“LUDUS” INIZIATICO

Nelle arti visive i simboli - e certi rimandi concettuali con dettagli disseminati nella costruzione iconologica di un’opera riuscita - colpiscono l’immaginazione del fruitore (o interlocutore), lusingano il suo desiderio di comprendere la profondità e ciò che appartiene alla sfera enigmatica: in virtù della loro obliquità, sono polisensi, evocano “per assenza”, si esprimono per allusioni, e fanno in modo che i significati più importanti non si dissolvano quando vengono avvicinati dagli individui. Alcuni hanno proprietà divinatorie, altri sono un viatico per dinamizzare l’immaginazione. Certi sono iniziatici, altri mettono in atto un processo di progressioni interiori. Innanzitutto collegano quella dimensione che nell’antichità denominavano col termine “macrocosmo” alla percezione degli esseri destinati a essere determinati dai limiti e dalla finitezza. Il simbolo unisce l’“ergon” al “parergon”, l’interno all’esterno, il contenitore al contenuto. Questa premessa è da leggere come fosse una cornice, intesa nel senso di “accessorio necessario”, come un ossimoro che mostra e segnala una sorta di confine tra qualcosa che sta dentro e qualcos’altro che sta fuori. In questa accezione prendiamo in considerazione certi giochi ereditati dall’antichità, con connotazioni iniziatiche e divinatorie, o legati alla decisione del fato: le carte dei “Triomphi”, la “tabula”, gli astragali, e “Navia ant capita” (una moneta che aveva da un lato la testa di Giano bifronte e dall’altra la prora di una nave). Soprattutto gli arcani maggiori dei “Triomphi”, poi chiamati Tarocchi, hanno tramandato immagini simboliche, utilizzate da tempi remoti con scopi iniziatici, per interrogare la voce del destino, per muovere il pensiero creativo, o come pratica per affinare l’arte della memoria. Il gioco dei “Triomphi”, a seconda di chi lo mette in atto nella sua mente, può rendere visibile la più inconcludente superficialità, o può servire a prendere consapevolezza dei valori profondi e delle verità che appartengono alla storia dell’umanità. I ventidue arcani maggiori forniscono ai fruitori sia istruzioni di ordine fisico, sia indicazioni di matrice morale, sia suggestioni di natura spirituale o extramondana. Conducono gli interroganti al regno delle cause, che comprende in sé tutti gli archetipi della creazione, all’origine delle vite.

Uno degli aspetti esoterici del gioco consiste nel saper condurre esperimenti col caso. Si tratta di comprendere nell’attività ludica le idee complementari di fortuna e di abilità, di risorse concesse dal caso o dalla buona sorte. Il fato mescola le carte e noi giochiamo sperando di essere una componente favorita dalla fortuna e dal destino. Anche una partita iniziatica per funzionare ha bisogno di buone regole, di una posta spirituale in gioco e la giusta durata? Ha ragione Anatole France quando immagina che il gioco sia un corpo a corpo con il destino?


Bonifacio Bembo, La ruota della Fortuna (Mazzo dei tarocchi Brambilla) (1442-1451 circa); Milano, Pinacoteca di Brera.


Bottega tardogotica lombarda, I giocatori di tarocchi (anni Quaranta del XV secolo), particolare; Milano, palazzo Borromeo.

Michelino da Besozzo (attr.), La Forza (Mazzo “Visconti di Modrone”, commissionato da Filippo Maria Visconti, duca di Milano) (1442-1447); New Haven, Yale Library. La forza fisica di matrice biblica e mitologica – incarnata da Sansone che smascella il leone di Tamna e da Ercole che lotta col leone nemeo – in questo tarocco viene sostituita dalla “Fortitudo”, figura cristiana intesa come esaltazione della forza morale sull’istinto brutale.


Bonifacio Bembo o Francesco Zavattari, L’Appeso (Mazzo Colleoni-Baglioni commissionato probabilmente da Francesco Sforza) (1451 circa); New York, Pierpont-Morgan Library. Il soggetto di questa carta è appeso con una sola gamba a una traversa di legno, raffigurato nella stessa maniera in cui venivano puniti i traditori nel XV secolo, a testa in giù, con le mani legate dietro la schiena. In questa versione, la gamba è ripiegata dietro l’altra in modo da formare una croce, posa che avrà fortuna nell’iconografia dei successivi tarocchi.

