A CIMENTO CON L’ARTE SACRA:IL MOSAICO ROMANO

Uno degli esempi più importanti di arte sacra di tutto l’Ottocento è costituito dall’ampia decorazione musiva realizzata da Burne-Jones a Roma nella chiesa anglicana di San Paolo entro le Mura in via Nazionale.

Nel 1881 l’artista è chiamato a progettare il mosaico per l’interno dell’edificio costruito dall’architetto inglese George E. Street, con la collaborazione dell’archeologo Rodolfo Lanciani. Entusiasta, immagina di ricoprire di mosaici tutta la superficie dell’aula sacra, sogna grandi dimensioni, grandi spazi da dedicare a folle numerose e plaudenti. Il revival delle arti decorative coincide con il nascere di dottrine democratiche, ed è comune agli artisti dell’epoca l’aspirazione a realizzare opere monumentali. 

Il ricordo dei viaggi in Italia, le antiche emozioni di fronte ai mosaici di Venezia, di Torcello, di Ravenna, il tirannico amore per l’arte del passato, guidano l’artista nell’impresa, che confessa di compiere nel segno di molti antichi amori, «dall’arte ai misteri dei sette impenetrabili secoli del Medioevo, ai contenuti religiosi, dal Talmud all’Aquinate». 

Nonostante le premesse, l’opera che consta della decorazione dell’abside e di due archi a essa antistanti, ha tempi di esecuzione lunghi e tormentati. Incompiuta alla morte dell’artista, è portata a termine da Thomas M. Rooke, l’allievo che si è occupato di seguire la traduzione dei progetti in mosaico, vivente il maestro. 

La parte superiore dell’abside è inaugurata nel 1885, i due archi dell’abside e del coro vedono la luce nel 1894, mentre la parte inferiore, realizzata postuma, è inaugurata nel 1907. 

Visti i pressanti impegni di lavoro, Burne- Jones non riesce a recarsi a Roma per vedere la chiesa, né a Venezia dove sono eseguiti i mosaici. Ciò genera fraintendimenti e discussioni, che pesano sull’andamento del lavoro. All’epoca l’artista trascorre le mattine della domenica nello studio attiguo al giardino della bella casa di La Grange, a Fulham (Londra) - già appartenuta al romanziere Samuel Richardson - insieme a William Morris. I Morris e i Burne-Jones fanno colazione insieme.


L’Annunciazione (1894); Roma, San Paolo entro le Mura.


Cristo in trono (1885), particolare; Roma, San Paolo entro le Mura.

Lontana l’intricata vicenda sentimentale che ha legato le due coppie a Rossetti, i due amici tornano alle antiche letture: La morte di Artù di Malory, Chaucer, l’Eneide, o assortiscono i colori per il mosaico, facendo doppie liste dei numeri apposti sulle tessere, studiando, per contrassegnare i colori, un cifrario da comunicare agli esecutori a Venezia. Indicazioni che non sempre sortiscono l’effetto sperato, ma dopo discussioni, revisioni e aggiustamenti, pian piano si concreta l’immagine del mosaico corrispondente all’idea dell’artista, intellegibile a grande distanza, le ali degli angeli ombreggiate d’oro e distinte l’una dall’altra, i capelli scuri, i volti dolcemente pallidi, le sopracciglia diritte, l’oscurità sotto le figure ferma e solenne, la gradazione dei colori delicata e morbida. 

Non è stato facile trasferire nel mosaico la pastosa morbidezza delle figure di Burne- Jones, ma i rapporti con Venezia si placano, l’artista trascrive pazientemente una minuta serie di dettagli tecnici e alla fine si dichiara soddisfatto. 

Negli anni successivi continua a dedicare tensione creativa allo schema per la decorazione della parte inferiore dell’abside, che servirà poi di guida a Rooke. Inoltre un progetto per la parete est della chiesa, non realizzato, è trasformato in un affascinante dipinto, con La caduta di Lucifero. Una miriade di angeli guerrieri, in schiera fittissima e serpentinata, si snoda con angosciosa eleganza fra vessilli agitati e luccicare di elmi, giù da una porta ormai chiusa per sempre. 

