STUDI E RISCOPERTE. 2
LA MORTE DI RAFFAELLO

UN GIALLO
ANCORA IRRISOLTO


QUALI FURONO LE CAUSE DELLA MORTE DI RAFFAELLO? COSA ERA SUCCESSO NEL GIORNO DELLA SUA DIPARTITA, IL VENERDÌ SANTO DEL 1520? LE INDAGINI SONO ANCORA IN CORSO E PER RISOLVERE L’ARCANO È SCESA IN CAMPO UNA NUTRITA SQUADRA DI SPECIALISTI.

Maurizia Tazartes

Morti misteriose. Sono quelle di tanti artisti, che i posteri cercano di spiegare. Com’è morto, per esempio, Caravaggio? Nonostante studi e ricerche, la sua fine rimane ancora oscura. Come quella del Rosso Fiorentino: si era davvero suicidato a Parigi con «certo velenosissimo liquore» per essere stato ingiusto con un suo sodale, come racconta Vasari, o era stato avvelenato? E il giovane Masaccio scomparso a Roma non ancora ventisettenne, nel «bel del fiorire» come dice ancora Vasari, forse fu ucciso per invidia? Domande che si fanno anche per Raffaello, il «divin pittore», un dio in terra, amante delle donne, e diventato così bravo e potente da fare formulare le ipotesi più truci sulla sua dipartita da questo mondo.
Un fatto che sconvolse allora Roma e l’Italia intera, e che oggi spinge un’équipe di studiosi, storici, medici, restauratori, genetisti, archivisti, informatici, paleografi e altri specialisti a imbarcarsi in un progetto ambizioso intitolato Enigma Raffaello, volto a indagare sulla fine del pittore con tutti gli strumenti possibili. Un progetto anticipato in un libro pubblicato da Skira(*).


Raffaello muore il 6 aprile 1520 dopo circa otto giorni di febbre violenta e inarrestabile, alle 3 di notte di un venerdì santo, lo stesso giorno in cui era nato trentasette anni prima (6 aprile 1483). Un evento inaspettato, che lo coglie in piena attività mentre sta dipingendo la Trasfigurazione, e colpisce la comunità intera di artisti e intellettuali, e naturalmente il papa, il suo maggiore committente. Che cosa era successo? La fonte più loquace per una risposta, trent’anni dopo, è Vasari, che racconta di eccessi amorosi del pittore, uno dei quali gli sarebbe stato fatale. E che i medici sbagliarono diagnosi. Anziché «ristorarlo», gli cavarono sangue, pensando che fosse «riscaldato», sino a debilitarlo e farlo morire. Raffaello si spegne lucido, dopo aver fatto testamento , dato disposizioni per la sua sepoltura e allontanato da casa la sua donna, perché riacquistasse buona fama. Ma che tipo di febbre era, quella ?

Vasari non ce lo fa capire e neppure i possibili testimoni dell’evento, cronisti, ambasciatori, diplomatici, da Marcantonio Michiel a Pandolfo Pico della Mirandola, che informano da Roma i sovrani italiani ed esteri. Si soffermano sull’eccezionalità di quella fine, quasi miracolosa per essere avvenuta quel «venerdì di Pasqua», e sulle reazioni della comunità del tempo. Papa Leone X, secondo Pandolfo Pico, al momento del decesso avrebbe avvertito un rumore simile a quello provocato da un crollo di muri, tanto da scappare dalle sue stanze e ripararsi in quelle di monsignor Cybo. 

La morte di Raffaello fu paragonata a quella di Cristo, dando inizio a un processo di esaltazione postuma, che mescolava «narrativa e finzione», utile a costruire l’immagine divinizzata di una figura il cui talento era già allora riconosciuto, come sostiene il gruppo di lavoro storico-medico (Valentina Gazzaniga, Paola Frati, Marco Cilione, Vittorio Fineschi), che si occupa di questo aspetto. I dati che ci rimangono «sono insufficienti e troppo generici per ricostruire una storia patologica», per capire cioè di quale malattia si trattava, di cui non si conosce neppure la durata esatta (oscillante, secondo fonti del tempo, tra gli otto e i quindici giorni). Secondo gli stessi studiosi sono da escludersi sifilide, malaria, polmonite aggravata dal salasso, ipotizzate negli ultimi due secoli, mentre potrebbe essersi trattato di una «malattia infettiva» di cui si sarebbero ammalati negli stessi giorni Agostino Chigi, uno dei principali clienti del Sanzio, morto il 10 aprile successivo, e il cardinale Ercole Rangoni di Sant’Agata dei Goti.


