In una scena miniata nel 1320 il re Otto di Brandeburgo indica la mossa che la sua compagna di gioco ha appena realizzato su una scacchiera non convenzionale, con un minore numero di caselle. Sulle pareti di una camera da letto del palazzo Davanzati, a Firenze, sono visibili alcuni episodi della Castellana di Vergi (o del Vergiù) tratti dal Decameron di Giovanni Boccaccio e realizzati verso la fine del Trecento. In assenza del marito, la duchessa di Borgogna chiede a messer Guglielmo di giocare con lei una partita a scacchi nella propria camera da letto, con l’intenzione poi di sedurlo. In una miniatura del XV secolo, Tristano e Isotta bevono il filtro d’amore da una coppa, incuranti del movimento ondulatorio della barca che sposta le pedine. In una vetrata rinascimentale dell’Hotel della Bessée a Villefranche-sur-Saône, due nobili innamorati si sfidano sulla scacchiera con la mente rivolta a immaginare i momenti sensuali che potranno seguire oltre l’esito della partita. Liberale da Verona - nella tavola dipinta attorno al 1475, ora conservata al Metropolitan di New York - ritrae giovani dai voluminosi capelli biondi, che assistono a una partita tra un gentiluomo e una dama. I capelli biondi e crespi dei personaggi testimoniano una acconciatura di moda nella Siena del XV secolo. Entrambi i protagonisti coinvolti nel corteggiamento camuffato si impegnano per vincere la partita a scacchi, che lascia intravvedere anche un confronto a sfondo erotico, come è spesso documentato nella letteratura amatoria del Rinascimento. Nella Partita a scacchi (1530 circa), Giulio Campi immagina la tenzone amorosa risolta attraverso il gioco e i suoi rimandi allusivi, al contempo descrivendo un riferimento a persone reali viste di prima mano nelle terre lombarde e proiettando sulla donna una immagine di Venere, vittoriosa sull’uomo: «Nel dipinto di Torino riappaiono, pur con i richiami a un’iconografia nordica, i motivi neoplatonici dei contrasti e dell’armonia d’amore, simboleggiati nei Trionfi quattrocenteschi da Marte in armatura che soccombe a Venere, i cui attributi sono le rose, presenti in questo caso a ornamento della donna e posate sul tavolo»(14). Nel cammeo presente sul cappello del personaggio a sinistra si vede Venere cacciatrice con l’arco. Marte, invece, potrebbe essere evocato dal soldato colto di spalle, celato dall’armatura. La donna, mentre indica la scacchiera, si rivolge in direzione del buffone, che le sta accanto, forse per chiedere consiglio sulle mosse da fare o per rimarcare una complicità che è tradotta dal pittore cremonese attraverso i segnali dei gesti e della mimica facciale che intercorrono tra loro. Sofonisba Anguissola, in Partita a scacchi (1555), si raffigura mentre sta giocando en plein air in un giardino ameno, dove si erge un’antica quercia, ricca di fronde, intesa come rimando alla solidità dei rapporti familiari. E infatti accanto a lei sono presenti anche le sorelle e la governante. Spicca il contrasto fra le giovani e benestanti ragazze - descritte con abiti ricamati, gioielli e pettinature elaborate - e la anziana popolana. Nel castello d’Issogne in Val d’Aosta, in una lunetta del portico, è stata dipinta la scena di una partita all’interno di un’osteria del XV secolo: parrebbe il gioco delle dodici linee, oggi praticato ancora in quasi tutto il mondo, in Italia chiamato tric-trac o tavola reale, mentre in Inghilterra è denominato backgammon.
Per la sua forma quadrata, già nell’antichità la scacchiera è stata considerata come un rimando alla terra, dove si svolge una serie di gare fra il bene e il male e dove il gioco ha la funzione di insegnare i valori della saggezza, della temperanza e dell’avvedutezza. Ogni aspetto di questo gioco e le immagini degli scacchi istituiscono paralleli con l’organizzazione della vita umana, ricondotti ai costumi e alle credenze del tempo. I pezzi della scacchiera hanno diversi valori, onori e fortuna, ma il ritorno alla loro comune origine a fine partita nella stessa scatola o sacchetta appiana ogni differenza. Il rapporto simbolico tra bianco e nero apre alle questioni di ogni dualità sempre in azione nel flusso della vita sulla terra, soprattutto al rapporto tra vittoria e sconfitta, tra luce e oscurità, tra vita e morte. In una miniatura realizzata nel Dialogue à deux personnages par lequel un homme apprend à vivre seurement (Amboise, 1505) di François Demoulins(15), è raffigurata una partita a carte tra un cardinale e un re. Alle spalle dell’ecclesiastico l’Ira cornuta segue la partita, mentre un diavolo porta con sé carte e dadi. All’altro lato del lungo tavolo, un precettore non si cura del giovane allievo studioso, e si dedica invece al gioco dei dadi sfidando un personaggio ben vestito, che probabilmente è Francesco I. Qui, invece, è l’Avarizia a seguire la partita. Questa scena illustra l’inizio di un dialogo moralistico sul “treno del gioco”. Il testo ci informa che il giovane principe - nel ruolo del penitente - è stato un giocatore d’azzardo: «Mi diletto molto nel gioco del flusso» (è un gioco di carte alla moda in quel periodo). Il Confessore, non rifuggendo da un facile gioco di parole, gli promette: «Il flusso scorrerà e farà uscire il denaro dalla tua borsa e allora la tua gioia nel pianto si convertirà». Nel corso dell’Alto Medioevo si ritiene che sia stato il diavolo a inventare i giochi da tavolo e soprattutto l’utilizzo dei dadi e delle scommesse. Per molti predicatori i dadi sono associabili all’atto d’infamia della morte di Cristo, ed essi immaginano che il diavolo fosse presente il giorno della crocifissione e avesse insegnato il gioco ai soldati romani, che ai piedi della croce si contendono le vesti del Figlio di Dio. A partire dal XIV secolo, nelle rappresentazioni iconografiche della crocifissione di Cristo, i pittori inseriscono il gioco dei dadi nell’episodio della spartizione delle vesti, interpretando il brano biblico che parla solo di «tirare a sorte».
Numerose sono anche le opere pittoriche che descrivono personaggi intenti a giocare a carte.