L’artista opera sullo stile con l’occhio del suo tempo, fa circolare la cultura del passato in una situazione che fa avvertire la presenza dl un mondo diverso.
L’evidente effetto di rottura rispetto alla tradizione dello stile si è verificato in parte già dalla fine del Settecento, quando Flaxman, Füssli e Blake hanno cominciato a citare Michelangelo, i manieristi e anche i “primitivi”. Inoltre, secondo un atteggiamento comune a tutta la cultura decadente, Burne-Jones attribuisce all’arte un significato totalizzante. Fin da ragazzo, allievo con Morris dell’Exeter College di Oxford, ha coltivato una interpretazione estetizzante della sua religiosità, mutando un’adolescenziale vocazione religiosa nella vocazione artistica, trasferendo in essa tutta la tensione morale legata alla fede. L’etica cristiana, per Burne- Jones, come per Morris, è fin dall’inizio legata all’arte, spirito moralistico e coscienza sociale, cui non è estraneo l’influsso di Ruskin, informano la loro poetica. Gradualmente, mentre Morris si dedica all’arte decorativa e diviene, insieme a Ruskin, socialista nel 1880, Burne-Jones si orienta sempre più verso regioni estetiche e visionarie. La creazione artistica diventa esperienza religiosa, l’arte ha il potere di portare Dio nel mondo, è dotata di un senso di assoluto “metafisico”.
Se la parte inferiore dell’abside, realizzata postuma, pesa per effetti minuti e dispersivi, per l’irrigidirsi di schemi cari a Burne-Jones, come lo snodarsi del corteo delle vergini in uno spazio delimitato e tortuoso, o la parata del gruppo dei cavalieri risultata eccessivamente ridondante, la qualità torna a manifestarsi non appena si posi lo sguardo sulla calotta dell’abside, a individuare l’immagine del Cristo in un’acquorea veste bianca, alonata da testine angeliche, immerse in masse di ali di colore rosso, indaco e viola. O allorché ci si soffermi lungo i bastioni della Gerusalemme celeste sugli angeli che incombono fra le strette aperture delle porte e il tessuto aureo delle mura, mentre sotto i loro piedi trascorre la base di diaspro e onice lambita dalle acque. Si ritrova quel clima di eleganza e segreto, sapienza e inquietudine di simboli, che reinventano un’intera tradizione formale.
Valga, su tutte, la figura dell’arcangelo Michele, l’arcangelo del Giudizio, il cui morbido atteggiamento è quello di chi è destinato a eliminare un male che pure lo attrae. Figura di stampo botticelliano, la testa efebica poggiata su un corpo disegnato in ogni dettaglio, in un insieme di linee duttili, che si propagano alla corazza, agli schinieri, al drappo fluente.
Accanto a Cristo, immediatamente sulla destra si nota una porta vuota, il cui nero sfonda nel nulla, è la porta già destinata a Lucifero. L’idea pare derivata da un particolare della decorazione con i ritratti dei dogi nella Sala del Maggior consiglio in Palazzo ducale a Venezia. La presenza di un’area nera sostituisce il ritratto di Marin Faliero, il doge accusato di tradimento e giustiziato. Simbolo preciso eppure ricco di suggestione oscura.
A un clima simbolista si collega oltre al fascino che promana dalle figure di Cristo e degli angeli anche il ricorso a elementi simbolici, sia collegabili all’iconografia religiosa, sia più arbitrari e connessi a essa in modo anomalo.
L’Annunciazione, impostata sul vuoto, i due personaggi avulsi da qualsiasi connotazione ambientale, propone un’iconografia atipica. La presenza di Cristo vi è segnalata in più modi: è l’acqua, fattore magico di rinascita, che sgorga in forma di ruscello dalla montagna, è la montagna che congiunge in un mistico abbraccio cielo e terra, è il pellicano, che secondo la tradizione popolare si apre il petto per nutrire con il suo sangue i piccoli. Quel pellicano, simbolo anche della “materia umida”, che scompare per effetto del calore solare e rinasce d’inverno, è considerata nel Medioevo, al pari della fenice, come figura della resurrezione di Lazzaro e quindi di Cristo.
L’albero della vita, rappresentato sul secondo arcone obbedisce, anche come collocazione, a una radice simbolica: entrando in chiesa non lo si vede, il mistero della sofferenza di Cristo si svela soltanto quando ci si avvicina all’altare. Cristo crocifisso all’albero della vita è iconografia di origine medievale, ma il rapporto albero-croce è ancora più antico, l’albero è simbolo precristiano con significato di vita. Al posto dei testimoni storici della Crocifissione sono Adamo ed Eva in un Paradiso terrestre ricco di alberi e messi, l’ulivo, il gelso, il ciuffo di cardi su cui fiorisce il giglio, il mannello del grano e, al centro, l’albero, che dai tempi precristiani simboleggia la dea madre, sorgente inesauribile della Creazione. Un Cristo michelangiolesco trionfa sulla sofferenza, in accordo con l’iconografia prevalente nel protestantesimo americano, che non adotta mai l’immagine del “Christus patiens”.
A questa parte del lavoro Burne-Jones dedica fatica e amore, la considera un’architettura e una ”cosa mistica”.
«Mi piace lavorare incatenato e sto meglio in prigione che all’aria aperta», afferma, alludendo alle severe limitazioni del mezzo, ai condizionamenti tecnici, all’uso dei simboli. È felice che la grande opera sia destinata a Roma, posta in alto e destinata a durare per sempre.
Nella parte absidale, ispirata all’Apocalisse di san Giovanni, Cristo in trono, che regge nel cavo della mano la terra con il sole e la luna ai due lati, ai piedi l’arcobaleno e le quattro fonti, che indicano le quattro direzioni dello spazio, è l’“axis mundi”.
L’arcobaleno è legato all’acqua e al suo potere fecondatore, elemento primordiale, la cui funzione è quella di generare e cancellare le forme, ritorno al tempo della Creazione. Dodici angeli separano le acque superiori da quelle inferiori, scoprendo il firmamento e dividendo la Gerusalemme celeste da quella terrena. La parte inferiore della composizione è un’esaltazione della Chiesa militante, e chiude l’evocazione del Medioevo cristiano, attuata dall’artista con occhio spaesante e moderno.
Il mosaico ha avuto un importante influsso sulla cultura romana di fine secolo. Giulio Aristide Sartorio lo considerava quale segno della evoluzione del movimento preraffaellita, e additava, attraverso la personalità di Burne-Jones, «la via per un risorgimento delle appassionate forme italiane». Il mosaico diventa modello per le decorazioni dei monumenti della nuova Italia, improntate a una classicità venata di trepidazioni di gusto fra preraffaellita e michelangiolesco.