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L’arte del vetro a Murano

una vocazione
in frantumi

Senza agevolazioni e con costi ormai insostenibili l’antica tradizione dei maestri vetrai rischia di scomparire. Poche fornaci resistono a una crisi ormai inarrestabile. Ma non è tutto perduto, c’è ancora chi lotta con coraggio e speranza.

Jean Blanchaert

Camminano gloriosi come i grandi toreri, alcuni avanzano con fatica, logorati dalla professione. Quando passano, gli altri isolani, istintivamente, riservano loro un impercettibile e reverente rispetto. Hanno l’aura. Sono i grandi maestri vetrai di Murano, ormai pochi, ma pur sempre al lavoro e ogni giorno intenti a creare nuove sculture. Gli artisti vengono da lontano, da ogni parte del mondo. Arrivano con un’idea, con dei progetti, con disegni più o meno dettagliati. Il maestro guarda, valuta, riflette e poi comincia a tuffare la canna nel crogiolo dal quale estrae il vetro fuso che è stato preparato dall’“omo de note” (l’addetto notturno) e che ha il colore adatto all’uopo. A Murano regna una mentalità isolana, ermetica; i maestri non lavorano dietro a vetrine visibili al pubblico come fanno i loro colleghi americani o certi cuochi d’oggi. Per arrivare nelle loro fornaci bisogna conoscere, bisogna sapere, bisogna avere un progetto di lavoro. E per entrare telepaticamente nella testa dell’artista venuto da lontano, allo scopo di capire con precisione cosa vuole rappresentare, è necessaria molta concentrazione.

Il balletto del vetro ha luogo tutti i giorni, in silenzio, per otto, nove ore. Maestro, aiuto maestro, servente, serventino e garzonetto si incrociano dalle sei di mattina a mezzogiorno e dall’una alle quattro del pomeriggio. Gli unici suoni sono i comandi secchi del maestro, a volte imprecazioni in dialetto muranese, che incitano i serventi a stare in campana, in sincronia, a tempo. Ogni tanto si ode il clangore del metallo su metallo. Il fuoco soffia costante in sottofondo come l’onda dell’oceano. L’atmosfera è medievale, dura, seria e militaresca. Il giovane che vuole imparare deve “rubar co ocio” (rubare con l’occhio). Non riceverà spiegazioni di sorta. Questa tecnica di sala, che si è affinata negli ultimi settecento anni, è immutabile, diversa da quelle del resto del mondo quanto lo sono i marines dagli altri reggimenti. 


I turisti che passano a migliaia dall’isola non vedono quasi mai questi virtuosi. Sono condotti altrove e hanno di Murano un’altra immagine, più semplice, meno preziosa, meno nascosta.

Molta gente è furibonda contro l’atteggiamento miope che ha consentito al vetro cinese di essere protagonista nei negozietti dell’isola, abbassando la qualità del prodotto e l’immagine di Murano. Non è il discorso snobistico di chi non sa che i piccoli negozi sono il tessuto connettivo del posto, bensì la reazione di chi ama Murano e si è accorto della gestione improvvida delle faccende vetrarie. Per esempio il Consorzio Promovetro di Murano, presieduto da Luciano Gambaro, non è stato a guardare e ha costituito un marchio di garanzia e tutela di cui si possono fregiare soltanto le ditte più prestigiose che producono nell’isola. Va detto, però, che se nel IV secolo l’imperatore Costantino abolì le tasse ai maestri incisori che avevano il figlio in bottega, oggi, diciassette secoli dopo, le cose, da questo punto di vista, sono peggiorate.

