UN BELGA
NELL’INTERNAZIONALE
SIMBOLISTA

«Io dico: un fiore! E, fuori dall’oblio in cui la mia voce relega ogni contorno, in quanto cosa diversa dai calici noti, musicalmente si innalza, idea autentica e soave, l’assente da ogni bouquet»(6).

Se l’avanguardia surrealista, grazie ai nomi di Salvador Dalí o René Magritte, è entrata a far parte da qualche decennio della rosa dei movimenti artistici più noti anche al grande pubblico, fino a invadere la cultura di massa, diversamente vanno le cose per il simbolismo, corrente madre del surrealismo. Frainteso, strumentalizzato, questo “momento”(7) della storia dell’arte di fine XIX secolo, riscoperto solamente grazie a vendite all’asta inglesi e a coraggiose mostre degli anni Settanta del secolo scorso, continua a mantenere il suo carattere segreto, quasi vittima dello stesso fraintendimento che ha creato, volendosi corrente a sé, ricercata, intellettuale, filosofica, ermetica e impenetrabile.

Il simbolismo è nato in un primo momento come un fenomeno letterario francese, grazie alla poesia di Charles Baudelaire e di Stéphane Mallarmé e la nascita della “Revue wagnerienne” (1885-1888), fino a essere “ufficializzato” dal manifesto di Jean Moréas sul “Figaro” nel 1886. La sua trasposizione pittorica è storiograficamente rappresentata dall’articolo di Albert Aurier su Paul Gauguin del 1891(8). Di nuovo in Francia. Tuttavia, il primo artista a essere chiamato simbolista dalla critica contemporanea, sempre nel 1886, non fu un pittore francese, ma un belga, al quale, di nuovo un poeta, Émile Verhaeren (1855-1916) dedicò una serie di articoli sulla rivista “L’Art moderne”(9).

L’ultimo della serie, intitolato Un peintre symboliste, è l’occasione per definire l’artista in quanto simbolista ma anche per discutere attorno al significato del termine stesso “simbolista”, decretandone l’appartenenza al regno dell’indefinito e del soggettivo, del suggerito al posto di descritto. Verhaeren cita Gustave Moreau (1826-1898) e Odilon Redon (1840-1916) come pionieri di pittura simbolista contemporanea, ai quali aggiunge Khnopff.

Ascoltando Schumann (1883); Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.


Silenzio (1890), particolare; Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.

In questi articoli Verhaeren sottolinea l’aspetto mistico di Khnopff, tra il dandy e il claustrale, l’idealismo e la componente onirica del suo lavoro alla quale si unisce talvolta la perversità. Lo scrittore si chiede se non sia arrivato il momento per la pittura di eguagliare la musica e di rendere la “vague à l’âme”, la malinconia, lo spleen baudelairiano e tenta una prima definizione di simbolismo contemporaneo, contrapposto al religioso: «Un ritorno considerevole dell’immaginazione moderna verso il passato, una notevole inchiesta scientifica e delle nuove passioni per un sovrannaturale incerto e ancora indefinito ci spingono a dare forma al nostro sogno e forse il nostro fremere davanti a un nuovo sconosciuto in uno strano simbolismo che interpreta l’anima contemporanea come il simbolismo antico interpretava l’anima di un tempo. Soltanto che non vi mettiamo certo la nostra fede e le nostre credenze, vi mettiamo, all’opposto, i nostri dubbi, le nostre angosce, le nostre noie, i nostri vizi, le nostre disperazioni e forse anche le nostre agonie»(10).

 
Già in Ascoltando Schumann, Verhaeren riconobbe la capacità di Khnopff di rappresentare gli stati d’animo e nella donna ritratta «la concentrazione profonda, l’impressione materializzata, la sofferenza estetica tradotta»(11). Egli aveva realizzato di trovarsi non davanti a un dipinto di interni, ma a una pittura più astratta, dove la posizione della donna, le sedie inclinate e la figura del musicista come tagliata fuori dall’inquadratura, come già in alcune opere degli impressionisti, suggerivano una ricerca che andava al di là del dato materiale.

