L'oggetto misterioso 

VANAGLORIA,
FALSA BIONDA

A Siena sono iniziati i restauri al grandioso ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti nella sala della pace del palazzo pubblico. fra le figure indimenticabili colpisce vanagloria, talmente vanesia da fingersi bionda.

Gloria Fossi

Siena, Palazzo pubblico, Sala della pace. A vederla così, a distanza ravvicinata, sui ponteggi allestiti per il restauro del grandioso ciclo di Ambrogio Lorenzetti (noto come Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo)(1), la personificazione alata di Vanagloria, segnalata anche dalla scritta – una delle poche in volgare fra quelle che corredano gli affreschi – colpisce per alcuni particolari che ritengo unici nell’iconografia trecentesca, almeno per quanto è sopravvissuto. Che sia vanesia lo si capisce non solo dal fatto che la giovane si guarda nello specchio, ma anche perché veste un abito raffinato e l’acconciatura è sin troppo elegante per le leggi suntuarie dell’epoca, anche se le eccezioni a quel tempo non mancavano(2). D’altra parte è molto elegante anche la figura di Superbia, che compone, assieme ad Avarizia, vecchia e canuta, la triade negativa al di sopra della orrida figura di Tirannide. Vanagloria tiene una canna nella mano sinistra, le cui fronde sono mosse dal vento che soffia da sinistra, sulla parete ovest del ciclo, e fa svolazzare i lembi della veste ornata di bottoni che paiono gioielli.


Vanagloria, indica il vocabolario Treccani, viene dal latino “vana gloria”, «vanteria vuota», e significa «sentimento di vanità, di fatuo orgoglio, per cui si ambisce la lode per meriti inesistenti o inadeguati; nella teologia morale cattolica è definita come l’immoderato desiderio di manifestare la propria superiorità e di ottenere le lodi degli uomini». Insomma, si pecca di vanagloria, e tantopiù è peccatrice la nostra amica dipinta da Lorenzetti. È anche bugiarda, perché a ben guardare i suoi capelli non sono biondi come vuol far sembrare, e anche per questo, probabilmente, sta controllando nello specchio se è possibile che gli altri se ne accorgano.

L’acconciatura è composta di bei capelli biondi come l’oro, legati da un filo o nastrino, il cosiddetto “intrecciatoio”, che poteva essere di seta ma anche di un metallo prezioso, oppure, come in questo caso, ornato di bigiotterie, a simulare gemme più preziose, che appunto erano proibite. Si chiamava così perché veniva intrecciato, come qui si vede, attorno ai capelli. Insomma, verrebbe da pensare che Vanagloria avesse i «crin biondi e leggieri», come la bella Neifile cantata qualche anno dopo dal Boccaccio nel Decamerone (seconda e nona giornata).


Ma Neifile è leggiadra, gentile e umile, e arrossisce quando riceve una ghirlanda dal capo della regina, e «qual fresca rosa d’aprile o di maggio in su lo schiarir del giorno si mostra, con gli occhi vaghi e scintillanti, non altramenti che mattutina stella, un poco bassi». Mi piace immaginare che cotal soave bellezza, Neifile, intendo, fosse d’un biondo dorato, naturale, anche se i capelli biondi sono idealizzati, e rispondono ai canoni della bellezza femminile e dell’amore angelicato cantato dai poeti stilnovisti. E gli angeli, si sa, sono sempre biondi: «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi / Che’n mille dolci nodi gli avvolgea», canta poi Petrarca mentre immagina il vento (l’aura) che scompiglia i capelli biondi dell’amata. Come sempre si dice, il termine aura risponde anche al nome Laura dell’amata in questione. Anche l’oro, come l’aura, è un “senhal”, cioè un segnale poetico che nasconde altro, come conferma un altro sonetto petrarchesco: «Aura che quelle chiome bionde et crespe Cercondi et movi, et se’ mossa da loro, soavemente, et spargi quel dolce oro, et po’ raccogli, e’n bei nodi il rincrespe»(3).


Ambrogio Lorenzetti, Superbia, Avarizia, Vanagloria e Tirannide, particolare dell’Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo (1338 circa) prima del restauro in corso, Siena, Palazzo pubblico, Sala della pace o dei nove.

Ma è mai possibile che tutte le donne toscane del Trecento fossero bionde, e coi capelli crespi? Negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti sono bionde la personificazione della Pace, e le fanciulle che danzano spensierate per le strade della città. Ed è meravigliosamente bionda una delle sue immagini femminili più affascinanti, l’Eva che fece «pechato» nell’affresco di Montesiepi (Siena), anch’esso restaurato magistralmente da Massimo Gavazzi nel 2015, sotto la direzione di Alessandro Bagnoli (li ringrazio entrambi per le preziose informazioni).
Erano davvero tutte bionde nella realtà? Certo che no, ma dato che nascere more doveva essere una iattura, le brune avevano trovato diversi rimedi. Nel Trecentonovelle Franco Sacchetti(4) racconta che nelle giornate estive «tutto il dì su per li tetti chi l’increspa e chi li appiana, chi l’imbianca»: cioè le donne salivano sui tetti, e ci rimanevano (forse com- pletamente disidratate) non solo per increspare o lisciare i capelli, ma per far sì che li schiarisse il sole più cocente («Al sol si stanno, quando egli arde il mondo»). Boccaccio narra invece che «or con solfo e quando con acque lavorate e spessimamente co’ raggi del sole, i capelli, neri dalla cotenna produti, somiglianti a fila d’oro fanno le più divenire». C’era infine un’altra pratica, la meno nociva, ma considerata disdicevole e ingannevole al massimo grado: l’uso di capelli e trecce posticce. Biondi, naturalmente. E siccome si considerava che in tal modo la donna avesse perduto ogni ritegno, Ambrogio raffigura Vanagloria mentre scruta nello specchio l’effetto che fanno i suoi capelli biondi posticci, dai quali sbucano i suoi, castano scuro. La vanitosa, però, aveva commesso un grave errore, dimenticandosi di decolorare le sopracciglia, ammesso che sapesse come fare. A proposito, è probabile che i capelli sotto, quelli castani, se li fosse lavati di sabato, usanza che Neifile rammenta nel Decamerone, nella chiusa della seconda giornata, «per tor via ogni polvere».

(1) Si tratta, come ha comunicato il Comune di Siena, di «un cantiere di nuova concezione – installato a marzo di quest’anno – pensato non solo come laboratorio di indagine e intervento da parte degli addetti, ma anche come “luogo della conoscenza” e dello studio dell’arte, aperto e fruibile dal pubblico». Dopo le indagini diagnostiche e la campagna fotografica pre-restauro di Andrea Sbardellati, i restauri sono condotti da Massimo Gavazzi. Le visite guidate al cantiere per il pubblico saranno previste su prenotazione (www.comune.siena.it).
(2) Cfr. G. Fossi, Le bionde trecce, in L’Oggetto misterioso, Firenze 2021, pp. 86-89.
(3) F. Petrarca, Rime, XC; CCXXVII.
(4) F. Sacchetti, Il Trecentonovelle (seconda metà del XIV secolo), novella CLXXVIII: «O vanagloria dell’umane posse, che per te si perde la vera gloria», aggiunge Sacchetti a chiusa dell’episodio delle false bionde sui tetti. È evidente qui l’allusione al Canto XI del Purgatorio nella Divina Commedia, ma credo non sia da escludere che Sacchetti conoscesse anche la Vanagloria con le trecce posticce di Ambrogio Lorenzetti.

ART E DOSSIER N. 403
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NOVEMBRE 2022
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