L’agevolazione alle vetrerie muranesi è stata tolta e il gas costa loro quattro volte di più rispetto a dieci anni or sono. Se in appartamento il prezzo è di 0,90 centesimi di euro al metro cubo, in vetreria si finisce per spendere 0,75, poco di meno. Moltissimi hanno dovuto chiudere per questa ragione, perché il forno, per motivi tecnici, si spegne soltanto in agosto e in dicembre. Viene in mente la famosa frase del presidente Luigi Einaudi, pronunciata e scritta il 15 settembre 1960: «Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di denaro. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno». La politica tuttora non si è accorta dell’importanza di Murano, né a livello europeo, né a livello nazionale, né a livello regionale, né a livello provinciale, né a livello comunale. La frase del presidente Einaudi mi fa venire in mente la fornace Anfora con “parón” Renzo Ferro, il maestro Andrea Zilio e il suo predecessore Livio Serena, oggi in pensione. È qui che sono state realizzate e continuano a esserlo alcune delle più belle sculture in vetro di oggi. Yoichi Ohira, Ritsue Mishima, Massimo Micheluzzi, Melvin Anderson, Emmanuel Babled, Tristano di Robilant, Michele Burato, Silvano Rubino e Maria Grazia Rosin sono alcuni degli artisti con cui ha collaborato il maestro Zilio. Penso anche a Claudio Tiozzo e a Fabio Fornasier e al grande maestro del vetro murrino Nicola Moretti. È con lui che ha sempre lavorato Franco Deboni nella creazione dei suoi sorprendenti vasi scultura che sembrano uscire dall’esplosione del Bing Bang e nei quali è evidente la ricerca di una nuova materia. Bravissimi, competenti, coraggiosi e titolari delle loro fornaci. Penso all’impareggiabile maestro incisore Luigi Camozzo, al celeberrimo lumista (vetro a lume) Lucio Bubacco. Murano sarà in crisi, ma nel raggio di trecento metri vivono e lavorano le più grandi personalità del vetro del XXI secolo. Non ci possiamo dimenticare Simone Cenedese con cui Laura de Santillana ha iniziato il lavoro sulle forme filosofiche; Giovanni Nicola, maestro di grande talento alla fornace di Antonio Seguso; Davide Salvadore, con le sue invenzioni conosciute in tutto il mondo; Andrea Zanetti e la sua fornace, tutti generosi e attenti ai giovani come il promettente Lorenzo Passi. Sono soltanto alcune delle realtà fantastiche che cercano di battersi eroicamente contro la crisi. 


Se si dovessero nominare poi gli artisti che hanno lavorato con Silvano Signoretto, uno dei massimi scultori del vetro dei nostri giorni, non basterebbero dieci pagine. Anche lui è uno tra quelli che hanno dovuto chiudere la loro fornace a causa della crisi e oggi, con suo figlio Marco, aiuto maestro, è la punta di diamante della vetreria di Adriano Berengo. Stanno già preparando la prossima edizione di Glasstress 2015 che porterà a Venezia e a Murano artisti da tutto il mondo i quali realizzeranno le loro sculture, oltre che con Silvano Signoretto, anche con Danilo Zanella, maestro storico della Berengo Studio. L’idea di Berengo è quella di avvicinare al vetro pure gli artisti che non l’hanno mai conosciuto. Per questo motivo ne ha già presentati, nelle passate edizioni di Glasstress, ben centocinquanta, fra cui Tony Cragg, Jaume Plensa, Tony Oursler, Thomas Schütte, Jan Fabre, Javier Pérez e la giovanissima Iyvonne Khoo.

I tempi sono cambiati. Negli anni Quaranta e Cinquanta gli addetti alle fornaci erano cinquemila, oggi quattrocento. Come nei seminari c’è una crisi di vocazioni che ha preceduto quella finanziaria. è un lavoro troppo duro, troppo faticoso, non adatto a tutti i giovani di oggi. è finita l’epoca di Ginette Venini, moglie di Paolo, che passava, regale, col martelletto a spaccare i vetri non perfetti. Sia Venini, sia Seguso, sia Barovier, quando negli anni Novanta si sono resi conto del valore che i loro vetri avevano raggiunto nel mercato del collezionismo, hanno avuto la controversa idea di “rieditare” questi pezzi.


Ogni tanto si ode il clangore del metallo su metallo. Il fuoco soffia costante in sottofondo come l’onda dell’oceano


il maestro Silvano Signoretto al lavoro.


Iyvonne Khoo, Cosmogenic Bloom (2013), scultura realizzata per Glasstress 2013, White Light/White Heat - 55. Biennale di Venezia.

