CATALOGHI E LIBRI

DICEMBRE 2022

OUTSIDERS 3 IL LIBRO CHE CAMBIA LA STORIA DELL’ARTE.
ARTISTI GENIALI.
DIMENTICATI

Alfredo Accatino non ha bisogno di presentazioni: celebre creativo, polemista, autore televisivo e non solo. Col suo blog di successo, “Il Museo Immaginario - Outsiders”, e l’omonima rubrica sulla nostra rivista, ha attratto la curiosità anche di persone che forse di artisti del Novecento non si erano finora interessati troppo. Dopo il successo dei due precedenti volumi, Outsiders 1 e 2, di cui abbiamo reso conto a suo tempo, ecco uscito da pochi mesi il capitolo 3 con tanti nomi sconosciuti ai più, attivi in massima parte nel secolo scorso. Ne ha già parlato Claudio Pescio in una bella intervista, Le parabole dei talenti, nel numero di ottobre scorso di “Art e Dossier” (n. 402, pp. 14-15). Qui allora ci piace rievocare, fra i meno noti, il cinese Sanyu (1895- 1966), morto a Parigi in miseria, oggi alla ribalta per i prezzi record ottenuti alle aste. I suoi nudi o i pesci rossi, molti del secondo dopoguerra, somigliano fin troppo (a mio parere) a quelli di Matisse del 1909-1912 senza averne la geniale inventiva. Tuttavia fu capace nelle nature morte di una sintesi, questa sì affascinante e talentuosa, fra il mondo orientale dal quale proveniva e l’Occidente dove visse ossessionato da una sua invenzione balorda, il pingtennis. Dieci e lode.


Alfredo Accatino
Giunti Editore, Firenze 2022
240 pagine, oltre 200 ill. colore
€ 29

EGON SCHIELE
IL DIAVOLO IN CORPO

Schiele è morto di spagnola nel 1918, ventottenne, pochi mesi dopo l’amico Klimt, e solo tre giorni dopo la moglie, ritratta sul letto di morte, e prima ancora in un utopico gruppo di famiglia, col bimbo mai nato. Coi suoi temi inquietanti, così attuali nei nostri incerti tempi, Schiele forse aveva proprio “il diavolo in corpo”, come il liceale protagonista dell’omonimo romanzo di Raymond Radiguet (1926, nuova edizione Bompiani, Milano 2021). A questo allude il titolo del bel libro di Eva di Stefano, che fra le altre cose nel 2010 ha fondato la rivista “Outsider Art”, che ancora dirige. Cosa spinse Schiele, morto nel 1918, anno in cui è ambientato lo sconvolgente romanzo di Radiguet, a dipingere nudi inquietanti, autoritratti ossessivi, tensioni erotiche, volti, mani, corpi ossuti e contorti, malinconici paesaggi? Almeno in parte, la spinta scaturì dal tema dello sdoppiamento. Il libro non parla solo di questo, ma presto si comprende come “il doppio” sia un nodo centrale nella biografia di Schiele, innescatore di scandali e di censure espositive perfino in anni recenti di questo nostro secolo. Il diavolo nella sua pittura è quell’elemento dell’inconscio di ascendenza romantica, come nel visionario Gli elisir del diavolo (1816) di E.T.A. (Ernst Theodor Amadeus) Hoffmann, o nell’imaginifico Il sosia (1846) di Dostoevskji. Somiglia anche al doppio del biblico serpente tentatore, evocato da Praz nel Patto col serpente (1972). Nella Vienna dell’età dell’inconscio, che spesso abbiamo citato in questa rubrica, un simile diavolo penetra nelle pieghe dell’animo, svela nevrosi, malinconie e solitudine, come spiega l’autrice nella parte finale di questa argomentata monografia critica. La solitudine si legge in uno dei «suoi più lirici ed essenziali paesaggi», i Quattro alberi (1917, Vienna, Belvedere) profilati contro un cielo striato di rosa, quasi fosse di Munch. Così, «nel prevalente linearismo e nell’assenza di spazialità, la fila parallela degli alberi evoca una solitudine infinita, atemporale […]. Potrebbe sembrare quasi un ritorno momentaneo al gusto secessionista o [...] un omaggio al parallelismo armonioso di Ferdinand Hodler, […] molto ammirato da Schiele. Forse, ma è più di un esercizio: è una visione». Concordiamo con l’autrice di questo libro da leggere con attenzione, anche se con presunzione si credesse di aver già tutto compreso di Schiele.


