IL TEMA DEL LAVORO
E LE SCENE DI INTERNI

Tutte le considerazioni che precedono trovano un decisivo punto d’appoggio nel caso poderoso costituito dalla pittura di Caillebotte, che per tanti versi si oppone al “monettismo” così come credevamo di doverlo registrare.

Intanto agisce in tal senso la data di nascita, quel 1848 che di fatto è molto tarda, basti pensare che un grande oppositore dell’impressionismo quale sarà Gauguin nasce proprio in quell’anno, pur facendo un’enorme fatica per sottrarsi alle maglie stringenti dell’allora dominante movimento, almeno a livello di sperimentazione. Del resto, proprio per questa nascita tarda Caillebotte “manca” la prima esposizione dell’impressionismo al suo nascere, nel 1874, troppo giovane per farne parte, ma si rifarà ampiamente partecipando a quasi tutte le manifestazioni seguenti. Un altro fattore di ostacolo stava perfino nella sua solida fortuna, ereditata dal padre assieme al carissimo fratello Martial, appena un po’ più giovane di lui. Queste loro consistenti finanze li facevano apparire quasi come dei dilettanti, anche per la generosità con cui assumevano le spese organizzative delle rassegne collettive del gruppo. Si aggiunga che all’amore per l’arte, nel caso di Martial rivolta all’esercizio della fotografia, accostavano una quasi eguale passione per gli sport nautici, canottaggio, vela, regate, il che contribuiva a farli apparire come poco più che dei dilettanti. Se poi si viene a un confronto col polo vincente di Monet, a prima vista coglieremmo dei dati di un’apparente concordia. Monet era di scarso benessere economico, e per lunghi anni non riuscì certo a vendere i suoi dipinti così innovativi, toccò dunque all’amico Gustave sovvenzionarlo, anche mediante l’acquisto di opere che altri al momento non voleva. Anzi, il nostro Gustave, da amatore, da compagno di via ma un po’ ai margini, con l’aiuto del fratello fu un insistente, convinto compratore delle tele di quei colleghi maggiori negli anni, tanto che se in seguito le collezioni statali di Francia poterono contare su un consistente numero di tele uscite da quella prodigiosa officina, la cosa avvenne per merito dei due fratelli, ma anche a loro danno, contribuendo a dare, soprattutto a Gustave, appunto un sospetto di collateralismo, volto a compensare con coefficienti esterni un grado minore di qualità e di rigore sperimentale.

I piallatori di parquet (1875); Parigi, Musée d’Orsay.


Gustave Caillebotte fotografato dal fratello Martial nel 1892.

E invece non è così, in Caillebotte troviamo una perfetta antistrofe del “monettismo”, una contestazione radicale, tanto più convincente quanto più proveniente da chi ne appariva un seguace devoto e ossequiente. Possiamo entrare in cronaca diretta quando, nel 1875, non ancora trentenne, Caillebotte ci dà un primo capolavoro, che è anche un dipinto perfetto nel porre in tavola tutti i requisiti migliori della sua arte. Si tratta dei Piallatori di parquet, che rimedia a tutte le reticenze e difficoltà di Monet nel farsi cantore del lavoro umano, sentendosi indotto a far scivolare fuori dal suo repertorio una tematica del genere. Invece il pur giovane Gustave con questo dipinto, e le sue varianti, si erige a intrepido erede di Degas e di Manet, e forse ancor prima del grande padre comune del realismo, dell’altro Gustave, Courbet, col suo Spaccapietre. C’è però uno sviluppo interessante, in quanto la tela di Caillebotte di operai ne mette in scena ben tre, e oltretutto li pone ad agire in un interno di stanza, un tema non troppo amato dal suo predecessore, e del tutto evitato da Monet, che si sentiva soffocare nel chiuso delle abitazioni, preferendo portarsi il più presto possibile all’aperto, a costo di abbandonare per strada gli abitatori degli interni, cioè gli esseri umani. Nel mio passato ho osservato più volte come nell’intero repertorio monettiano sembri suonare una sirena d’allarme che invita gli esseri umani a fuggire via, a lasciare che il solo spettacolo naturale domini la scena.


