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Il Musée du Quai Branly: intervista a Stéphane Martin

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Lavoro intenso, apertura verso la società, nuovi progetti, approccio multidisciplinare sono alcuni degli ingredienti fondamentali che consentono al Musée du Quai Branly di rendere appetibile il proprio patrimonio antropologico. Come illustra in questa intervista il direttore del museo parigino.

Antonio Aimi

Nel giro di soli sette anni il Musée du Quai Branly è diventato dei primi tre musei di antropologia del mondo. Come possibile raggiungere risultato? Abbiamo lavorato intensamente. In questi anni abbiamo preparato sessantotto mostre, alcune delle quali hanno avuto un straordinario. Basti pensare che la mostra Chéris (18 settembre 2012 - 14 luglio 2013) oltre trecentocinquantasettemila visitatori esposizioni hanno superato i duecentomila. nostra più grande soddisfazione è che più dei visitatori non sono turisti, ma francesi venuti al museo più di una volta per il piacere di conoscere le culture “altre”.

Certamente abbiamo sfruttato l’onda lunga di un interesse che da almeno una decina d’anni spinge il pubblico dei musei a cercare nuove informazioni sulle culture extraeuropee. Devo ammettere, poi, che abbiamo approfittato del fatto che da un po’ di tempo i musei di antropologia avevano perso un po’ del loro “appeal”. E questo, credo, per due motivi. 


In primo luogo per via delle loro pretese classificatorie, che, pur essendo, ovviamente, più che legittime, spesso venivano portate avanti in modo un po’ rigido e totalizzante, come se fosse possibile mettere il mondo in una bottiglia. In secondo luogo a causa di una certa nostalgia passatista verso società scomparse o che stavano scomparendo.

una sala del Musée du Quai Branly.


veduta interna del Pavillon des Sessions del Louvre, considerato l’“antenna” del Musée du Quai Branly.

E come va il Pavillon des Sessions, la vostra “antenna” al Louvre?
Continuiamo a fare dei piccoli cambiamenti lungo il percorso espositivo, perché c’è una certa rotazione degli oggetti. Lì, inoltre, esponiamo alcuni degli acquisti più importanti. L’ultima novità è una grande scultura del Sepik che abbiamo comperato dal Barbier-Mueller di Ginevra. 


Purtroppo la Porte des Lions, che consente un accesso diretto al Pavillon des Sessions [ed è quindi utile per entrare nel museo evitando le code delle entrate tradizionali] è spesso chiusa per mancanza di personale. 


Sono stato recentemente al Pavillon des Sessions col direttore del Louvre e, avendo trovato chiusa la Porte des Lions, abbiamo fatto il percorso più lungo. Quando siamo arrivati nella sala principale abbiamo visto che era molto affollata, nonostante non sia immediato raggiungerla. 


Il Louvre, oltre al progetto di Abu Dhabi, ha realizzato l’“antenna” di Lens. Il Musée du Quai Branly ha l’antenna del Louvre, pensa di aprire altre “antenne” in Francia o all’estero?
No, non pensiamo di realizzare antenne come quella di Lens, perché, anche se la Francia è un paese molto centralizzato, in provincia ci sono ottimi musei. Inoltre, pensando a istituzioni per certi versi vicine al Musée du Quai Branly, bisogna ricordare che è stato appena inaugurato il MuCEM - Musée des civilisations de l’Europe et de la Méditerranée di Marsiglia e che a Lione stanno realizzando il Musée des Confuences. E poi non sono sicuro che la soluzione delle “antenne” sia praticabile nel lungo periodo. Anche noi, tuttavia, siamo coinvolti nel progetto di Abu Dhabi, che com’è noto coinvolge altri musei francesi, come il Centre Pompidou, il Musée Guimet, il Musée d’Orsay e la Bibliothèque nationale de France. Ma sul piano della proiezione esterna del Musée du Quai Branly mi sembra importante ricordare che nel 2010 abbiamo portato a Singapore la mostra Fiume Congo, che è stata la prima mostra d’arte africana mai realizzata in un paese asiatico da un’istituzione scientifica come la nostra. Quando l’abbiamo inaugurata anche i nostri partner di Singapore avevano qualche perplessità. Eppure l’esposizione ha avuto un successo straordinario; dopo la tappa di Singapore la mostra è stata trasferita in Cina e il 22 ottobre scorso è stata presentata al Museo nazionale della Corea, a Seul.


Figurina Chupicuaro (400 a.C. circa), conservata al Pavillon des Sessions del Louvre. L’immagine dell’opera è il logo del Musée du Quai Branly.


Due opere esposte al Musée du Quai Branly.


«Ci sono dei musei che sono stati restaurati ma se questi musei non cambiano il rapporto con la società che li ospita e restano immobili, la ristrutturazione non serve a nulla»


Ma in che modo si possono portare più persone nei musei di antropologia e nei musei in generale?

