La pagina nera 

QUELLA VILLA
ORMAI FIBRILLA

di Fabio Isman

Preoccupa la salute del parco Doria Pamphilj: a parte il Casino del bel respiro di Algardi, in perfette condizioni ma visitabile solo di rado perché residenza di stato, il resto del complesso non sta per niente bene.
Tra sculture mutilate, occupazioni abusive, furti, casali in rovina, lo scenario appare spesso avvilente.
E per di più il museo, che dovrebbe illustrare il luogo, è chiuso da anni.

La capitale d’Italia vanta quarantasei chilometri quadrati di verde; si calcola che possieda trecentoquattordicimila alberi. Un tempo, il Servizio giardini era uno dei suoi fiori all’occhiello, ma negli ultimi anni i milleduecento addetti su cui poteva contare si sono ridotti di oltre due terzi; tanto che il nuovo sindaco Roberto Gualtieri ne prevede «la ricostruzione», con «l’inserimento di oltre duemila nuove persone». Il titolo di una remota e fortunata trasmissione televisiva del maestro Alberto Manzi era Non è mai troppo tardi. Non raccontiamo le mille magagne del verde cittadino, le potature ormai in ritardo e in appalto, e quant’altro. Limitiamoci a uno dei luoghi più importanti: Villa Pamphilj. Con centottantaquattro ettari, è il terzo parco pubblico più grande della Città eterna, dopo quelli dell’Appia e del Pigneto.
È diviso in almeno tre parti: per i Giochi del 1960, la via Olimpica l’ha tagliato sciaguratamente in due, ed è ora riunito da una passerella pedonale; e nella porzione più vicina al centro cittadino, la principale costruzione, il Casino del bel respiro di Alessandro Algardi, edificato dal 1644, è ormai sottratto al pubblico, a parte alcune visite guidate, perché, dagli anni Novanta, auspice Bettino Craxi, è divenuto sede di rappresentanza della Presidenza del consiglio. Vi si svolgono grandi eventi, vi si ospitano le autorità straniere.
E purtroppo, il contrasto tra uno degli apici del Barocco, voluto da Innocenzo X e d’ispirazione palladiana, e il resto della Villa, assai amata e frequentatissima non soltanto dai romani, un “polmone” inarrivabile di aria salubre, è molto più che stridente. La porzione interdetta ai comuni mortali è curatissima; il giardino segreto (ridisegnato nel Settecento, secondo il gusto francese) un capolavoro assoluto, l’erba ben rasata. Ma la parte rimanente della storica residenza, ahinoi, giace nel disarmo più totale. Anche se molte sono repliche in resina, abbondano le statue mozze; interi gruppi scultorei ormai rubati; casali sbarrati e abbandonati; erbacce incolte; vandali e imbrattatori di ogni risma; l’anno scorso, vi è stata scoperta perfino una baracca, ovviamente abusiva, con tanto di “barbecue”: a parte legna, rifiuti vari e scarti alimentari, non è stato trovato nessuno. Per tutto un complesso così vasto, esiste soltanto un bagno, ed è detto tutto: un tempo erano tre, e già manifestavano la loro insufficienza. La Villa assomiglia, assai spesso, a una “terra nullius”.
Sbarrate da tempo le serre ottocentesche; chiuso da anni il museo della Villa vecchia, che dovrebbe raccontare le vicende del luogo: è stato realizzato con i fondi del giubileo del 2000 ma è rimasto aperto assai poco; pericolante e transennato il monumento ai caduti francesi; assai scarsi i controlli e la sorveglianza in tutto il complesso. La sporcizia che si accumula; non funziona più l’impianto d’irrigazione e si provvede con delle autobotti; i sedili della Fontana del giglio, un angolo definito tra i più suggestivi, sono tutti ingombri di erbacce.
Ed è francamente un grosso peccato. Lasciamo stare tutto il resto: ci sono state alcune aggressioni; lo spaccio ha i suoi angoli preferiti; tante minoranze, che a Roma abbondano, ne fanno ricorrenti appuntamenti di massa: quelle del Bangladesh organizzano perfino dei tornei di cricket; i peruviani si concedono talora dei bracieri, che sarebbero proibiti. Con la bella stagione, c’è chi la elegge a proprio dormitorio.


Villa Doria Pamphilj (XVII- XX secolo), terzo parco pubblico più grande di Roma, con statue mutile e in una evidente condizione d’incuria.


