INTRODUZIONE

«L’autorità dell’artista deve farsi sentire su ciascun elemento e ciascun dettaglio della composizione, basta soltanto aver trascurato, all’ultimo momento, una linea o un punto di luce qua e là per distruggerne l’effetto d’insieme»(1).

Artisti noti a livello internazionale, tanto da influenzare il gusto di una generazione, possono paradossalmente cadere nell’oblio per più di cinquant’anni. È la sorte che è stata riservata a Fernand Khnopff, completamente uscito dal raggio degli studi dal 1921, anno della scomparsa, al 1971, anno della prima retrospettiva(2); fa eccezione l’articolo pionieristico di Francine-Claire Legrand del 1967(3). Sono seguiti il catalogo ragionato, la prima monografica itinerante (1979) e anche il primo articolo in italiano, dovuto a Marisa Volpi(4). Soltanto nel 1982, lo statunitense Jeffery Howe scrisse la prima monografia dell’artista.

Le ragioni di tale negligenza sono molteplici, a partire dalla “damnatio memoriae” inflitta a tutto l’Ottocento fin-de-siècle dapprima a opera delle avanguardie storiche e poi dai rovesci dei due conflitti mondiali. Se nel caso di artisti che hanno animato circoli ristretti, questo oblio può essere comprensibile, quando si tratta di artisti presenti in varie città d’Europa, alle esposizioni nazionali, come alle internazionali, sulla stampa locale come su grandi riviste d’avanguardia, come “The Studio” in Inghilterra, “Pan” in Germania o “L’Art moderne” in Belgio, e conosciuti anche in Italia – grazie soprattutto all’interessamento di Vittorio Pica che paragona Khnopff a Botticelli e Giorgione(5) –, è difficile accettare il verdetto che si tratti di una casualità.

Un universo iconografico composto da strani angeli, figure androgine, sfingi, paesaggi idilliaci o enigmatici, scene a volte solforose, opere che invitano alla meditazione e al raccoglimento, se non a un’interrogazione che si vuole ricerca interiore, non era più ammissibile dall’estetica futurista e dall’irriverenza dada fino a giungere al dissolvimento delle tradizionali categorie estetiche intrecciato al secondo dopoguerra. Eppure, questi ulteriori cinquant’anni di studi sono serviti a dimostrare quanto gli artisti simbolisti abbiano lavorato interrogandosi sulla materia del loro lavoro: supporto, tecnica, pluralità di metodi e di destinazione; inoltre gli artisti, oltre che pittori, sono stati spesso anche incisori, scultori, decoratori, disegnatori di vetrate ecc. Lungi, dunque, da essere confinata ad arte del sogno, del mistero e dalle evanescenti visioni, l’arte simbolista va oggi riconsiderata nella sua complessità, a partire dalle sue fonti, dove abbondano gli influssi letterari e gli scambi con l’esoterismo, ma vanno considerati anche i rapporti con la tradizione - primitivi fiamminghi e italiani, soprattutto -, gli scambi internazionali, le strategie espositive, il rapporto con la stampa, il libro illustrato, ma anche la decorazione degli spazi pubblici, lo studio e il recupero di tecniche antiche e la ricerca di nuovi materiali.


Ritratto fotografico dell’artista (1900 circa); Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.

KHNOPFF
KHNOPFF
Laura Fanti
Fernand Khnopff (Dendermonde 1858 - Bruxelles 1921) doveva diventare avvocato,per tradizione familiare. Per fortuna frequentò le compagnie che i genitoriconsideravano sbagliate e divenne pittore. Si legò soprattutto all’ambientesimbolista, anche letterario. Perseguiva le vie che portavano al mistero, all’inspiegabile,in netta opposizione al clima razionalista e positivista dominantenelle élite intellettuali europee del suo tempo. Strade percorribili solo dall’arte,chiave privilegiata della porta che conduce in un altrove venato di misticismo.Ciononostante, le sue opere si presentano modernissime nella composizionee nel taglio “fotografico”, incardinate su una assoluta padronanza del disegno.Protagoniste frequenti, nelle sue opere, donne fatali e ambigue, insidiose, incantatricisfingi moderne. Molte mostre, a pandemia accantonata, celebrano ora ilcentenario della morte dell’artista.