Anche la “tabula” - successivamente chiamata tavola reale e backgammon(6) - è da considerare un’attività iniziatica, nel rapporto con i 12 triangoli per giocatore, ovvero con i 24 punti dove si pongono le 30 (15 x 2) pedine(7), e attraverso il lancio dei due dadi(8). Il bordo della tavola reale può essere considerato una sorta di recinto che delimita dal tempo e dallo spazio ordinario. Tra la partita in tempo reale e il rito iniziatico si dinamizzano ricadute reciproche, così pure tra l’inizio e la fine del gioco, nell’ottica di un’elevazione tramite la vittoria. I giocatori presidiano i confini per mantenere vivi i suoi poteri, e per lasciare spazio al pensiero come astrazione speculativa, ovvero come un’azione provvisoria, fine a se stessa o con una proprietà terapeutica. E oltre la fine della partita, il gioco non termina ma si irradia sul mondo ordinario della vita. I giochi potevano, allora come oggi, essere frequentati con serietà o con leggerezza. Uno stesso gioco può appartenere a un non tempo, a uno spazio extra-ordinario, entro il recinto del sacro e del rito, essere strumento di iniziazione a valori più alti o una componente dell’educazione (“paideia”), ma al contempo essere utilizzato dal volgo in un’ottica di ricreazione evasiva, di passatempo, di momentanea sospensione della vita sociale, o trasformato in pratica d’azzardo. Tutto dipende dalla qualità, dalle intenzioni e dallo scopo di chi si mette in gioco. La partita rituale, intesa come un’intuizione di ordine superiore, come una forma della saggezza nata dall’esperienza speculativa, è una antenata del sapere filosofico. Sotto l’egida della conoscenza avvenivano gare di enigmi, venivano posti indovinelli, quesiti della sfinge, dilemmi, e organizzate dispute filosofiche. In primo luogo, in ogni tempo, la sfida è con se stessi: la sorte e la via ludica rivelano anche opposizioni interiori, in perenne lotta fra loro, tra la persona e la sua maschera, tra l’individuo e il suo travestimento. Nell’agone ludico si cerca allora la via per trovare e acquisire l’essenza mistica e magica, entro la dimensione interiore. All’origine di ogni competizione - concepita all’interno di un limite di tempo e di spazio, ma anche al di là di questi due fattori, secondo date regole - la pratica ludica mette in azione qualco- Anonimo, Giocatori di tabula (XIII secolo); Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Buranus. sa che possa sciogliere una tensione, per sopravvivere all’incognita e al rischio che minano l’incolumità dell’identità. Attraverso questo rischio ci si apre alla possibilità di essere iniziati da una visione più lucida, lungimirante, estatica. In questa accezione è da intendere il gioco nel senso del termine “ilinx”, ovvero come stato che sta tra la vertigine e l’estasi(9), nell’incontro con qualcosa che si percepisce straordinario, come se fosse possibile vivere un’epifania, entrando in contatto con dimensioni sovra-individuali e transpersonali. Il gioco ovviamente non finisce qui, ma si apre ulteriormente nell’estensione dal singolo al collettivo, sia in chiave iniziatica sia per quanto riguarda gli aspetti del passatempo, come riposo dal lavoro o da altre attività più o meno impegnative, là dove l’attività dell’alea ha anche una funzione sociale utile per alleggerire il peso della sopravvivenza nel quotidiano, come svago e ricreazione, o per non pensare alle cose che gravano sull’anima. Il passaggio dal sacro al profano è breve, soprattutto quando ci mette lo zampino un demone e introduce nel gioco la possibilità di vincere del denaro. I dadi vengono utilizzati fin dall’antichità per vari giochi d’azzardo: due dadi (in alcuni casi tre), dopo essere stati agitati entro un bossolo o nel palmo della mano, vengono lasciati cadere sopra una tavola o dentro un “fritillus” (strumento spesso di forma cilindrica, chiamato anche “turricula”); vince la cifra maggiore, risultata dalla somma dei numeri casuali visibili sulle facce superiori scoperte. Un altro gioco d’azzardo molto popolare era l’astragalo(10). Si utilizzavano ossa brevi ricavate dalle zampe posteriori delle pecore, montoni e altri animali, più precisamente dalle ossa articolate poste tra la tibia e il perone. Gli astragali erano uno strumento di gioco così diffuso che vennero riprodotti anche con vari materiali, dall’economica terracotta al piombo, dal marmo ai più preziosi realizzati in avorio, argento e addirittura in oro, questi ultimi lanciati sopra sfarzosissime “tabulae lusoriae” realizzate da abili artigiani. Nel Pergamon Museum di Berlino, la copia romana di statua ellenistica (II secolo a.C., proveniente da uno scavo al Celio) ha come soggetto una ragazza che sta accovacciata per terra e guarda pensierosa gli astragali che ha appena lanciato sul pavimento. Anche nella lastra marmorea dipinta (I secolo d.C., proveniente da Ercolano) esposta nel Museo archeologico di Napoli è raffigurata una scena firmata dal pittore Alexandros Athenaios, dove alcune donne giocano con gli astragali.