Negli ultimi ventidue anni, in Venini, nonostante i numerosi cambi di proprietà, grazie alla direzione artistica di Roberto Gasparotto, lo spirito di ricerca e innovazione è rimasto vivo. Gae Aulenti, Fratelli Campana, Philip Baldwin e Monica Guggisberg, Ettore Sottsass, Tadao Ando, Alessandro Mendini, Giorgio Vigna ed Emmanuel Babled sono soltanto alcuni fra gli artisti e i designer che hanno contribuito, grazie alla loro collaborazione con Venini, a mantenere alto il nome di Murano. Lo stesso discorso vale per Barovier, Seguso e Moretti che hanno sempre tenuto d’occhio la qualità e l’innovazione.

Attilia Dorigato, per anni illuminata direttrice del Museo del vetro di Murano, ricorda con nostalgia gli anni Novanta, quando riusciva a coniugare nei libri da lei scritti e nelle mostre da lei curate il vetro antico, moderno e contemporaneo. Dalla sua collaborazione con Dan Klein, grande autorità del vetro contemporaneo, scomparso prematuramente nel 2009, nacquero le prime due memorabili edizioni di Venezia Aperto Vetro (1996, 1998) che intendevano essere, e in effetti lo furono, uno straordinario momento d’incontro di tutti quelli che facevano vetro d’arte ai massimi livelli nel mondo. Dopo la terza edizione, nel 2000, già in tono minore, Venezia Aperto Vetro si spense. Il karakiri era compiuto.

La mancata collaborazione tra Venezia e Murano aggrava ulteriormente la crisi in atto. «I veneziani se ne sono sempre infischiati di Murano», dice Attilia Dorigato, «per loro è uno di quei gioielli acquisiti e detenuti per diritto divino. I muranesi, dal canto loro, si sono adagiati su privilegi secolari. Vivono a dieci minuti da Venezia e non ci vanno mai. È un misto di ignoranza e presunzione. Sono, però, ottimista perché fra i giovani, quelli che hanno avuto il coraggio di raccogliere il testimone, come ha fatto Claudio Tiozzo, l’atteggiamento sta cambiando. Sono più aperti e sanno costruirsi un’internazionalità passo dopo passo. Bisogna incoraggiarli e aiutarli».

Virtuoso è l’esempio di Abate Zanetti, scuola oggi privata fondata centocinquant’anni fa dall’abate Zanetti, antesignano del design. Soltanto nel 2013 la scuola ha ospitato centotredici ragazzi che hanno seguito corsi teorici legati al vetro e laboratori pratici guidati soprattutto dal maestro Giancarlo Signoretto. Nella bellissima sede della scuola, attualmente presieduta da Martina Semenzato, in un’atmosfera di inedita serenità, si svolge annualmente il Premio Murano che, grazie a una giuria presieduta dal maestro Livio Seguso, seleziona i progetti vincitori arrivati da ogni parte del mondo e pone Murano, in un momento così difficile, al centro del panorama vetrario. 

Importantissima è anche l’iniziativa dei coniugi David Landau e Marie-Rose Kahane, celeberrimi collezionisti di Venini al mondo, che in concerto con Pasquale Gagliardi, segretario generale della Fondazione Giorgio Cini, hanno organizzato sull’isola di San Giorgio, nel 2012, la mostra di Carlo Scarpa e nel 2013, quella di Napoleone Martinuzzi, entrambe curate da Marino Barovier. Nel 2014 il grande appuntamento sarà con Tommaso Buzzi. Amici e consiglieri dei coniugi Landau sono Laura e Alessandro Diaz de Santillana, nipoti di Paolo Venini e figli di Ludovico Diaz de Santillana che diresse con eleganza e cosmopolitismo la Venini dopo la scomparsa di suo suocero. Queste esposizioni alla Fondazione Cini portano a contatto con il vetro tutte le personalità più importanti del mondo dell’arte, spesso totalmente ignare delle magie che sono state create con questo materiale.