Khnopff, dunque, può essere considerato uno dei primi esponenti della pittura simbolista, grazie alla sua presenza alle principali esposizioni d’arte, dal Salon de la Rose-Croix a Parigi, nel 1892, passando per le iniziative del gruppo dei XX a Bruxelles, di cui era membro fondatore, alle Secessioni di Monaco e Vienna. Espositore di spicco anche delle prime Biennali di Venezia (dal 1897 fino al 1920), Khnopff ha rappresentato l’anello di congiunzione tra Nord e Sud Europa, tra wagnerismo, preraffaellismo e fascino per l’arte italiana del Quattrocento, fino a ispirare anche l’austriaco Gustav Klimt. Non è tutto, egli ha incarnato lo spirito dell’arte simbolista, facendosi interprete della “Gesamtkunstwerk” (opera d’arte totale), progettando il proprio santuario, giocando il ruolo dell’esteta e dedicandosi a tutte le forme d’arte, scultura compresa, ma mantenendo una sorta di riserbo su di sé e alimentando l’aura di mistero attorno all’interpretazione del suo lavoro. Khnopff era infatti anche un appassionato di esoterismo, legato in un primo tempo a scrittori quali Georges Rodenbach (1855- 1898), frequentatore di salotti letterari, impregnati di wagnerismo, nei quali si discuteva di misticismo, esoterismo e occultismo, passando dunque anche per l’astrologia e la cabala. Ma di tutto questo si cercherebbe invano una traccia esplicita nelle sue opere, che appaiono come resistenti all’interpretazione, portatrici di un messaggio che solamente alcuni iniziati potrebbero comprendere.


Bruges di una volta: l’ingresso del Beghinaggio (1904).

Contrariamente al coetaneo Jean Delville (1867-1953), altro leader del simbolismo in Belgio, Khnopff è immune dagli impulsi di rivalsa sociale motivata dal senso di frustrazione per le umili origini. Egli nasce a Grembergen-les-Termonde, in un castello, da una famiglia di origine aristocratica, suo padre è procuratore del re, sua madre una donna sensibile e affettuosa, il fratello Georges diventerà uno scrittore e traduttore di testi dall’inglese e altre lingue nordiche, la sorella Marguerite, una sodale, forse la donna più amata dopo la madre. Khnopff vive la prima infanzia a Bruges, la città oggi considerata la “Venezia delle Fiandre”, corsa dal turismo di massa, ma allora città fantasma, ripiegata sul suo passato glorioso, come traspare da alcune opere dell’artista, soprattutto i magnifici disegni nei quali appare nella sua dimensione nostalgica; ma fonte d’ispirazione come nel noto romanzo Bruges-la-morte di Georges Rodenbach di cui Khnopff realizzò il frontespizio(12). Questo lavoro, a sua volta ispirato dal pastello di Willy Schlobach (1890), che entrerà subito nella collezione di un altro scrittore, Verhaeren, introduce il tema della morte amorosa, soggetto prediletto nei circuiti simbolisti.


A Bruges (Il lago d’Amour) (1904).
Khnopff trascorse l’infanzia a Bruges, città fiamminga che all’epoca affascinò poeti e pittori, anche grazie al romanzo di Rodenbach, Bruges-la-morte, di cui l’artista disegnò il frontespizio. Nel 1904, anno dell’importante mostra sui primitivi fiamminghi, Khnopff si ispirò a Bruges per una serie di disegni nei quali appare alla stregua di una visione senza tempo, evanescente come un sogno; leggenda vuole ch’egli non si recasse nella città se non indossando occhiali dalle lenti scurissime per non intaccarne il ricordo.

