Studi e riscoperte 
Le vesti degli zingari

STORIE
A STRISCE

La presenza di righe sulle vesti ha caratterizzato, nella pittura occidentale, categorie sociali, o etnie, con una evidente funzione di stigma.
Oppure per sottolineare il fatto che fossero state emarginate. 
Tra queste categorie spiccano gli zingari e gli ebrei.

Bruno Morelli

Stampate su tessuti con intenti apparentemente decorativi, in realtà le righe svolgono, soprattutto in certi periodi, il compito di ”segnare” gli zingari, colpevoli d’infamia e di satanismo.
Posti nel Medioevo fra i ceti sociali più umili e ritenuti pericolosi - in qualche caso di palese volontà discriminatoria si è arrivati ad associare nella stessa categoria anche giullari, lebbrosi, boia, saltimbanchi, prostitute, ebrei, islamici - i rom diventano spesso l’obiettivo prescelto dagli strali delle autorità. Durante il XV, il XVI e il XVII secolo, in alcune iconografie perfino Gesù appare segnato da questo marchio impresso sul perizoma.
L’etnia zingara è comunque quella più rappresentata con la rigatura delle vesti in molta produzione pittorica, dal Rinascimento all’arte moderna.
Come attesta Michel Pastoureau nel suo La stoffa del diavolo (1993), il valore emblematico delle righe stampate sulle vesti, con l’obbligo di indossarle, diventa strumento di controllo sociale e mezzo di esclusione. Ai “diversi” era imposto di mostrare la loro diversità con vesti o mantelli a righe. I rom erano considerati una vera e propria setta eretica, di conseguenza per questi si avvia una speciale modalità rappresentativa che possiamo denominare “iconografia zingara”. Dietro tali atteggiamenti discriminatori si celava la volontà di difendere la fede cattolica da una minaccia che sfidava la dimensione metafisica guadagnandosi la fiducia del popolo in virtù della chiromanzia, anch’essa punita con pene severe.
Come sostiene lo studioso, pare che tali «segni vessatori» siano stati coniati nel Medioevo partendo dall’interpretazione di un passo dell’Antico testamento: «Non indosserai veste tessuta di due diverse materie» (Levitico 19,19).
Perciò le righe viaggiano nel tempo giungendo fino a noi con lo stigma della maledizione, del pericolo, e impiegate dunque per classificare un’inferiorità. La tuta a righe adottata dai nazisti per gli internati nei campi di sterminio, con l’aggiunta dei vari triangoli a specificare i sottogruppi (marrone per i rom), è rimasta a simboleggiare l’odio razziale nella sua manifestazione più crudele.


Henri Rousseau il Doganiere, Zingara addormentata (1897), New York, MoMA - Museum of Modern Art.


Boccaccio Boccaccino, La zingarella (1505), Firenze, Gallerie degli Uffizi.


Andrea del Verrocchio e Leonardo da Vinci, Battesimo di Cristo (1470-1475), particolare del perizoma di Gesù, Firenze, Gallerie degli Uffizi.

Gaudenzio Ferrari (attribuito), Gesù condotto al pretorio (1510-1513), particolare del "manigoldo" con le braghe a righe, Varallo Sesia (Vercelli), Sacro Monte.


Jan Cossiers, Il chiromante (1640 circa), San Pietroburgo, Ermitage.