Nel 2000 nella cittadella di Davide a Gerusalemme si tenne la mostra dell’artista americano del vetro Dale Chihuly - così celebre da essere sinonimo di vetro - che fu visitata da un milione e mezzo di persone. Arrivando nella sala principale c’era un grande cartello che non poteva essere ignorato: «Grazie ai miei due grandi maestri di Murano, Lino Tagliapietra e Pino Signoretto ».

Alessandro Mendini, Arsos (1990), realizzato per la Venini.


Tristano di Robilant, La lumera (2010). Maestro vetraio Andrea Zilio, vetreria Anfora.

Alcune opere di Zhanna Kadyrova esposte nella mostra Data Extraction alla Galleria Continua di San Gimignano (Siena) dal 16 marzo al 4 maggio 2013. Filling In (2012);


Data Extraction - Autostrada SA-RC (2013);

Se l’Unione Sovietica si è poi dissolta, non altrettanto si può dire della censura sul territorio ex sovietico: la mostra Ukrainian Body (2012), organizzata dal Visual Culture Research Center di Kiev e dalla National University of Kyiv-Mohyla Academy è stata chiusa dal presidente della stessa accademia, dopo la visita inaugurale: troppi nudi e immagini disturbanti, come la videoinstallazione del giovanissimo Mykola Ridnyi (Kharkiv, 1985) che alternava, in sequenza continua, le immagini di una vagina e del Parlamento ucraino, chiedendo al pubblico quale fosse più irritante. Secondo Kateryna Botanova, direttrice del CSM/Foundation Centre for Contemporary Art di Kiev, tuttavia, la vicenda ha dimostrato che l’arte contemporanea «non è sempre bella e glamour, ma può essere sovversiva, luogo di incontro e discussione»(2). E sicuramente sovversivo è il lavoro di uno dei più celebrati fotografi viventi, Boris Mikhailov (Kharkiv, 1938) che, nelle sue raggelanti immagini, documenta la disgregazione sociale seguita allo scioglimento dell’Unione Sovietica. In una delle sue serie più note, Case History (1997-1998), ha mostrato con crudezza tagliente la povertà devastante e l’impotenza quotidiana nella vita dei senzatetto, ritratti nudi come «coloro che erano destinati alle camere a gas». Mikhailov negli ultimi quattro anni ha esposto negli spazi più importanti del mondo, dalla Kunsthalle di Vienna al MoMA di New York, alla Biennale di Venezia.

Ancora in questi giorni, apparentemente a un passo dalla guerra civile, l’Ucraina è divisa tra Europa e Russia, in un’altalenante successione di personaggi controversi e vicende inquietanti: l’annullamento nel 2004 delle elezioni (che vedevano vincitore l’attuale presidente Janukovyč), invalidate dalla Corte suprema ucraina per i brogli elettorali denunciati dallo sfidante Juščenko; il misterioso avvelenamento di quest’ultimo; la cosiddetta “rivoluzione arancione”; l’incarcerazione per abuso d’ufficio di Julija Tymošenko, detenzione definita “illegale” dal Tribunale europeo. In un clima così torbido, l’arte si dichiara - fortunatamente - “engagé”. E lo dimostra anche nell’ufficiale occasione della neonata Biennale di Kiev, in questo anno alla sua seconda edizione (da settembre a novembre 2014, a cura degli austriaci Georg Schöllhammer e Hedwig Saxenhuber, esperti di arte dell’area ex sovietica), nello sconfinato spazio Mystetskyi Arsenal, già caserma. Nella prima edizione della Biennale, a cura dell’inglese David Elliott, era esposta una sequenza di stoviglie di raffinata porcellana che illustrava, nelle decorazioni, come torturare i dissidenti politici. Era Procedure Room di Nikita Kadan (Kiev, 1982) il cui stile volutamente “didattico” delle illustrazioni richiamava i manuali medici dell’era sovietica, dove spesso erano raffigurati pazienti sorridenti, anche se costretti a pratiche evidentemente assai dolorose; il messaggio era chiaro: «Non lamentatevi, è per il vostro bene». Kadan fa parte del gruppo R.E.P. (Revolutionary Experimental Space) nato nel 2004 con azioni artistiche di protesta durante la “rivoluzione arancione” e che, se si avvicina alla posizione “filoeuropeista”, non manca però di denunciare la colonizzazione occidentale. Le opere dei componenti del gruppo sono state esposte anche al museo Pecci di Prato nella gran bella mostra Progressive Nostalgia (2007), curata dal russo Viktor Misiano. Del collettivo fa parte anche l’artista Zhanna Kadyrova (Brovary, 1981), che privilegia l’utilizzo dei materiali grezzi dell’edilizia o fortemente connotati storicamente (come le mattonelle, tipiche decorazioni degli interni sovietici, o il vasellame smaltato). Ospite, lo scorso anno, con la prima personale italiana alla Galleria Continua di San Gimignano (Siena), come sempre punto di riferimento imprescindibile per l’arte internazionale. L’asfalto era il protagonista del progetto Data Extraction in mostra alla galleria toscana: il manto stradale divelto per essere rinnovato in vista dei campionati europei di calcio, l’ennesimo repentino cambiamento, l’ennesimo passato gettato alle spalle. Del quale Kadyrova cerca di serbare una traccia.



