Grandi mostre. 2
O’KEEFFE FOTOGRAFA A DENVER

L'ALTRO OCCHIO
DI GEORGIA

Conosciamo Georgia O’Keeffe per i suoi dipinti ma il suo patrimonio creativo è composto anche da fotografie, confluite in un archivio emerso grazie al lavoro di lisa volpe, curatrice di una mostra al Denver Art Museum dedicata proprio all’attività fotografica dell’artista americana. l’abbiamo intervistata per saperne di più.

Francesca Orsi

La mostra Georgia O’Keeffe Photographer approfondisce ulteriormente la conoscenza di una delle artiste più simboliche del XX secolo, Georgia O’Keeffe. Organizzata dal Museum of Fine Arts di Houston (MFAH), in collaborazione con il Georgia O’Keeffe Museum di Santa Fe, l’esposizione è il risultato di anni di ricerca della curatrice Lisa Volpe, che ha portato alla luce il lavoro fotografico della O’Keeffe, finora oscurato dal suo lascito pittorico e grafico.


Un archivio mai indagato tramite cui si è potuto capire come l’immaginario dell’artista americana sia da ricercare anche nello specifico fotografico: nella prospettiva dell’immagine, nella sua composizione e soprattutto in un pensiero visivo generato dalla sequenzialità di immagini, dal mutare di luci e ombre. Partita proprio dal MFAH, nell’ottobre del 2021, Georgia O’Keeffe Photographer è una mostra itinerante, ospitata successivamente all’Addison Gallery of American Art di Andover e attualmente al Denver Art Museum fino al 6 novembre. Lisa Volpe ci ha illustrato la nascita di questo importante progetto espositivo e il modo con cui ha lavorato nell’archivio inedito di un’icona dell’arte.


USAVA IL “MEDIUM” COME UNA SORTA DI BOZZETTO. PUR SOTTOLINEANDO DI ESSERE UNA PITTRICE, RICORREVA ALLA FOTOGRAFIA PER TROVARE LE COMPOSIZIONI IDEALI

Com’è nata l’idea della mostra Georgia O’Keeffe Photographer?

Cody Hartley, l’attuale direttore dell’O’Keeffe Museum di Santa Fe, me ne ha parlato un giorno di tanti anni fa. Ne sono rimasta affascinata! O’Keeffe è sempre stata associata alla fotografia ma solo come soggetto o modella per ritratti, o quasi come un’ancella del marito, il fotografo e gallerista Alfred Stieglitz. Gli scatti di O’Keeffe sono radicalmente diversi per processi e risultati da quelli di Stieglitz e di tutti gli altri fotografi che conosceva. Aveva una sua personale visione artistica, in ogni medium. E meritava un’analisi più approfondita.


Le tue ricerche nell’archivio di Georgia O’Keeffe per realizzare la mostra e il catalogo hanno portato alla luce un aspetto meno noto dell’opera dell’artista. Com’è strutturato l’archivio, e perché la produzione fotografica di O’Keeffe è stata così trascurata finora?

L’assenza di ricerche sulle fotografie di O’Keeffe è stata una questione di tempistiche e interesse. Al momento della sua morte, nel 1986, la collezione era conservata nel suo studio ad Abiquiú, in New Mexico. L’anno seguente fu trasferita alla Georgia O’Keeffe Foundation, che era stata appena creata. Il Georgia O’Keeffe Museum, indipendente dalla Fondazione, inaugurò nel 1997 ma solo nel 2002 il suo centro di ricerca ottenne le copie stampate delle fotografie dell’artista, che mise a disposizione degli studiosi. Nel 2006, quando la Fondazione stava per sciogliersi, la proprietà dell’intera collezione fotografica (circa millesettecentocinquantadue opere in tutto) fu ceduta al museo. Questo accesso diretto alle copie originali era fondamentale per condurre un lavoro di ricerca.


Jimson Weed (Datura stramonium) (1964-1968), Santa Fe, Georgia O’Keeffe Museum.

Come hai lavorato nell’archivio? Quali criteri di attribuzione e ricerca hanno caratterizzato il tuo dialogo con le immagini di Georgia O’Keeffe?