Gli imbianchini (1877). Questo dipinto può essere considerato l’antistrofe del più noto Piallatori di parquet, con visione in esterno, ma pur sempre rivolta a celebrare duri mestieri artigianali, anche se in questo caso non sorpresi nel pieno dei lavori, ma in una fase di sospensione, in cui i due operai sostano a contemplare il proprio lavoro, quasi ponendosi nei panni dell’artista che pure lui non si stanca di dedicare la sua attenzione agli aspetti più volgari e quotidiani della scena urbana.

Al contrario Caillebotte ama lavorare al chiuso, perché capisce bene che la “peinture de la vie moderne”, la pittura della vita moderna cui Baudelaire aveva avuto il grande merito di inneggiare, seppure attraverso un mediocre personaggio come Constantin Guys, è soprattutto una questione di urbanesimo. La vita moderna pulsa al diapason, ha il suo teatro nelle strade e nelle case della città. Per carità, anche Monet ha dedicato qualche attenzione a temi del genere, basti pensare alla Gare Saint-Lazare, o al Boulevard des Capucines visto da una terrazza, un tema attorno a cui i due campioni qui in esame incroceranno le loro spade. Ma per Monet quelli furono incontri rari e presto abbandonati, mentre il suo rivale in pectore fin dal primo momento vi fissa la sua attenzione. In genere un tema dominante nella pittura di Caillebotte sarà proprio l’esaltazione di ciò che è artificiale, creato dalla laboriosità umana in piena sfida verso la natura, o tutt’al più egli punterà a ingegnosi incroci tra questi due regni. Fra l’altro, tutto ciò implica il rifiuto del poverismo, dei temi bassi, proletari di cui invece il realismo courbettiano si era fatto vanto.


Interno, donna che legge (1880).
A differenza di Monet e di altri impressionisti, Caillebotte preferisce gli interni, dove può rivolgere un’attenzione concentrata agli abitatori di quelle stanze. Più di rado si rivolge a figure femminili, come in questo caso, ma è da notare il coraggio con cui fa comparire in lontananza una piccola immagine maschile, a completamento del tema della coppia.


Donna seduta su un sofà rosso a fiori (1882); Seattle, Art Museum.

Questi tre operai appartengono senza dubbio al quarto stato, sono costretti a lavorare curvi, carponi, in tenute dimesse, ma il parquet è un simbolo di una condizione agiata, di buona borghesia, la stessa cui in definitiva appartenevano i fratelli Caillebotte e di cui non si vergognavano. Si noti come la tavolozza di questo capolavoro sia anch’essa artificiale, metallica, quasi a gara col bianco e nero fotografico su cui si stava specializzando Martial. A manifestarsi con intensità abbagliante non è lo splendore di una distesa prativa o di un braccio di mare spumeggiante, bensì il nitore del piancito su cui i tre stanno intervenendo con segni evidenti di fatica. In questo caso e in tanti altri successivi l’artista precede la tela finita stendendo una serie di disegni, che però valgono poco in se stessi, sono come i cartoni per un vasta veduta d’insieme, e dunque adempiono a un ruolo puramente funzionale, preparatorio. Non è che il nostro artista scelga di essere esclusivamente pittore di interni, anzi, non manca di uscire per strada, ma non per incontrare subito la natura, a tale scopo occorrerebbe allontanarsi dalla città e dalla relativa “peinture de la vie moderne”. Ma anche un acciottolato, finemente tramato dal luccichio delle pietre vale come un qualunque motivo di prato o di campo messo a coltura, e del resto anche qui l’attenzione primaria va all’attore umano che, come nell’agire dentro le stanze private, si industria pure fino a farsi “peintre de bâtiments”, anche la buccia esterna degli edifici merita una giusta attenzione.


Ritratto di Henri Cordier (1883); Parigi, Musée d’Orsay.

Donna che fa toilette (1873 circa).


Ritratto di giovane donna in un interno (1887 circa).

CAILLEBOTTE
CAILLEBOTTE
Renato Barilli
Un dossier dedicato a Gustave Caillebotte (Parigi, 1848 - Gennevilliers, 1894). In sommario: Introduzione; Il tema del lavoro e le scene di interni; Anche lo sport nautico come un lavoro; Ritorno alla città: Parigi in strada, dalla finestra o dal balcone; Dentro le stanze segrete; Ritorno alla campagna, sempre tra natura e artificio; Le nature morte. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.