Arsen Savadov, Donbass-Chocolate (1997).


Boris Mikhailov, foto della serie Case History (1997-1998), Londra;


Alevtina Kakhidze, Ukrainian Collection (2008).


Nikita Kadan, Procedure Room (2009-2010).

«Così è la vita in questo maledetto buco, in questo ostello letterario creato dal sistema per giustificarlo e soddisfarlo. In questo labirinto di sei piani nel mezzo della spaventosa capitale nel cuore marcescente di un Impero mezzo morto. Perché anche se il poeta russo Ježevikin prova un orgasmo al solo suono della parola “Impero”, comunque il gioco è bello, ma dura poco, e tu, Otto von F., percepisci sulle tue spalle che l’Impero si scuce e si strappano, cascando da tutte le parti, paesi e nazioni. Ognuno di essi assume adesso l’importanza di tutto l’universo, o almeno di un continente».

Nel disfacimento dell’impero i più deboli, da sempre, soccombono. Ispirata al lavoro sociale di Mikhailov è anche la proposta artistica del collettivo SOSka group, creato da Mykola Ridnyi - l’artista censurato per Ukrainian Body - e da Anna Kriventsova (Evpatoria, 1985). Con il progetto Barter (2007) Ridnyi e Kriventsova si muovono nella campagna ucraina, barattando riproduzioni di quadri e foto di artisti famosi con i prodotti locali, metafora del sistema economico parallelo sviluppatosi con la svalutazione di denaro, dopo la caduta dell’URSS. Alevtina Kakhidze (Zhdanovka, 1973), artista e critica militante, residente per lunghi periodi all’estero, ha raccolto in una serie di disegni tutti i beni di lusso e i loro prezzi, per lei (e molti altri) inaccessibili, proponendone un’appropriazione attraverso il disegno. Anche Arsen Savadov (Kiev, 1962) si confronta con il mondo del fashion, inserendo all’interno del vecchio cimitero ortodosso delle discinte modelle, espressione di uno scontro di civiltà, oggi in atto nel paese. Ivan Bazak (Kolomiya, 1980) è invece uno dei numerosissimi migranti ucraini del mondo, e ha fatto della sua condizione di artista espatriato il punto centrale del suo lavoro: nel suo progetto Where is my home? Where are you at home? (2008) dipinti, video, foto e modellini di case abbandonate documentano il cammino di un’intera comunità sradicata, divisa tra Ucraina e Italia.


Si ringraziano Verusca Piazzesi e Alice Broi della Galleria Continua, San Gimignano (Siena).


Ivan Bazak, modellino di casa abbandonata dal progetto Where is my home? Where are you at home? (2008).


collettivo SOSka group, foto dalla serie del progetto Barter (2007).

ART E DOSSIER N. 308
ART E DOSSIER N. 308
MARZO 2014
In questo numero: MYTHOS ITALIEN L'Italia nell'immaginario europeo: dai caravaggisti olandesi alla Firenze del Grand Tour, dai sogni Art Déco ai vetrai muranesi. IN MOSTRA: Matisse, Ossessione Nordica, Montserrat, Este.Direttore: Philippe Daverio