Se Khnopff nacque e visse la prima infanzia nelle Fiandre, poi, a causa del lavoro del padre, si stabilì nella capitale, in varie case tra il centro, Saint-Gilles e Ixelles, cui si aggiungono le permanenze a Parigi e Londra. Dopo gli studi di legge, che abbandona presto, si appassiona alla letteratura e al disegno grazie alla frequentazione dei salotti di Edmond Picard (1836-1924) e di Charles van der Stappen (1843-1910), e al circolo della rivista “La Jeune Belgique” (1881-1897); fondata da Max Waller (1860- 1889), animata da scrittori parnassiani, la pubblicazione in effetti diverrà fucina di simbolisti, vi scriveranno, tra gli altri, oltre a Verhaeren, Iwan Gilkin (1858-1924) e il pittore Delville, che vi pubblicò i primi componimenti poetici. Il padre sostiene le sue ambizioni e gli offre come maestro Xavier Mellery (1845-1921). Siamo negli anni Ottanta del XIX secolo, nel pieno fermento della pittura realista e impressionista, ma ancor prima dell’ufficializzazione della poesia simbolista, il giovane Khnopff nel 1881 dipinge le sue prime opere importanti, Un soffitto: la Pittura, la Musica, la Poesia (Himeji Museum, Giappone), che espone all’Essor, e Una crisi esposta al Salon di Stato a Bruxelles. Khnopff ha solo ventitré anni ed è appena uscito dall’atelier di Mellery, dopo aver studiato, seppur brevemente, all’Accademia di Bruxelles, ma ha già compiuto due viaggi a Parigi (1877 e 1879), studiato con Jules Lefebvre (1834- 1912), frequentato l’atelier Julian e avuto l’opportunità di visitare l’Esposizione universale del 1878, dove rimane affascinato da Gustave Moreau, Burne-Jones e Alfred Stevens.


Willy Schlobach, La morta (1890); Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.


Una crisi (1881). Il tema della morte è particolarmente diffuso nei circuiti simbolisti. Nel pastello La morta, rara opera simbolista del paesaggista Willy Schlobach, si mescolano l’Ofelia di John Everett Millais e la poesia di Émile Verhaeren, che ne fu il primo possessore. Forse fu proprio il poeta a farvi incidere i suoi versi sulla cornice: «Nel suo abito di gioielli morti che l’ora immobile solennizza all’orizzonte, il cadavere della mia ragione vaga sul Tamigi» (Fiaccole nere). La donna abbigliata come una principessa medievale simboleggia nostalgicamente un’era remota e perduta, come sarà anche in molte opere di Khnopff, dove spesso le figure femminili diventano simbolo di epoche felici, distanti dal materialismo ottocentesco.

Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia (1818); Amburgo, Hamburger Kunsthalle.


Ascoltando Schumann (1883), particolare; Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.


Edward Burne-Jones, Re Cofetua e la giovane mendicante (1884); Londra, Tate Britain.

In Una crisi non abbiamo davanti un personaggio storico o mitologico, ma Khnopff stesso, in un autoritratto morale se non contemplativo. Il titolo sembra essere stato assegnato dall’artista, anche perché ritroviamo l’opera nella vendita dell’atelier l’anno successivo al suo decesso(13). Se l’iconografia del personaggio solitario in un paesaggio rimanda alla pittura romantica (pensiamo al Viandante di Friedrich), le intenzioni dell’artista sono di un’altra temperatura. Piuttosto che suggerire sintonia con la natura e un dialogo cosmico, il dipinto di Khnopff introduce un nuovo genere di sentimento, sebbene non facilmente definibile. Il dipinto è stato probabilmente abbozzato a Fosset, località sulle Ardenne, dove l’artista soggiornava in estate e dove ha realizzato paesaggi lirici, mentre la figura potrebbe essere stata inserita in un secondo momento.


A ogni modo, i toni cupi, la chiusura su di sé del personaggio, apparentemente interdetto, suggeriscono una sensazione di blocco, tipica delle crisi di panico(14). Non sappiamo se l’artista ne soffrisse, sicuramente il suo carattere nevrotico, ribadito da molti contemporanei, potrebbe aver avuto questa conseguenza. Anche le rocce risentono del suo stato d’animo e come Verhaeren notava, il dipinto si distingueva nettamente dai novecento quadri esposti al Salon di Stato(15). Segue Ascoltando Schumann, realizzato l’anno stesso della scomparsa di Richard Wagner (1883). Il dipinto, nonostante derivi per il suo impianto formale dalla tradizionale pittura di interni, in Belgio rappresentata da Henri de Brakeleer (1840-1888) e da Alfred Stevens (1823-1906), se ne distacca decisamente. La concentrazione della donna – per la quale ha posato la madre dell’artista – che, come per indurre uno stato di meditazione, porta la mano agli occhi mentre uno sconosciuto suona un brano di Schumann al pianoforte, sostituisce qui la raffigurazione di una conversazione in un salotto borghese. Le corrispondenze baudelairiane, le sinestesie mallarmeiane, e soprattutto il raccoglimento indispensabile all’immersione nell’ascolto musicale segnano un cambio di rotta nella pittura dell’epoca.