Altre attività ludiche legate all’alea, non iniziatiche ma inerenti al risultato incerto, al piacere della scommessa e alla sfida con la sorte - forme culturali considerate in margine al meccanismo sociale - sono i giochi d’azzardo, le scommesse rivolte alle corse dei cavalli o dei levrieri, le lotterie, la roulette e gli altri giochi dei casinò, i totalizzatori, fino alle speculazioni in Borsa. Alla sfera dell’alea appartengono anche i giochi da tavolo dove conta solo la sentenza della sorte e il numero risultato dal lancio dei dadi, come per esempio il gioco dell’oca, che ha però anche connotazioni simboliche. In tempi recenti hanno avuto seguito anche giochi estremi e idioti, dove le nuove generazioni mescolano alea e ilinx e cercano emozioni forti sfidando la morte, con giochi pericolosi che consentono loro di avere stima dai coetanei, sfide postate sui social, per assaporare la botta di adrenalina: di notte molti ragazzi prendono la rincorsa e scavalcano i guardrail, correndo il più veloce possibile fino all’altra parte della strada, mentre sfrecciano le auto, altri attraversano i binari quando sta passando un treno, molti fanno selfie killer, altri il gioco dello svenimento, le sfide al limite della sopportazione fisica, le gare folli nel cuore della notte in autostrada. Alcuni si sfidano con la roulette russa o mettono in atto il “Blue Whale”. Nel film Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, invece, il cavaliere Antonius Block sfida la Morte a una partita a scacchi che sa di perdere, per temporeggiare e rimandare la fine della sua vita(11). Nel corso della partita svolta nell’arco di alcuni giorni, il cavaliere spera di guadagnare tempo perché capiti un’occasione per compiere almeno un’azione che abbia veramente senso nella sua vita. Riuscirà a salvare la felice famigliola di giocolieri (Jof, Mia e il loro figlioletto Mikael), che incarna l’amore, la semplicità delle piccole cose, un frammento di serenità. Il regista svedese si è ispirato alla sfida a scacchi con la morte immaginata da Albertus Pictor nell’affresco ancora visibile nella chiesa di Täby (Stoccolma). Anche una partita a scacchi, soprattutto contro la Morte, può essere collocabile nel gruppo dei giochi di matrice iniziatica.



Anonimo, Giocatori di tabula (XIII secolo); Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Buranus.


Bartolomé Esteban Murillo, Fanciulli che giocano a dadi (1675 circa); Monaco, Alte Pinakothek. L’artista spagnolo ritrae la scena per sensibilizzare il pubblico dell’epoca verso le misere condizioni di vita della popolazione spagnola. Si sofferma sull’immagine dell’infanzia abbandonata a se stessa, che però, nonostante sia preda della fame, del freddo e della miseria, riesce anche attraverso il gioco a distrarsi e a godere sprazzi di spensieratezza: tre ragazzi raffigurati con le camicie rotte e sbottonate, cenciosi, scalzi o con le scarpe logore, con i piedi sporchi, giocano in strada a dadi, animati da un’indomabile voglia di vivere.


Alexandros Athenaios, Donne che giocano con gli astragali (I secolo d.C.); Napoli, Museo archeologico nazionale.


Giocatrici di astragali (340-330 a.C.), gruppo scultoreo in terracotta da Capua; Londra, British Museum.

Albertus Pictor, La Morte che gioca a scacchi (1480); Täby (Stoccolma), chiesa di Täby.


Il cavaliere che gioca a scacchi con la morte, scena del film Il settimo sigillo di Ingmar Bergman del 1957.


Michelino da Besozzo (attr.), La Morte (Mazzo “Visconti di Modrone”, commissionato da Filippo Maria Visconti, duca di Milano), (1442-1447); New Haven, Yale Library.

ARTE E GIOCO
ARTE E GIOCO
Mauro Zanchi
Il gioco appartiene a tutte le culture e a tutte le epoche. Può rivestirsi di significati religiosi o magici, rappresentare una sublimazione di attività come la lotta o la guerra, per alcuni studiosi è alla base dello sviluppo della letteratura, del teatro, delle forme d’arte in genere. E l’arte ha rappresentato il gioco, a volte si è fatta essa stessa gioco. Questo dossier ripercorre le diverse forme che il gioco ha preso nelle arti. Dalle antiche scacchiere egizie alle carte da gioco medievali, fino ai bari di Caravaggio e ai giocatori di Cézanne, dalle bambole di epoca romana ai giochi infantili di Bruegel. E passa in rassegna le interpretazioni teoriche e sociali che hanno accompagnato nei millenni queste rappresentazioni.