Mi sono basata su un sistema in due punti: servivano due fatti documentati per confermare che una fotografia era sua. Ma questi fatti variavano enormemente a seconda dei casi. Dopo avere letto e consultato tutta la sua corrispondenza reperibile presso la biblioteca di Santa Fe, la Beinecke della Yale University e altri archivi dei suoi amici fotografi, ho cominciato a stilare una cronologia degli spostamenti di O’Keeffe inserendo ogni dettaglio sui suoi viaggi, interessi e visitatori. Mi sono accertata che fosse in quel luogo e nelle condizioni di scattare quella foto. I particolari estrapolati dalle immagini mi hanno consentito di integrare la cronologia, ampliando la gamma delle possibili attribuzioni. A questo scopo è tornato utile anche documentare l’aspetto delle pareti di mattoni: le variazioni delle crepe nel fango e il passaggio al cemento nel 1959. Nel tempo O’Keeffe modificò il soggiorno di casa, ampliando le finestre e allungando la panca. Grazie a questi dettagli ho completato la cronologia e ho potuto datare varie opere. Poi ho contattato una guida fluviale, la straordinaria Ryann Savino, specializzata in escursioni lungo il Grand Canyon e il Glen Canyon. Armata di copie delle fotografie e dei consigli tramandati da generazioni di guide fluviali, mi ha aiutata a identificare i luoghi in cui erano state scattate le immagini e di conseguenza a stabilirne la data. Inoltre, ho potuto confrontare i diversi tipi di carta fotografica, spesso escludendo un’opera da quelle ufficiali di O’Keeffe. La carta è servita anche a restringere le finestre temporali, in quanto le varietà e i timbri dei produttori sul retro sono cambiati nel tempo. Ogni fotografia ha richiesto un approccio di ricerca diverso.


I temi visivi elaborati da Georgia O’Keeffe in pittura sono gli stessi che caratterizzano le sue fotografie?

Sì! La maggior parte presenta un soggetto familiare. Ma tutte riflettono l’estrema attenzione di O’Keeffe per la composizione e i dettagli, e una resa di luci e ombre come forme.

In che modo fotografia e pittura dialogano tra loro nella sua produzione artistica?

È un mistero tuttora irrisolto. Sono riuscita a dimostrare che certe sue fotografie furono scattate tra i cinque e i dieci anni dopo che aveva dipinto una scena. Altre invece sono state prodotte prima di un dipinto, come quelle del Glen Canyon. I ricercatori in futuro potranno rispondere a questi interrogativi, ora che le fotografie sono state identificate e datate.


Nel corpus fotografico della mostra e del catalogo si può notare come O’Keeffe desse molta importanza alla sequenzialità delle immagini, alla composizione e al rifotografare gli stessi soggetti in base alle variazioni della luce durante il giorno. Secondo te in che misura attinse dalla serie Equivalents di Stieglitz, per molti emblema del nuovo approccio moderno alla fotografia, oltre che dalla corrente della “straight photography”? O’Keeffe studiò la fotografia come forma d’arte da Stieglitz, ma per quanto stimasse quell’approccio aveva una sua visione personale. Non le importava creare una stampa definitiva, piuttosto usava il “medium” come una sorta di bozzetto. Pur sottolineando di essere una pittrice, ricorreva alla fotografia per trovare le composizioni ideali. Nel suo libro pubblicato da Viking nel 1976 racconta: «La strada mi affascina, con i suoi saliscendi che confluiscono in un’ampia distesa lanciata verso il muro della mia collina e ancora oltre. Avevo fatto due o tre scatti con una macchina fotografica. In uno ho dato una forte angolazione all’obiettivo per includere tutta la strada. È stata una casualità che la strada sembrasse sollevata in aria, ma l’ho trovata divertente e mi sono messa a disegnarla e dipingerla sotto una nuova forma».


I suoi soggetti erano strettamente legati alla vita personale, agli affetti e alla quotidianità. Uno dei temi che ritornano spesso nella produzione di Georgia O’Keeffe sono i suoi cani… Ogni volta che O’Keeffe menziona gli animali nelle sue lettere (inclusi i suoi cani), ne parla come se fossero dipinti. Le vacche sono «forme splendide». Nel caso dei suoi cani, osservava il pelo scuro stagliato contro la luminosa terra del New Mexico. Li apprezzava quasi come opere d’arte viventi. Molti disegni e fotografie dei suoi cani ricordano altre forme: ombre e rocce arrotondate. Vedeva tutto nello stesso modo, con un occhio artistico.


