Outsiders 

ASTRATTISMO, ATTO PRIMO:
IL NONVISIBILE

Alfredo Accatino

Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla scoperta di grandi artisti, opere e storie spesso dimenticate: August Strindberg

Esame di maturità. Se avete paura che arrivi la fatidica domanda: «Quando è nato l’astrattismo?», avete solo una risposta da scrivere sul palmo della mano: «1910». Nozione ripetuta in tutti i manuali, quella che tutti si aspettano, che fissa l’anno nel quale il pittore russo, Vasilij Kandinskij avrebbe realizzato un acquerello oggi conservato presso il Centre Pompidou di Parigi.

Ne siamo certi? Direi di no.

Senza nulla togliere alla capacità visionaria di Vasilij, che comunque ritardava al 1911-1913 l’inizio della sua ricerca, la fatidica soglia era già stata ampiamente superata in luoghi e tempi diversi, partendo da punti di osservazione straordinariamente disomogenei.

Il primato organico spetta alla pittrice svedese Hilma af Klint che, spinta da una “coscienza superiore” che le appariva nel corso di sedute spiritiche, nel 1906, aveva iniziato a realizzare in serie grandi tele astratte, che nessuno vide mai, rimaste celate per legato testamentale per trent’anni dopo la sua morte, perché tanto «nessuno sarebbe stato in grado di comprenderle».

La soglia era stata forse superata anche dal pittore e illustratore ceco František Kupka o, anni prima, dal compositore lituano Mikalojus Konstantinas Čiurlionis, che vi era giunto trasponendo in immagini le suggestioni della musica.

C’è poi un vero e inaspettato outsider, attivo già alla fine del secolo precedente, protagonista della pagina di oggi. Sto parlando del celebrato drammaturgo e scrittore svedese August Strindberg, che approdò al “non visibile” anni prima degli altri colleghi, seguendo un percorso interiore, liberando le proprie inquietudini e fragilità. La cosa straordinaria, secondo me ancora da approfondire, è il fatto che tutti questi autori si affaccino sull’estremo Nord, come se la vicinanza al polo geografico, la rigidità climatica e la riduzione progressiva dei colori favorisse una proliferazione di immagini mai viste prima.

Nato nel 1849 a Stoccolma, Strindberg è stato uno dei più grandi e prolifici autori della letteratura mondiale e del teatro, tanto che per raccogliere la sua produzione sono necessari oltre cinquanta volumi. Era però fortemente interessato a esplorare, in parallelo alla scrittura, anche tecniche e linguaggi d’avanguardia come fotografia, pittura e scultura, in una esistenza tumultuosa e frenetica che si concluderà a sessantatre anni per un tumore allo stomaco, intervallata da delusioni sentimentali e momenti di depressione, a cui solo l’arte pare offrire sollievo. Il suo approccio pittorico, quasi da autodidatta, trova la sua matrice nella rappresentazione naturalistica, nel racconto visivo dei paesaggi svedesi, arrivando però, come aveva fatto Turner, a limiti estremi. La natura, da benigna e consolatrice, diventa infatti metafora del suo tumulto interiore. Dipinge mareggiate, rocce, cieli tempestosi che a un certo punto iniziano a perdere la loro identità narrativa, divenendo stesure e grumi di colore vicini a quella che sarà la poetica di Nicolas De Staël negli anni Cinquanta del Novecento.

Come emerge nel testo critico della mostra alla Tate Modern di Londra nel 2005: «Queste opere possono anche essere viste come autoritratti simbolici che offrono uno spaccato illuminante della mente di questo genio travagliato. Strindberg credeva che il caso giocasse un ruolo fondamentale nel processo creativo e ha esplorato questo concetto nella sua pittura, nella fotografia e negli scritti artistici». Un approccio che sarebbe stato poi ripercorso da altri autori per delineare la poetica o l’antipoetica del surrealismo e dell’espressionismo. Ma Strindberg fa di più, interviene sull’opera ossidando o bruciando il colore, anche in questo caso anticipando l’intervento fisico dell’artista sull’opera stessa.

Una ricerca che nella fotografia diventa addirittura estrema, che inizia nel 1890 nel momento nel quale la creatività letteraria dell’artista svedese sembra essere arrivata a un punto morto. In un saggio del 1894, pubblicato in francese, intitolato Le arti nuove o Il caso nella produzione artistica descrive i metodi che impiega per «imitare il modo di creare della natura».

Un testo presago delle tecniche automatiche del XX secolo, visto che Strindberg costruisce fotocamere senza obiettivo ricavate da scatole di sigari con una parte anteriore di cartone in cui pratica un minuscolo foro. Gli esperimenti, che chiamerà Celestografie, consistono nel posizionare le lastre fotografiche sul davanzale di una finestra o direttamente a terra e lasciarle esposte al cielo stellato. Ciò che ne esce è follia visiva, e ordine naturale. Perché le stelle non mentono mai, vanno in scena ogni notte. E poi svaniscono, senza mai un applauso.


«TUTTO PUÒ ACCADERE, TUTTO È POSSIBILE E VEROSIMILE (...) SU UNA BASE INSIGNIFICANTE DI REALTÀ, L’IMMAGINAZIONE FILA E TESSE NUOVI DISEGNI». AUGUST STRINDBERG


August Strindberg nel 1881.


Paesaggio in tempesta (1894).

Celestografia XIII (1893-1894), Stoccolma, Kungliga Biblioteket.


Onda V (1901).

ART E DOSSIER N. 406
ART E DOSSIER N. 406
FEBBRAIO 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: I condottieri della cattedrale di Federico D. Giannini; CORTOON: Animemoria di Luca Antoccia; GRANDI MOSTRE. 1 - Nan Goldin a Stoccolma e a Berlino - A cuore aperto di Francesca Orsi ; GRANDI MOSTRE. 2 - Wayne Thiebaud a Riehen - Un mago e i suoi incantesimi di Valeria Caldelli ...