AI “DIVERSI” ERA IMPOSTO DI MOSTRARE LA LORO DIVERSITÀ CON VESTI O MANTELLI A RIGHE


Gli artisti, adeguandosi allo spirito dei tempi, fanno uso delle vesti per identificare alcuni personaggi che in pittura appaiono più spesso di quanto si possa pensare: Pieter Bruegel il Vecchio, nella Predica del Battista; Giorgione, Ritratto di cortigiana; Georges de La Tour, La buona ventura; Jan Cossier, Il chiromante; Tommaso de Vivo, La predizione della zingara; Boccaccio Boccaccino, la Zingarella degli Uffizi e la Madonna col Bambino di Bucarest; William-Adolphe Bouguereau, Ragazza con melagrana. Più nella modernità, abbiamo autori che conservano il rigato nel trattare i soggetti rom: Rousseau il Doganiere, La zingara addormentata; Marc Chagall, Crocifissione bianca; Pierre-Auguste Renoir, La zingara; Otto Müller, Vergine zigana. Altriinvece, ritraggono zingare senza l’uso delle strisce: Henri Matisse, la Gitana, o Gustave Courbet, La gitana pensierosa, o ancora Kees van Dongen, La gitana.
Molti si astengono dal “codificare” la singolarità. Infatti, già alla fine del Settecento l’abito-divisa adottato per secoli tende a sparire gradualmente lasciando il posto a costumi di ascendenza marcatamente orientale in perfetta assonanza con le origini rom. Le strisce nere su fondo panna spariscono e colori vivaci, sgargianti, denotano una vitalità recuperata. L’orientale, di Jean-Leon Gérôme, attesta perfettamente l’inversione di marcia. Ma anche altri artisti di fine Ottocento e oltre abbandonano l’iconografia tradizionale.
Tornando all’iconografia cristologica, come accennato, troviamo l’uso delle righe per evidenziare l’identità antropologica del divino. Tra le varie raffigurazioni di Gesù con il perizoma a righe ricordiamo - oltre ad Andrea del Verrocchio e Leonardo con il Battesimo di
Cristo - Giovanni d’Enrico, in collaborazione con Giacomo Ferro e altri, autore delle statue che tra il 1637 e il 1640 danno vita alla bellissima Deposizione custodita nelle sale del Sacro Monte di Varallo; Gaudenzio Ferrari con una Deposizione e inoltre, sempre di Gaudenzio, l’insolito Gesù condotto al pretorio, ancora a Varallo, dove a vestire a righe è il "manigoldo” che lo trascina. Inoltre, nella Famiglia zingara, lo stesso artista appone le righe sulle gonne delle donne a indicarne l’attività vietata di stregoneria (chiaroveggenza).
Il tutto calato nella teatralità delle sculture lignee policrome del Sacro Monte.
Anche Vasco da Bassano del Grappa riga il panno di Cristo sulla Crocifissione, come pure Nadal Melchiori nella Crocifissione del museo di Castelfranco Veneto. Le righe, tuttavia, conservano tutt’oggi un mistero mai risolto: perché Gesù di Nazareth viene associato a categorie “negative”?
Alcuni studi vedono in Yeshua, figlio di Jhavè, il profeta che predice il futuro e rivela cose ignote agli uomini per ispirazione divina; il che in fondo suggerirebbe una ziganità quasi criptata proprio tra questi segnali grafici.
Indizi a favore della teoria che Gesù appartenesse a una comunità dissidente, marginale. Una figura che metteva in crisi ogni ortodossia. Nel Battesimo di Cristo di Verrocchio e Leonardo la rigatura policroma, così evidente sul perizoma, spicca, inoltre, se associata ad altri elementi concorrenti: l’incarnato olivastro del Cristo, la sensualità che ne umanizza la figura, tutto ci invita a pensare che Verrocchio si sia ispirato a vangeli apocrifi , forse a quello di Giacomo, che presenta Gesù nel suo lato più umano.
Lo stigma delle righe, quindi, ha una dualità simbolica: da un lato identifica - non necessariamente in modo negativo - differenze antropologiche, ideologiche, sociali; dall’altro finisce per marchiare tout court chi si intende emarginare.


William-Adolphe Bouguereau, Ragazza con melagrana (1875).


Tommaso De Vivo, La predizione della zingara (1845), Caserta, reggia.


Otto Müller, Vergine zigana (1926-1927).

ART E DOSSIER N. 401
ART E DOSSIER N. 401
SETTEMBRE 2022
In questo numero: ARTE CONTEMPORANEA - Luigi Ghirri: vedere oltre di Cristina Baldacci; STORIE A STRISCE - L’universo dei manga di Sergio Rossi; GRANDI MOSTRE. 1 - Somaini a Milano - L’ansia del furor costruttivo di Fulvio Irace; 2 - Il Settecento veneto a Trento - Un caleidoscopio cromatico di Marta Santacatterina; ....