Il rapporto del mosaico con la tradizione cui l’artista si ispira è fortemente mediato: apporti stilistici e prestiti iconografici, come per esempio il Cristo in maestà scelto quale punto focale dell’abside, vengono assunti come schema guida per una reinvenzione immaginifica del mondo bizantino. Evocazione nutrita dei contenuti di una cultura composita e dell’estenuazione di una sensibilità ormai lontana da quelle fonti. 

La solitudine desertica dell’Annunciazione, le cui figure sembrano esprimere un senso dell’irreparabile, la sinuosa linea - dal “cloison” al groviglio rabescato - dell’Albero della vita, l’androgina ambiguità della figura di Cristo, per il quale pare avesse posato una donna, insieme alle figure degli Angeli della Gerusalemme celeste, appartengono, pure composte in strutture bizantineggianti, a un clima simbolista.


L’albero della vita (1894); Roma, San Paolo entro le Mura.

L’artista opera sullo stile con l’occhio del suo tempo, fa circolare la cultura del passato in una situazione che fa avvertire la presenza dl un mondo diverso. 

L’evidente effetto di rottura rispetto alla tradizione dello stile si è verificato in parte già dalla fine del Settecento, quando Flaxman, Füssli e Blake hanno cominciato a citare Michelangelo, i manieristi e anche i “primitivi”. Inoltre, secondo un atteggiamento comune a tutta la cultura decadente, Burne-Jones attribuisce all’arte un significato totalizzante. Fin da ragazzo, allievo con Morris dell’Exeter College di Oxford, ha coltivato una interpretazione estetizzante della sua religiosità, mutando un’adolescenziale vocazione religiosa nella vocazione artistica, trasferendo in essa tutta la tensione morale legata alla fede. L’etica cristiana, per Burne- Jones, come per Morris, è fin dall’inizio legata all’arte, spirito moralistico e coscienza sociale, cui non è estraneo l’influsso di Ruskin, informano la loro poetica. Gradualmente, mentre Morris si dedica all’arte decorativa e diviene, insieme a Ruskin, socialista nel 1880, Burne-Jones si orienta sempre più verso regioni estetiche e visionarie. La creazione artistica diventa esperienza religiosa, l’arte ha il potere di portare Dio nel mondo, è dotata di un senso di assoluto “metafisico”. 

Se la parte inferiore dell’abside, realizzata postuma, pesa per effetti minuti e dispersivi, per l’irrigidirsi di schemi cari a Burne-Jones, come lo snodarsi del corteo delle vergini in uno spazio delimitato e tortuoso, o la parata del gruppo dei cavalieri risultata eccessivamente ridondante, la qualità torna a manifestarsi non appena si posi lo sguardo sulla calotta dell’abside, a individuare l’immagine del Cristo in un’acquorea veste bianca, alonata da testine angeliche, immerse in masse di ali di colore rosso, indaco e viola. O allorché ci si soffermi lungo i bastioni della Gerusalemme celeste sugli angeli che incombono fra le strette aperture delle porte e il tessuto aureo delle mura, mentre sotto i loro piedi trascorre la base di diaspro e onice lambita dalle acque. Si ritrova quel clima di eleganza e segreto, sapienza e inquietudine di simboli, che reinventano un’intera tradizione formale. 

Valga, su tutte, la figura dell’arcangelo Michele, l’arcangelo del Giudizio, il cui morbido atteggiamento è quello di chi è destinato a eliminare un male che pure lo attrae. Figura di stampo botticelliano, la testa efebica poggiata su un corpo disegnato in ogni dettaglio, in un insieme di linee duttili, che si propagano alla corazza, agli schinieri, al drappo fluente. 

Accanto a Cristo, immediatamente sulla destra si nota una porta vuota, il cui nero sfonda nel nulla, è la porta già destinata a Lucifero. L’idea pare derivata da un particolare della decorazione con i ritratti dei dogi nella Sala del Maggior consiglio in Palazzo ducale a Venezia. La presenza di un’area nera sostituisce il ritratto di Marin Faliero, il doge accusato di tradimento e giustiziato. Simbolo preciso eppure ricco di suggestione oscura. 

