Grandi mostre. 5
I PITTORI DI POMPEI A BOLOGNA

L'INGANNO
SPLENDIDO

Chi erano i “pictores” di età romana? difficile dirlo, visto che operavano in modo anonimo. tuttavia, il ritrovamento delle città sepolte dall’eruzione vesuviana (79 d.c.) ha permesso almeno di ricostruire il nesso tra la decorazione degli spazi e la loro funzione. un punto di partenza essenziale per proseguire l’indagine in questa direzione attraverso alcuni affreschi ora visibili nella mostra al museo civico archeologico, illustrata qui dal curatore.

Mario Grimaldi

«Ma agli occhi dei Greci non era tra i marmi, i bronzi e gli ori la suprema bellezza: dei grandi eventi dell’arte fu la pittura l’inganno splendido, l’artificio per la perfetta realizzazione dell’immaginario, dove il tangibile e l’irreale si confondevano, e la memoria e i sensi erano condotti a esaltanti visioni»(1). Con queste parole, Paolo Moreno, archeologo e storico dell’arte scomparso lo scorso anno, introduceva una delle sue principali opere sullo studio e la conoscenza della pittura che definiva «inganno splendido» cogliendo così il reale senso che una simile manifestazione d’arte ebbe soprattutto per le società antiche. Tale concetto se da un lato creava accordo sul senso intrinseco di siffatta arte, dall’altro dava vita a differenti concezioni del valore dell’artista a seconda delle società di riferimento.


Per confrontare il diverso utilizzo e concetto di arte tra il suo passato (inteso come origine e storia della pittura in Grecia) e il suo presente, inteso come l’utilizzo che se ne fece in età romana (periodo al quale ci riferiamo per gli oggetti esposti in questa mostra) possiamo riprendere le parole di un autore a quest’ultima contemporaneo quale Plinio il Vecchio: «In verità però non c’è gloria se non per coloro che dipinsero quadri; e a questo proposito tanto più ammirevole appare la saggezza degli antichi.

Essi infatti non abbellivano le pareti soltanto per i signori e i padroni, né decoravano case che sarebbero rimaste sempre in quel luogo e sottoposte quindi alla distruzione per gli incendi […] Non ancora era di moda dipinger tutta la superficie delle pareti; l’attività artistica di quei pittori era rivolta verso gli edifici cittadini e il pittore era considerato proprietà dell’universo»(2). Per Plinio, la differenza non risiedeva così nella ricerca di quell’«inganno splendido », che crea un rapporto tra l’opera e l’osservatore, ma nel diverso concetto di artista, tra quello che dipinge quadri e decora lo spazio pubblico (uomo o donna che fosse) considerato e da considerare proprietà dell’universo, e quello a lui coevo, che semplicemente abbelliva e decorava le pareti delle case creando un’arte senza maestri conosciuti.


IN ALCUNI CASI, IL PITTORE DÀ LIBERO SFOGO A UNA TRASPOSIZIONE TRA MONDO MITOLOGICO E MONDO REALE INSERENDO OGGETTI TRATTI DALLA VITA QUOTIDIANA


Pittore al lavoro, particolare di decorazione in IV stile nella Casa della regina Carolina a Pompei, tavola da Gli ornati delle pareti ed i pavimenti delle stanze dell’antica Pompei: incisi in rame, Napoli 1838.

Nella società romana dunque, che comunque riconosceva nelle sue origini l’arte del dipingere – «Anche presso i Romani la pittura ebbe onore assai presto, dal momento che una celebre gens dei Fabi derivò da quest’arte il cognome di Pittori; e il primo che portò questo cognome dipinse di propria mano il Tempio della Salute»(3) –, l’originario rapporto tra pittura e alta società patrizia andò deteriorandosi, riportando tale arte ai margini più bassi della comunità, relegandola come opera propria di liberti, schiavi, donne e persone inabili alla vita politica e militare, legata più al mondo del teatro.
L’eccezionale rinvenimento delle città seppellite dall’eruzione vesuviana del 79 d.C. (Ercolano, Pompei e Stabia) appare uno degli ambiti di studio più completi per la contestualizzazione degli apparati decorativi che, conservati perfettamente “in situ”, permettono così di ricomporre quei rapporti funzionali tra spazio e decorazione. Infatti sempre più si è integrata a un’analisi tipologica degli “stili” codificati, l’interesse verso i rapporti esistenti tra la decorazione degli ambienti e la loro funzione. In questo contesto la figura del “pictor” appare essere fondamentale per tradurre in immagini il rapporto esistente tra il committente (il “dominus”) e lo spazio da decorare.

L’esperienza che si propone con la mostra in corso al Museo civico archeologico di Bologna è dunque quella di rileggere, all’interno di questa prospettiva, alcuni grandi esempi decorativi facenti parte della più grande collezione di affreschi di età romana al mondo, conservata al MANN - Museo archeologico nazionale di Napoli, che ci offrono ancora oggi la possibilità di indagare e far parte di quell’«inganno splendido» attraverso la personalità dei “pictores” che operarono in modo anonimo in quelle case.