Hai potuto studiare a fondo anche il dialogo serrato tra la produzione fotografica di Georgia O’Keeffe e quella di Todd Webb. Puoi spiegarci questo legame e le sue correlazioni visive?

Todd Webb le insegnò a fotografare nel 1955. Erano ottimi amici, e Webb riuscì a catturarla in ritratti più gentili e accoglienti rispetto a molte fotografie scattate da estranei. Nelle immagini di Webb in mostra, O’Keeffe è immortalata mentre usa a sua volta la macchina fotografica in quei luoghi e si percepisce il suo divertimento e la gioia sconfinata che provava nel fare arte.


Gli archivi sono sempre fonti inesauribili di ricerche e nuove idee. Credi che il tuo lavoro con Georgia O’Keeffe sia terminato? O ti ha dato lo stimolo per scoprire di più?

Il mio lavoro è finito. Però mi auguro che il materiale che ho scoperto porterà ad altre ricerche e mostre future. Senza dubbio ci sono domande che attendono una risposta. Qual è esattamente il rapporto tra le fotografie e i dipinti di O’Keeffe? Quanti suoi dipinti sono basati su fotografie? C’è ancora tanto da imparare su questa artista di straordinaria importanza.


Todd Webb, Georgia O’Keeffe with Camera (1959), Portland (Maine), Todd Webb Archive.


NELLE IMMAGINI DI TODD WEBB, SI PERCEPISCE IL DIVERTIMENTO E LA GIOIA SCONFINATA DI O’KEEFFE NEL FARE ARTE

Georgia O’Keeffe Photographer

organizzata dal Museum of Fine Arts di Houston (MFAH), in collaborazione con il Georgia O’Keeffe Museum di Santa Fe a cura di Lisa Volpe
Denver, Denver Art Museum dal 3 luglio al 6 novembre
www.denverartmuseum.org
La mostra farà poi tappa a Cincinnati, Cincinnati Art Museum
dal 3 febbraio al 7 maggio 2023
www.cincinnatiartmuseum.org
catalogo Yale University Press e Museum of Fine Arts di Houston (MFAH)

ART E DOSSIER N. 400
ART E DOSSIER N. 400
LUGLIO-AGOSTO 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE - La Galleria rinasce con il suo duca di Federico D. Giannini; CORTOON - La corte notte degli Oscar di Luca Antoccia; BLOW UP - Brescia Photo Festival di Giovanna Ferri; DENTRO L’OPERA - Il dipinto come manufatto di Cristina Baldacci; XXI SECOLO - Małgorzata Mirga-Tas nel padiglione della Polonia alla Biennale di Venezia Incantesimi e sortilegi di Elena Agudio; GRANDI MOSTRE. 1 - Louise Nevelson a Venezia. Dare ordine alle cose perse di Lauretta Colonnelli; 2 - O’Keeffe fotografa a Denver. L’altro occhio di Georgia di Francesca Orsi; OUTSIDERS - Joseph Cornell: quanti ricordi entrano in una scatola? di Alfredo Accatino; GRANDI MOSTRE. 3 - Mondrian all’Aja. Parola d’ordine: sperimentare di Paola Testoni de Beaufort; 4 - Canova romantico a Treviso. Ambasciatore del gusto nuovo di Fabrizio Malachin; STUDI E RISCOPERTE. 1 - Canova e il patrimonio culturale. Un negoziatore pragmatico di Valerio Borgonuovo; LA PAGINA NERA - Ma quanto si è spenta la “città irredenta”? di Fabio Isman; MUSEI DA CONOSCERE - Museo Fortuny a Venezia. La casa delle meraviglie di Maurizia Tazartes; GRANDI MOSTRE. 5 - I Farnese a Parma. Tesori di famiglia di Marta Santacatterina; STUDI E RISCOPERTE. 2 - L’invenzione del bello ideale. Zeusi e le modelle di Crotone di Mauro Zanchi; ASTE E MERCATO a cura di Daniele Liberanome; IN TENDENZA - Jan Steen: la febbre del gioco di Daniele Liberanome; IL GUSTO DELL’ARTE - Ritratto di un salume in un interno di Ludovica Sebregondi; CATALOGHI E LIBRI a cura di Gloria Fossi; 100 MOSTRE a cura di Ilaria Rossi;86