A un clima simbolista si collega oltre al fascino che promana dalle figure di Cristo e degli angeli anche il ricorso a elementi simbolici, sia collegabili all’iconografia religiosa, sia più arbitrari e connessi a essa in modo anomalo. 

L’Annunciazione, impostata sul vuoto, i due personaggi avulsi da qualsiasi connotazione ambientale, propone un’iconografia atipica. La presenza di Cristo vi è segnalata in più modi: è l’acqua, fattore magico di rinascita, che sgorga in forma di ruscello dalla montagna, è la montagna che congiunge in un mistico abbraccio cielo e terra, è il pellicano, che secondo la tradizione popolare si apre il petto per nutrire con il suo sangue i piccoli. Quel pellicano, simbolo anche della “materia umida”, che scompare per effetto del calore solare e rinasce d’inverno, è considerata nel Medioevo, al pari della fenice, come figura della resurrezione di Lazzaro e quindi di Cristo. 

L’albero della vita, rappresentato sul secondo arcone obbedisce, anche come collocazione, a una radice simbolica: entrando in chiesa non lo si vede, il mistero della sofferenza di Cristo si svela soltanto quando ci si avvicina all’altare. Cristo crocifisso all’albero della vita è iconografia di origine medievale, ma il rapporto albero-croce è ancora più antico, l’albero è simbolo precristiano con significato di vita. Al posto dei testimoni storici della Crocifissione sono Adamo ed Eva in un Paradiso terrestre ricco di alberi e messi, l’ulivo, il gelso, il ciuffo di cardi su cui fiorisce il giglio, il mannello del grano e, al centro, l’albero, che dai tempi precristiani simboleggia la dea madre, sorgente inesauribile della Creazione. Un Cristo michelangiolesco trionfa sulla sofferenza, in accordo con l’iconografia prevalente nel protestantesimo americano, che non adotta mai l’immagine del “Christus patiens”. 

A questa parte del lavoro Burne-Jones dedica fatica e amore, la considera un’architettura e una ”cosa mistica”. 

«Mi piace lavorare incatenato e sto meglio in prigione che all’aria aperta», afferma, alludendo alle severe limitazioni del mezzo, ai condizionamenti tecnici, all’uso dei simboli. È felice che la grande opera sia destinata a Roma, posta in alto e destinata a durare per sempre. 

Nella parte absidale, ispirata all’Apocalisse di san Giovanni, Cristo in trono, che regge nel cavo della mano la terra con il sole e la luna ai due lati, ai piedi l’arcobaleno e le quattro fonti, che indicano le quattro direzioni dello spazio, è l’“axis mundi”. 

L’arcobaleno è legato all’acqua e al suo potere fecondatore, elemento primordiale, la cui funzione è quella di generare e cancellare le forme, ritorno al tempo della Creazione. Dodici angeli separano le acque superiori da quelle inferiori, scoprendo il firmamento e dividendo la Gerusalemme celeste da quella terrena. La parte inferiore della composizione è un’esaltazione della Chiesa militante, e chiude l’evocazione del Medioevo cristiano, attuata dall’artista con occhio spaesante e moderno. 

Il mosaico ha avuto un importante influsso sulla cultura romana di fine secolo. Giulio Aristide Sartorio lo considerava quale segno della evoluzione del movimento preraffaellita, e additava, attraverso la personalità di Burne-Jones, «la via per un risorgimento delle appassionate forme italiane». Il mosaico diventa modello per le decorazioni dei monumenti della nuova Italia, improntate a una classicità venata di trepidazioni di gusto fra preraffaellita e michelangiolesco.


La caduta di Lucifero (1894).


Angeli della Gerusalemme celeste (1885); Roma, San Paolo entro le Mura.


Cristo in trono (1885); Roma, San Paolo entro le Mura.

BURNE-JONES
BURNE-JONES
Maria Teresa Benedetti
Un dossier dedicato a Edward Burne-Jones (Birmingham, 1833 - Londra 1898). In sommario: L'iniziazione: suggestioni autoctone e modelli italiani; L'arte italiana: una passione costante; I grandi cicli; Percorsi paralleli: pittura e decorazione; A cimento con l'arte sacra: il mosaico romano. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.