ipotesi con simulazioni al computer di modelli demografici ed esplorativi, e ha navigato lui stesso.
Ne ha dedotto che anziché sottovento in modo casuale, i Lapita si fossero mossi controvento alla ricerca dell’ignoto, senza alcuna conoscenza preliminare della geografia del Pacifico. In tal modo erano sicuri di far ritorno verso ovest col favore dei venti, qualora necessario. Andarono avanti, comunque, sempre più a est e a sud. Via via i loro metodi di navigazione progredirono, tanto che nelle Marshall idearono delle “carte nautiche”con bastoncini e conchiglie, a segnalare le correnti e le isole. Ma da dove venivano? Pare che fra cinquantamila e trentamila anni fa, nel corso dell’ultima era glaciale, gruppi di Homo sapiens avessero abbandonato le coste dell’Asia sudorientale. Erano partiti da quella che allora costituiva una piattaforma continentale - nota come Sunda e comprendente l’attuale Indonesia e le Filippine -, per navigare verso un’altra grande massa terrestre - Sahul - che incorporava i territori oggi corrispondenti ad Australia, Tasmania, Nuova Guinea, Nuova Britannia, Nuova Irlanda. Non è rimasta traccia materiale di questa più remota fase della civiltà oceaniana, ma pare che tali abili navigatori avessero attraversato la linea di Wallace, canale di acque profonde fra Sunda e Sahul, con imbarcazioni di bambù o corteccia. Le coste di Sahul, dove dovevano trovarsi i primi insediamenti, sono sommerse all’incirca dal 16.000 a.C., quando il riscaldamento climatico determinò l’attuale conformazione dell’Oceania, separando via via le terre in miriadi di isole. Un nuovo flusso di migrazioni sarebbe avvenuto verso il 2500 a.C. I dati sul clima ricavati dai coralli a crescita lenta e dai sedimenti di laghi alpini in America del Sud spiegano questa seconda ondata di navigatori: un’etnia austronesiana avrebbe lasciato Taiwan per popolare le ormai conformate isole Filippine e l’Indonesia, poi verso sudest le coste di Nuova Guinea e l’arcipelago Bismarck. Resta il fatto che alcune zone di Papua Nuova Guinea e delle isole a nord di questa erano abitate da popoli evoluti almeno tremilacinquecento anni fa. Lo testimonia il più sbalorditivo frammento superstite (circa 1500 a.C.), la cosiddetta Pietra di Ambum.
La figura zoomorfa, alta 19,8 centimetri, scolpita in una roccia magmatica, testimonia un alto livello di levigazione della pietra e uno spiccato senso naturalistico.
Fu rinvenuta negli altipiani occidentali di Papua Nuova Guinea, fra i fiumi Ambum e Lai, nel territorio degli Yambu della regione Mae-Enga. Forse raffigura un armadillo o l’embrione di un’echidna dal lungo becco. La lunga curva e la forma della testa somigliano al mammifero della famiglia dei monotremi, che mangia formiche ed è oviparo. Che ruolo aveva quest’oggetto? Era legato a riti di fertilità? O era usato come pestello da mortaio? Altri mortai e pestelli trovati in Papua Nuova Guinea appaiono modellati in forma di uccelli, uomini e altri animali. Qualunque fosse la sua funzione, chi lo scolpì, in termini moderni, merita il nostro appellativo di “artista”, anche se questo termine, come si vedrà, non esiste nelle lingue polinesiane. Di fronte alla scultura di Ambum si rimane affascinati dall’accucciarsi di questo animaletto, piegato in avanti (sta deponendo le uova? È appena uscito dal guscio?) e da quegli occhi spalancati, fra il curioso e lo spaventato.
Lasciamo adesso Papua Nuova Guinea. Secondo Irwin la vera avventura dei predecessori degli islanders del Pacifico avvenne a tutti gli effetti solo dopo essersi spinti oltre, fino all’estremità orientale delle Salomone. Quello era stato solo l’inizio di un lunghissimo peregrinare nell’oceano. Finiva lì, per loro, il mondo conosciuto.
Cosa c’era oltre? Attorno al 1300 a.C. (data approssimativa), per almeno centotrenta miglia nautiche i Lapita dovettero dunque cominciare a navigare verso est, in senso contrario agli alisei, senza terra in vista.
Lasciate alle spalle le Salomone, approdarono dopo trecento miglia alle Santa Cruz. Verso il 1200 a.C. raggiunsero le Vanuatu, e subito dopo le Fiji.
Si spostarono poi verso le Samoa a nordest e le Tonga a sudest, infine raggiunsero le Cook, per poi dirigersi più a oriente, verso le isole della Società, le Tuamotu, le Marchesi, e all’estremo sud la Nuova Zelanda, fino a Rapa Nui a est e le Hawaii a nord. Entro il 1000 d.C. pare fossero sbarcati anche in America del Sud.
Ricordiamo ancora cosa annotò il capitano Cook, quando raggiunse Rapa Nui nel marzo del 1774: «È straordinario che la stessa Nazione, con le stesse lingue e costumi, si sia propagata su tutte le isole di questo vasto oceano, quasi una quarta parte della circonferenza del globo, dalla Nuova Zelanda a quest’isola». In Nuova Zelanda il termine māori (ma‘o‘i in tahitiano) significa “normale” “autoctono”, “indigeno”. Fu dunque all’incirca fra il 1300 a.C. e il 1000 d.C. che questi popoli diventarono “autoctoni”, e si distinsero nelle lingue, comunque simili fra loro perché sviluppate da un medesimo ceppo austronesiano, tranne quelle parlate in Papua Nuova Guinea.