Il pittore non rappresenta un evento storico, né un’allegoria né un soggetto mondano, ma una scena atemporale, che ha come suo nucleo la “suggestione” indotta da un’arte sorella, la musica. Possiamo affermare che con questo dipinto, oggi ai Musées royaux di Bruxelles, accanto a Musica russa di James Ensor (1881), che accusò Khnopff di plagio durante l’esposizione dei XX(16), la storia della pittura belga ed europea subisce una svolta. Nel frattempo, Khnopff aveva viaggiato a Parigi, come abbiamo visto, ed ebbe occasione di vedere le opere di Moreau e Burne-Jones all’Esposizione universale. Il 1878 è l’anno della consacrazione di quest’ultimo e dei preraffaelliti in generale, i quali, se avranno tiepida ricezione in Francia, riceveranno una sontuosa accoglienza in Belgio, influenzandone l’arte e la letteratura(17). Khnopff conoscerà poi Burne-Jones, con il quale stringerà un’amicizia, e anche altri preraffaeliti(18). Tuttavia, pur esponendo a Londra già nel 1886 (all’Art Club), il suo primo viaggio documentato nella capitale inglese risale al 1890. Contatti con il Regno Unito furono intensi per Khnopff, che divenne il corrispondente per il Belgio della rivista “The Studio” e contribuì a far conoscere l’arte del suo paese in Inghilterra e, viceversa, a diffondere le novità inglesi a Bruxelles.


Da Flaubert. La tentazione di sant’Antonio (1883); Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.

L’incontro con il francese Joséphin Péladan (1858-1918) fu determinante. Scrittore, occultista, esteta e fondatore nel 1888 dell’Ordre kabbalistique de la Rose-Croix insieme allo studioso di occultismo Stanislas de Guaita (1861-1897), da quest’ultimo si separerà nel 1891 per dare alla nuova formazione un’impronta più tradizionalmente cattolica, fondando l’Ordre de la Rose-Croix catholique du Temple et du Graal. In veste di curatore e talent scout ante litteram, Péladan darà vita ai “gestes esthétiques”, eventi diremmo oggi multimediali, dove erano coinvolti musicisti, poeti, pittori e scultori, in un’ottica di “Gesamtkunstwerk” wagneriana volta a celebrare l’arte idealista, mistica dunque, contro il materialismo imperante dell’epoca. Al centro delle teorie estetiche di Péladan si trova l’artista, il nuovo profeta, in grado di sconfiggere la decadenza del periodo, privo di spiritualismo. Khnopff diventa dunque il secondo illustratore del Péladan romanziere, dopo Félicien Rops (illustra Le vice suprême, Istar, Femmes honnêtes, La Pantée) e uno dei principali intermediari con il Belgio, insieme a Delville. Un altro contatto è incarnato dal già citato Gustave Moreau, che Khnopff non conobbe personalmente. È alla sua pittura che bisogna risalire per comprendere il secondo lavoro importante dell’artista belga, Da Flaubert. La tentazione di sant’Antonio (1883), ispirato al romanzo dello scrittore francese del 1874. Esposto alla prima mostra dei XX nel 1884 col titolo Con Flaubert: la tentazione di sant’Antonio, è forse la prima opera “simbolista” di Khnopff che, se parte da Moreau, se ne distingue per una forte sintesi e una riduzione di toni – la regina di Saba non è completamente riconoscibile, è la sua testa di idolo orientale a emergere come presenza estraniante e conturbante. Sant’Antonio è invece rappresentato come il Battista: Khnopff iniziava a giocare con l’ibridazione di temi, anche incrociando la regina di Saba con Salomè e Giuditta.

In Il vizio supremo (1885), l’ibridazione di simboli, la sovrapposizione di motivi provenienti da varie culture si fa più marcata. La sfinge, con il corpo da puma, ha il capo coperto da una tiara a simboleggiare la Chiesa ed è preceduta da una scura icona della Vergine; entrambe si collocano sulla sommità, l’una su una roccia, l’altra su un pilastro o alto piedistallo. Quest’ultima raffigura l’eroina del romanzo, Leonora d’Este, come novella “Venus pudica” e piccolo idolo dal nimbo spropositato al tempo stesso; sulle sue gambe poggiano le tavolette di Sodoma e Gomorra, mentre sul pilastro, quasi obelisco egizio, appare un piccolo angelo dal volto di teschio alla Rops. Un altro angelo, dal nimbo dorato e dal corpo azzurro, spunta timidamente in basso a sinistra, accanto a una scritta esoterica, forse cabalistica – «caldo» –, riferimento alla teoria dei temperamenti in voga nei circoli esoterici brussellesi.