Ci sono dei musei che sono stati restaurati e possono vantare una nuova struttura, nuove vetrine e un nuovo percorso espositivo, ma se questi musei non cambiano il rapporto con la società che li ospita e restano immobili e privi di proposte, la ristrutturazione non serve a nulla. Nel caso dei musei di antropologia è necessario mostrare di essere in grado di dare un contributo alla comprensione del mondo contemporaneo, dando spazio alle fgure più varie. Noi, per esempio, abbiamo affdato le mostre non solo agli antropologi, ma anche a storici, artisti, personalità dei paesi le cui culture sono al centro dei musei di antropologia. E quando parlo di mondo contemporaneo mi riferisco a tutte le espressioni delle società odierne, tra le quali ha un ruolo fondamentale anche l’arte. Da questo punto di vista, considerando il rapporto tra arte extraeuropea e arte moderna, credo che i musei di antropologia dovrebbero sviluppare un confronto serrato con l’arte contemporanea, un settore che, detto en passant, ha molte più risorse di quelle su cui possono contare i musei.


Lei ha detto che dopo Malraux la cultura è un tema centrale della politica francese. Come si può spiegare questa centralità ai lettori italiani?
Nonostante la crisi obblighi un po’ tutti a concentrarsi sull’essenziale, è vero che da molto tempo in Francia la vita culturale, e mi riferisco anche a questioni di non primissimo piano come la nomina di un direttore di museo, è un tema importante, che è un po’ al centro dei media e della stessa vita politica. Da noi non esistono politici di primo piano che s’interessano solo di economia e non di cultura. Se, per esempio, un sindaco di una grande città non facesse investimenti nella cultura, non sarebbe preso sul serio.

Stéphane Martin, direttore del Musée du Quai Branly, è nato nel 1956, si è laureato all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi e poi si è specializzato alla celebre ENA (Ecole Nationale d’Administration). Oltre al cursus honorum tipico degli “enarchi”, si può segnalare che dal 1989 al 1990 è stato “délégué général” del Centre Georges Pompidou e in seguito direttore della segreteria del ministro della Cultura dal 1993 al 1997 e poi del Forum Grimaldi dal 1997 al 1998. Nominato direttore del Musée du Quai Branly nel 1998, prima che il museo fosse inaugurato, si è occupato dell’allestimento del Pavillon des Sessions e poi del trasferimento al Musée du Quai Branly (con tanto di digitalizzazione, pulitura, ecc.) dei reperti ereditati dal Musée de l’Homme e dal Musée des Arts d’Afrique et d’Océanie.

Musée du Quai Branly 

Il Musée du Quai Branly è situato nell’omonimo Lungosenna del VII arrondissement di Parigi, a breve distanza dalla Tour Eiffel (l’ingresso è in rue de l’Université 218). è stato inaugurato nel 2006 ed è diventato in pochi anni uno dei tre musei di antropologia e/o di arte extraeuropea più visitati al mondo (oltre al Musée du Quai Branly si contendono il primato il National Museum of American Indian di Washington e il Museo Nacional de Antropología di Città del Messico). Il Musée du Quai Branly, tuttavia, esiste da prima della sua apertura, perché fin dal 2000 una sua sezione si trovava al Pavillon des Sessions del Louvre, dove sono esposti centootto capolavori dell’Africa, dell’Asia, dell’Oceania e delle Americhe in un percorso volto a mettere in rilievo le loro particolari valenze estetiche. Il Musée du Quai Branly è frequentato ogni anno da oltre 1.350.000 visitatori, che per il 54% sono originari di Parigi e della regione dell’Île-de-France, il resto proviene dai dipartimenti della provincia (29%) o dall’estero (17%). Custodisce oltre trecentomila reperti, tremilacinquecento dei quali sono presentati lungo il percorso permanente. Nonostante al momento dell’apertura avesse in dotazione una delle più ingenti raccolte al mondo, dal 2006 ha comperato tremilacinquecento nuovi reperti. Fino al 26 gennaio sarà possibile visitare tre mostre: Kanak (arte cultura della Nuova Caledonia); Les Résidences de Photoquai (mostra fotografica di artisti non europei); Secrets d’Ivoire (l’arte dei Lega dell’Africa centrale).

 
A. A.


Veduta esterna del Musée du Quai Branly.

ART E DOSSIER N. 306
ART E DOSSIER N. 306
GENNAIO 2014
In questo numero: MANIERISMI E SEX APPEAL Quando l'eros insidia lo stile, dal Primaticcio a Balthus, dal mito di Leda a Benton all'arte contemporanea. IN MOSTRA: Fornasetti, Renoir.Direttore: Philippe Daverio