Eva di Stefano
Giunti Editore, Firenze 2022
240 pp., 245 ill. colore e b.n.
€ 49

GLI IMPRESSIONISTI E IL GIAPPONE
ARTE TRA ORIENTE E OCCIDENTE.
STORIA DI UN’INFATUAZIONE

Come un’amante respinta, l’arte occidentale ha spesso agognato di abbracciare con passione la civiltà del Giappone: ma era una chimera, una visione negata. La più remota cultura cinese è stata per secoli assai più vicina. Non è un paradosso. In Cina, gli occidentali commerciavano e andavano da secoli mentre il Giappone, circondato dalle acque, si era disvelato solo nel Cinquecento, pare per caso, ai naviganti portoghesi. Poi, verso il 1650, nel rutilante periodo Edo, l’isolamento dall’Occidente (“sakoku”, incatenamento) divenne quasi totale. Comunque, i porti del Giappone si riaprirono subito dopo la metà dell’Ottocento, ed è allora che il “japonisme” cominciò, in modo folgorante, ad affascinare letterati, musicisti, pittori, decoratori. Di questo parla con dovizia di dati Francesco Morena, autore per Giunti di molti libri e cataloghi sull’arte orientale. L’infatuazione occidentale verso il Giappone non ha conosciuto interruzioni da allora, anche se il periodo più interessante e fecondo tocca gli ultimi decenni dell’Ottocento fino al Liberty e all’Art Nouveau e tocca artisti come Derain, Picasso, Matisse. L’esempio più eclatante resta Van Gogh, che non varcò mai i confini europei ma si rappresentò come un bonzo giapponese, con la testa rasata, i tratti del volto marcati in senso orientale, gli occhi più a mandorla di quanto non avesse. Molti all’epoca collezionavano stampe giapponesi, Vincent compreso, che imitò alla lettera le celebri vedute di Hiroshige, nei temi e nello stile bidimensionale. Lo stesso fecero Gauguin e i simbolisti, e in diversa misura già gli impressionisti, i puntinisti e i Nabis. Alla conoscenza dell’arte giapponese aveva contribuito in prima battuta il mercante franco-tedesco Samuel Bing. Nel 1888, su “Le Japon artistique” (rivista il cui titolo è di per sé un manifesto), dichiarava: «L’artista giapponese è convinto che la natura contenga gli elementi primordiali di tutte le cose e che […] nulla esista nel creato, sia anche un filo d’erba, che non sia degno di avere un posto nella nobile concezione dell’arte». Morena va oltre, attraversa gli stili e gli argomenti più svariati, fino al “japonisme” pop di David Bowie e infine dei manga e del “cosplay”. Da leggere e regalare, in attesa di un libro sull’infatuazione inversa. Aneddoto: anni fa a Tokyo, mentre ammiravo estasiata un paravento Edo istoriato, il direttore del museo mi indicava orgoglioso un Renoir.


Francesco Morena
Giunti Editore, Firenze 2022
240 pagine, 250 ill. colore
€ 49

ARTE ITALIANA
MILLE ANNI DI STORIA

Antonio Paolucci, classe 1939, ha ricoperto cariche istituzionali di prestigio nel campo dei beni culturali (ultima nel tempo la direzione dei Musei vaticani); ha curato mostre epocali, si è occupato di questioni delicate. Ricordo, fra i tanti, il suo tempestivo, appassionato intervento di commissario straordinario per il salvataggio degli affreschi sulla volta della basilica superiore di Assisi, dopo il terremoto del settembre 1997, tragedia che pareva irrimediabile, un anno dopo la conclusione del mandato di Paolucci come ministro dei Beni culturali. Vorrei dire anche della sua coinvolgente simpatia romagnola, del suo senso dello humour, come quando, un po’ per celia, un po’ sul serio, raccomandò alla squadra di funzionari e tecnici degli Uffizi, di «non dar troppo nell’occhio» nel momento in cui un’immensa gru, che quasi si vedeva dalle colline, tanto era alta, avrebbe dovuto trasportare e riposizionare nella sala della Niobe le gigantesche tele restaurate con le Battaglie di Rubens, facendole passare dai finestroni del secondo piano della Galleria. Insomma, Paolucci ha molte doti ben note a chi ha la fortuna di collaborare con lui, ma il merito che lo rende stimatissimo anche dal largo pubblico è quello di essere un brillante oratore televisivo, un editorialista e un divulgatore. È un piacere ascoltarlo e soprattutto leggerlo: una penna forbita e un eloquio chiarissimo e mai casuale né retorico. Non è facile. Così, il lungo cammino dell’arte italiana, dall’anno 1000 a oggi, ripercorso in questo splendido libro illustrato, è la sintesi delle sue non poche doti. Rileggiamo, quasi senza accorgercene, piacevolmente, oltre mille anni della nostra cultura: affascinanti suggestioni, intrecci con la storia, la società, la letteratura che hanno fatto grande il nostro paese. Basti come esempio il brano del capitolo sull’arte gotica, dove nella basilica superiore di Assisi s’immagina Dante che ammira gli affreschi «guardando la volta, percorrendola lentamente con gli occhi e camminando a ritroso, dal presbiterio sormontato dagli Evangelisti di Cimabue all’ultima campata, quella decorata con le immagini dei Dottori della Chiesa: Agostino e Girolamo, Ambrogio e Gregorio». «A mio giudizio», aggiunge Paolucci, «non esiste, in tutto il San Francesco, un tracciato cronologico stilistico didatticamente più efficace». Proprio come questo suo libro.


Antonio Paolucci Giunti Editore, Firenze 2022 325 pagine, oltre 400 ill. colore € 35

ART E DOSSIER N. 404
ART E DOSSIER N. 404
DICEMBRE 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: Crivelli, una rivelazione di Federico D. Giannini; BLOW UP: Avedon - di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Olafur Eliasson a Firenze - Ognuno vede a modo suo di Lauretta Colonnelli; 2 - Freud a Londra - Quel senso di tragicità a fior di pelle di Valeria Caldelli; ....