Anche la “tabula” - successivamente chiamata tavola reale e backgammon(6) - è da considerare un’attività iniziatica, nel rapporto con i 12 triangoli per giocatore, ovvero con i 24 punti dove si pongono le 30 (15 x 2) pedine(7), e attraverso il lancio dei due dadi(8). Il bordo della tavola reale può essere considerato una sorta di recinto che delimita dal tempo e dallo spazio ordinario. Tra la partita in tempo reale e il rito iniziatico si dinamizzano ricadute reciproche, così pure tra l’inizio e la fine del gioco, nell’ottica di un’elevazione tramite la vittoria. I giocatori presidiano i confini per mantenere vivi i suoi poteri, e per lasciare spazio al pensiero come astrazione speculativa, ovvero come un’azione provvisoria, fine a se stessa o con una proprietà terapeutica. E oltre la fine della partita, il gioco non termina ma si irradia sul mondo ordinario della vita. I giochi potevano, allora come oggi, essere frequentati con serietà o con leggerezza. Uno stesso gioco può appartenere a un non tempo, a uno spazio extra-ordinario, entro il recinto del sacro e del rito, essere strumento di iniziazione a valori più alti o una componente dell’educazione (“paideia”), ma al contempo essere utilizzato dal volgo in un’ottica di ricreazione evasiva, di passatempo, di momentanea sospensione della vita sociale, o trasformato in pratica d’azzardo. Tutto dipende dalla qualità, dalle intenzioni e dallo scopo di chi si mette in gioco. La partita rituale, intesa come un’intuizione di ordine superiore, come una forma della saggezza nata dall’esperienza speculativa, è una antenata del sapere filosofico. Sotto l’egida della conoscenza avvenivano gare di enigmi, venivano posti indovinelli, quesiti della sfinge, dilemmi, e organizzate dispute filosofiche. In primo luogo, in ogni tempo, la sfida è con se stessi: la sorte e la via ludica rivelano anche opposizioni interiori, in perenne lotta fra loro, tra la persona e la sua maschera, tra l’individuo e il suo travestimento. Nell’agone ludico si cerca allora la via per trovare e acquisire l’essenza mistica e magica, entro la dimensione interiore. All’origine di ogni competizione - concepita all’interno di un limite di tempo e di spazio, ma anche al di là di questi due fattori, secondo date regole - la pratica ludica mette in azione qualco- Anonimo, Giocatori di tabula (XIII secolo); Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Buranus. sa che possa sciogliere una tensione, per sopravvivere all’incognita e al rischio che minano l’incolumità dell’identità. Attraverso questo rischio ci si apre alla possibilità di essere iniziati da una visione più lucida, lungimirante, estatica. In questa accezione è da intendere il gioco nel senso del termine “ilinx”, ovvero come stato che sta tra la vertigine e l’estasi(9), nell’incontro con qualcosa che si percepisce straordinario, come se fosse possibile vivere un’epifania, entrando in contatto con dimensioni sovra-individuali e transpersonali. Il gioco ovviamente non finisce qui, ma si apre ulteriormente nell’estensione dal singolo al collettivo, sia in chiave iniziatica sia per quanto riguarda gli aspetti del passatempo, come riposo dal lavoro o da altre attività più o meno impegnative, là dove l’attività dell’alea ha anche una funzione sociale utile per alleggerire il peso della sopravvivenza nel quotidiano, come svago e ricreazione, o per non pensare alle cose che gravano sull’anima. Il passaggio dal sacro al profano è breve, soprattutto quando ci mette lo zampino un demone e introduce nel gioco la possibilità di vincere del denaro. I dadi vengono utilizzati fin dall’antichità per vari giochi d’azzardo: due dadi (in alcuni casi tre), dopo essere stati agitati entro un bossolo o nel palmo della mano, vengono lasciati cadere sopra una tavola o dentro un “fritillus” (strumento spesso di forma cilindrica, chiamato anche “turricula”); vince la cifra maggiore, risultata dalla somma dei numeri casuali visibili sulle facce superiori scoperte. Un altro gioco d’azzardo molto popolare era l’astragalo(10). Si utilizzavano ossa brevi ricavate dalle zampe posteriori delle pecore, montoni e altri animali, più precisamente dalle ossa articolate poste tra la tibia e il perone. Gli astragali erano uno strumento di gioco così diffuso che vennero riprodotti anche con vari materiali, dall’economica terracotta al piombo, dal marmo ai più preziosi realizzati in avorio, argento e addirittura in oro, questi ultimi lanciati sopra sfarzosissime “tabulae lusoriae” realizzate da abili artigiani. Nel Pergamon Museum di Berlino, la copia romana di statua ellenistica (II secolo a.C., proveniente da uno scavo al Celio) ha come soggetto una ragazza che sta accovacciata per terra e guarda pensierosa gli astragali che ha appena lanciato sul pavimento. Anche nella lastra marmorea dipinta (I secolo d.C., proveniente da Ercolano) esposta nel Museo archeologico di Napoli è raffigurata una scena firmata dal pittore Alexandros Athenaios, dove alcune donne giocano con gli astragali.
Altre attività ludiche legate all’alea, non iniziatiche ma inerenti al risultato incerto, al piacere della scommessa e alla sfida con la sorte - forme culturali considerate in margine al meccanismo sociale - sono i giochi d’azzardo, le scommesse rivolte alle corse dei cavalli o dei levrieri, le lotterie, la roulette e gli altri giochi dei casinò, i totalizzatori, fino alle speculazioni in Borsa. Alla sfera dell’alea appartengono anche i giochi da tavolo dove conta solo la sentenza della sorte e il numero risultato dal lancio dei dadi, come per esempio il gioco dell’oca, che ha però anche connotazioni simboliche. In tempi recenti hanno avuto seguito anche giochi estremi e idioti, dove le nuove generazioni mescolano alea e ilinx e cercano emozioni forti sfidando la morte, con giochi pericolosi che consentono loro di avere stima dai coetanei, sfide postate sui social, per assaporare la botta di adrenalina: di notte molti ragazzi prendono la rincorsa e scavalcano i guardrail, correndo il più veloce possibile fino all’altra parte della strada, mentre sfrecciano le auto, altri attraversano i binari quando sta passando un treno, molti fanno selfie killer, altri il gioco dello svenimento, le sfide al limite della sopportazione fisica, le gare folli nel cuore della notte in autostrada. Alcuni si sfidano con la roulette russa o mettono in atto il “Blue Whale”. Nel film Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, invece, il cavaliere Antonius Block sfida la Morte a una partita a scacchi che sa di perdere, per temporeggiare e rimandare la fine della sua vita(11). Nel corso della partita svolta nell’arco di alcuni giorni, il cavaliere spera di guadagnare tempo perché capiti un’occasione per compiere almeno un’azione che abbia veramente senso nella sua vita. Riuscirà a salvare la felice famigliola di giocolieri (Jof, Mia e il loro figlioletto Mikael), che incarna l’amore, la semplicità delle piccole cose, un frammento di serenità. Il regista svedese si è ispirato alla sfida a scacchi con la morte immaginata da Albertus Pictor nell’affresco ancora visibile nella chiesa di Täby (Stoccolma). Anche una partita a scacchi, soprattutto contro la Morte, può essere collocabile nel gruppo dei giochi di matrice iniziatica.