Il giardino segreto, ridisegnato nel XVIII secolo, davanti al Casino del bel respiro di Alessandro Algardi (1644), dagli anni Novanta sede di rappresentanza della Presidenza del consiglio.


Il burattino che pare il Pinocchio di Collodi, rinvenuto nel 1984 nell’ipogeo di Scribonio Menofilo, una delle necropoli di Villa Doria Pamphilj.


Un “unicum” assoluto, sconosciuto ai più, è un pinocchio “ante litteram”, rinvenuto nell’ipogeo di scribonio menofilo, una delle necropoli della villa

Il complesso ospita un paio di volpi, chiamate Olimpia e Giglio (una, in difficoltà, è stata salvata, tempo fa, da una pattuglia di vigili urbani), con i loro cuccioli; e vi è stato ritrovato perfino un esemplare del mammifero (così pare) più piccolo che esista: un mustiolo, grande all’incirca come una moneta da cinque centesimi. È chiamato anche Pachiuro etrusco della famiglia dei soricidi o più comunemente toporagni, ed è davvero minuscolo: non misura mai più di cinque centimetri. Ha il corpo ricoperto di una peluria assai sottile, tra il grigiastro e il rosso bruno; testa appuntita, coda di un paio di centimetri, in Italia, non è raro. Diciamo un minuscolo topolino. Ma intanto, i dodici gigli in pietra che circondano la fontana di Cupido sono stati distrutti, non si sa da chi, e anche molte sue conchiglie appaiono spezzate; quella di Venere, proprio davanti al Casino del bel respiro, mostra le sue statue con le teste mozzate, e il nerume da cui è pervasa ne racconta l’abbandono. Vasi frantumati un po’ dappertutto, e non parliamo, per carità, delle telecamere di sorveglianza: semplicemente perché non esistono.
In questo disastro complessivo assai poco onorevole, infine, resta sconosciuta ai più una delle rarità assolute che il sito possiede. Nella parte non aperta al pubblico esistono bellissime necropoli con i loro colombari, che spaziano dall’Età repubblicana fino a metà del II secolo. Una di quelle, scoperta da non troppo tempo (nel 1984, per i lavori in previsione della presidenza italiana della Comunità europea), è l’ipogeo di Scribonio Menofilo, il cui nome compare su un mosaico. A parte che è dipinto fino al soffitto, e sotto ogni nicchia conserva una tabella su cui veniva scritto o inciso il nome di chi era sepolto (in tutto forse cinquecento persone), vanta un “hapax”, come dicono i più colti: un “unicum” assoluto. Da un frammento d’intonaco tra due semilunette delle sepolture, compare un insospettabile Pinocchio “ante litteram”. Sembra proprio il burattino creato da Carlo Lorenzini, detto Collodi dal luogo di nascita della mamma Angiolina, in provincia di Pistoia: ha una figura smilza; naso pronunciato e aguzzo; in testa, il classico cappello conico a punta. Nella mano destra, regge una bacchetta biforcuta, simile allo strumento dei rabdomanti quando cercano acqua.
Non occorre aggiungere che tutto il resto è ignoto: che cosa rappresentasse, e perché è stato dipinto proprio lì. Forse, potrebbe essere una bambola, o una maschera teatrale; forse, alludere al mestiere di qualcuno che si godeva il riposo eterno. Certo è che lo scrittore toscano non può avere visto questo affresco (essendo morto nel 1890), anche se proprio nei giorni in cui i primi colombari venivano scoperti, egli si trovava, per caso, a Roma. È soltanto l’ultimo di un’affascinante serie di misteri di un luogo spesso non conservato come si dovrebbe.


Tanti i reperti distrutti e abbandonati nella Villa.


Il Casino del bel respiro di Alessandro Algardi (1644).

ART E DOSSIER N. 401
ART E DOSSIER N. 401
SETTEMBRE 2022
In questo numero: ARTE CONTEMPORANEA - Luigi Ghirri: vedere oltre di Cristina Baldacci; STORIE A STRISCE - L’universo dei manga di Sergio Rossi; GRANDI MOSTRE. 1 - Somaini a Milano - L’ansia del furor costruttivo di Fulvio Irace; 2 - Il Settecento veneto a Trento - Un caleidoscopio cromatico di Marta Santacatterina; ....