Vasari non ce lo fa capire e neppure i possibili testimoni dell’evento, cronisti, ambasciatori, diplomatici, da Marcantonio Michiel a Pandolfo Pico della Mirandola, che informano da Roma i sovrani italiani ed esteri. Si soffermano sull’eccezionalità di quella fine, quasi miracolosa per essere avvenuta quel «venerdì di Pasqua», e sulle reazioni della comunità del tempo. Papa Leone X, secondo Pandolfo Pico, al momento del decesso avrebbe avvertito un rumore simile a quello provocato da un crollo di muri, tanto da scappare dalle sue stanze e ripararsi in quelle di monsignor Cybo.


Autoritratto (1506), Firenze, Gallerie degli Uffizi.


Cristo benedicente (1502-1504 circa), Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo.

I posteri ci hanno lavorato sopra, sulla base della tradizione vasariana della rivalità tra Raffaello e Sebastiano del Piombo, esasperata dal sodalizio stretto tra quest’ultimo e Michelangelo – anche lui in conflitto con l’Urbinate –, e sono arrivati a ipotizzare anche loro un avvelenamento. Se è però davvero arduo attribuire al povero Sebastiano la morte di Raffaello, certamente il divino pittore era circondato da invidiosi e nemici, e a quel tempo non era insolito far fuori gli avversari, come spiega Sylvia Ferino-Pagden, che esamina da un nuovo punto di vista la personalità del Sanzio.

 
Raffaello, celebrato “post mortem” come un dio da estimatori come Vasari, Paolo Giovio, Celio Calcagnini, che lo definisce «il principe delle arti», era proprio così? Già nel 1983 James Beck aveva proposto di ricostruire il carattere dell’artista in modo più obiettivo. Dall’esame di una lettera scritta nel 1514 dall’Urbinate allo zio materno emergeva infatti un tipo ambizioso, attento alla fama e alla fortuna, e con poca considerazione delle donne se non per il sesso. Per capire com’era veramente Raffaello, data la scarsità di scritti autografi, gli storici del Novecento hanno consultato biografie, lettere, documenti di altri artisti del tempo. Sono emersi così più chiaramente la vera indole del Sanzio e i suoi rivali. Tra i più irriducibili il Buonarroti, che lo riteneva colpevole di aver mandato a monte il grande monumento funebre di Giulio II. Michelangelo, Bramante e seguaci non esitavano a diffamare in modo feroce Raffaello, che rispondeva con strategie provocatorie, non sempre corrette. Le reciproche malignità per assicurarsi committenze, spiarsi le opere, presentarle prima, si trasformavano spesso in guerre di livore e di sangue. Così viene vista a ritroso, in modo critico, tutta la vita di Raffaello, la sua ascesa, il suo potere, le sue inimicizie senza scartare l’ipotesi di omicidio.

Ma tutto questo non porta ancora a capire che cosa abbia provocato la fine del grande artista. Morte naturale, per malattia, o avvelenamento? Così il progetto Enigma, sostenuto da varie istituzioni romane (Accademia dei virtuosi al Pantheon, Accademia di belle arti, i Musei vaticani, la Sapienza Università di Roma) si propone di riesumare i resti di Raffaello conservati a Roma al Pantheon, per verificare se siano effettivamente suoi, per studiarli con tutte le più moderne tecnologie e conoscere così la causa della sua fine. Resti già esaminati nel 1833, con minute relazioni, per iniziativa dell’Accademia dei virtuosi al Pantheon, studi che hanno coinvolto anche la struttura tombale e il sepolcro, tutta la loro storia e modifiche. Le ossa alla fine parleranno, e anche i denti del povero Raffaello, che già nel 1833 furono trovati bianchi e intatti. Ci riveleranno il suo sistema di vita, la sua storia, le sue malattie e la morte.

 
Nel frattempo, l’antropologa forense Chantal Milani ha analizzato il calco in gesso del teschio di Raffaello, fatto nel 1833, conservato oggi nell’attico del Pantheon, e lo ha confrontato col Doppio ritratto (Autoritratto con un amico), custodito al Louvre e databile tra il 1518 e il 1520. Utilizzando un modello 3D ha ricostruito il volto dell’Urbinate delineando i tessuti muscolari e cutanei, secondo i metodi scientifici noti a livello internazionale. Ed ecco così affiorare un Raffaello maturo, sanguigno, con un naso camuso. Ormai uomo rispetto alle immagini eteree e fanciullesche degli Uffizi (1506), o della Scuola di Atene (1510). Ma, per saperne di più, aspettiamo l’apertura della tomba, senza dimenticare la poesia delle sue opere e la sua bravura, davvero “divina”.

(*) Enigma Raffaello. Fortuna, rivalità, contrasti: il mistero della morte del Sanzio, a cura di P. Baldi e A. Militello, Milano 2021.

ART E DOSSIER N. 405
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GENNAIO 2023
In questo numero: STORIE A STRISCE: Accendere la speranza di Sergio Rossi; BLOW UP: Klein e De Martiis di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Ri-Materializzazione del linguaggio a Bolzano - Parola di donna di Marcella Vanzo; 2 - Ernst a Milano - Gli allegri mostri di Lauretta Colonnelli; ....