Gustave Moreau, L’apparizione (1875); Parigi, Musée Gustave Moreau.


Xavier Mellery, La scala (1889); Anversa, KMSKA - Koninklijk Museum voor Schone Kunsten Antwerpen.

Questo disegno ne sostituisce un altro che Khnopff distrusse in seguito a un incidente diplomatico con il soprano Rosa Caron – un disegno che l’artista aveva esposto nel suo studio in previsione di un ritratto – la quale si riconobbe nei tratti dell’eroina nuda durante l’esposizione dell’opera a Bruxelles nel 1885(19). Leggenda vuole che a causa di questo scandalo, ridondante nella stampa dell’epoca, Khnopff non abbia più utilizzato modelle oltre a sua sorella. In realtà, alcune ragazze inglesi, a Bruxelles e a Londra, posarono per lui, in particolare le sorelle Elsie, Lily e Nancy Maquet. A queste iconografie esoteriche, frutto di complesse ibridazioni, Khnopff alternerà iconografie “del silenzio”, quasi metafisiche, derivanti dal maestro Mellery e dalla pittura fiamminga, nonché dai ricordi personali e dalle divagazioni su Bruges. Mellery era noto per i progetti di arte monumentale e in seguito per il ciclo di disegni intimisti L’anima delle cose, ispirati a una raccolta di racconti di Hector Chainaye (1865-1913), che esporrà alla mostra dei XX nel 1890.


I disegni di Mellery, in parte già esposti alla Società degli acquerellisti nel 1889, sono una novità assoluta. Pur derivando dalla tradizionale pittura d’interni olandese, essi non descrivono un evento, una condizione sociale, e si presentano come spazi vuoti, dove l’uomo, se non sempre assente, appare come perso; sono dunque delle istantanee di una coscienza alternativa al positivismo e un inno al silenzio e al raccoglimento. Non a caso, Khnopff, forse suggestionato anche dalla raccolta di Rodenbach Le règne du silence, nello stesso anno realizza un pastello, Silenzio (Musées royaux, Bruxelles) che espone alla mostra dei XX. Nonostante l’impianto piuttosto tradizionale dell’opera, l’iconografia di Silenzio dovette sembrare piuttosto originale. Sullo sfondo, alcuni dettagli appena disegnati ci fanno capire che ci troviamo in una chiesa o comunque in un tempio, la sorella Marguerite come modella, con indosso una semplice tunica e il bizzarro nimbo celeste a segnare l’elemento atemporale e sacrale, mentre l’attenzione è tutta condensata sul gesto, l’invito a tacere e al raccoglimento, “signum harpocraticum”, legato agli ambienti monastici ma anche alle società esoteriche, tra cui la massoneria e KVMRIS, i cui esponenti condividevano una diffidenza nei confronti della comunicazione verbale.


Silenzio (1890); Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.

KHNOPFF
KHNOPFF
Laura Fanti
Fernand Khnopff (Dendermonde 1858 - Bruxelles 1921) doveva diventare avvocato,per tradizione familiare. Per fortuna frequentò le compagnie che i genitoriconsideravano sbagliate e divenne pittore. Si legò soprattutto all’ambientesimbolista, anche letterario. Perseguiva le vie che portavano al mistero, all’inspiegabile,in netta opposizione al clima razionalista e positivista dominantenelle élite intellettuali europee del suo tempo. Strade percorribili solo dall’arte,chiave privilegiata della porta che conduce in un altrove venato di misticismo.Ciononostante, le sue opere si presentano modernissime nella composizionee nel taglio “fotografico”, incardinate su una assoluta padronanza del disegno.Protagoniste frequenti, nelle sue opere, donne fatali e ambigue, insidiose, incantatricisfingi moderne. Molte mostre, a pandemia accantonata, celebrano ora ilcentenario della morte dell’artista.