Pur non avendo infatti i loro nomi o identità, l’analisi dei “motivi distintivi” e dei dettagli rappresentati dai singoli pittori- artigiani ci dà la possibilità di riconoscere la loro opera dai singoli frammenti scoperti offrendo inoltre testimonianze di modalità di lavoro in contesti originali, aiutandoci così nella comprensione del rapporto tra spazio e decorazione che sta alla base delle scelte decorative compiute dal pittore per conto del proprio cliente. La possibilità che si ottiene è così quella di identificare i singoli artigiani-artisti e il loro lavoro nei tempi e nei modi che li videro protagonisti senza volerne fare dei “maestri”. Possiamo così analizzare la loro organizzazione e la distribuzione del lavoro all’interno di una stanza particolare (come nell’esempio proposto in mostra per la Villa di Publio Fannio Sinistore, Boscoreale) o di stanze adiacenti all’interno di una casa (come per gli affreschi esposti, provenienti dalla Casa di Giasone, Pompei) o di un’“insula”.
In alcuni casi meravigliosi, il pittore dà libero sfogo a una commistione tra mondo mitologico e mondo reale inserendo oggetti tratti dalla vita quotidiana (tavole, coppe, anfore, strumenti musicali), come nel caso degli affreschi raffiguranti Ercole e Onfale della Casa di Marco Lucrezio a Pompei e suoi pannelli laterali.


Giasone e Pelia (I secolo d.C., III stile), quadro dalla Casa di Giasone a Pompei.

La comprensione della loro presenza e delle loro personalità sarà maggiormente precisa in virtù di quanti più elementi oggettivi e scientifici concorreranno a definirne i contorni, quali per esempio la lettura del paesaggio, la società del tempo in cui operavano, le tecniche e i materiali utilizzati, i modelli iconografici acquisiti e reinterpretati, il rapporto tra spazio decorativo e funzione dello stesso, l’analisi dei contesti in cui rileggere il loro operato attraverso uno studio delle sequenze temporali di realizzazione dei supporti murari e successivamente di quelli decorativi e non da ultimo il “potere contrattuale” e la relativa ricaduta socio-economica legati al riconoscimento del loro operato, da un lato, e al prezzo dei colori, dall’altro, elementi questi riconosciuti giuridicamente ed economicamente sino all’età dioclezianea (editto di Diocleziano 301 d.C.). Il quadro d’insieme che si delinea ai nostri occhi è quello di un mondo antico molto più dinamico e differenziato nel quale la figura del pittore viveva una condizione sociale di anonimato pubblico ma non economico ancora da comprendere sotto molti punti di vista. Il destino di questi uomini che decorarono e abbellirono le case di tutti i cittadini di Roma e delle città a essa legate, a partire almeno dalla metà del I secolo a.C., era quello di restare senza identità in un anonimato artistico che oggi tentiamo di superare proponendoci di riconoscere, comprendere e attribuire.

Tuttavia, quando entriamo in quelle case dove sono conservate le loro opere (che possiamo ammirare anche all’interno di musei ed esposizioni), riusciamo a percepire e a cogliere la loro tecnica, la scelta dei colori, il rapporto fra spazio e decorazione. Analizzare in maniera didattica e divulgativa la figura del “pictor” in età romana, con particolare riferimento alle opere di Pompei, Ercolano e dell’area vesuviana presenti nei depositi e nella collezione permanente del MANN e ad altre opere di area romana, presenti nelle collezioni del Museo civico archeologico di Bologna, offre così un’esperienza immersiva, vista dal punto di osservazione dell’artista all’interno del contesto sociale di riferimento.
Il visitatore compie così un viaggio nella società del tempo dei “pictores” dopo aver osservato con occhi nuovi i casi presentati ed esposti in mostra riconoscendo l’opera di quell’artista che realizzò i quadri centrali di un ambiente, portandoci in quell’«inganno splendido» che continua nel suo anonimato.


Ercole ed Eros suonatore di doppio “aulos” (I secolo d.C., IV stile), particolare, quadro dalla Casa di Marco Lucrezio a Pompei.

(1) P. Moreno, Pittura greca. Da Polignoto ad Apelle, Milano 1987.

(2) Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXV, 118.

(3) Plinio il Vecchio, op. cit., XXXV, 19.

I pittori di Pompei

a cura di Mario Grimaldi
Bologna, Museo civico archeologico
fino al 19 marzo 2023
orario 10-19; sabato, domenica e festivi infrasettimanali
10-20, chiuso il martedì non festivo e 25 dicembre
catalogo MondoMostre
www.ipittoridipompei.it

ART E DOSSIER N. 403
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NOVEMBRE 2022
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