SCACCHIERE E CARTE

L’attività ludica sulla scacchiera è uno degli esempi tramandati da millenni, testimoniato in numerose opere d’arte.(12)

Il più antico è egizio, e risale al 1200 a. C.: Nefertari è raffigurata mentre gioca a “senet” nella sua camera mortuaria, immaginando di trascorrere il tempo con l’eternità o di porsi in relazione diretta col destino.

Di notevole fattura è la scena Achille e Aiace giocano con la scacchiera presente sull’anfora attica a figure nere realizzata da Exekias attorno al 540-530 a.C., ora conservata ai Musei vaticani. Il momento ludico non è descritto nell’Iliade di Omero, ma qui pare qualcosa che è in grado di scaricare la tensione dell’attesa, entro uno spazio di distrazione, a distanza dalla tragicità degli eventi che accadranno più avanti, durante la guerra di Troia. I due personaggi sono seduti, concentrati sul gioco, ed esclamano i punti realizzati sulla scacchiera(13), rispettivamente quattro e tre, come indicano le iscrizioni che paiono fuoriuscire dalle loro bocche o dai loro pensieri, nella stessa tipologia e funzione dei fumetti.

Nella basilica di San Savino a Piacenza, nel pavimento musivo della zona presbiteriale, è visibile un uomo che gioca a scacchi con una persona non rivelata. Nel lato destro si vede un braccio che proviene da fuori campo, dalla cornice del mosaico risalente all’XI secolo, e muove un pezzo sulla scacchiera. Un’altra testimonianza è raffigurata nel soffitto della Cappella palatina a Palermo realizzato nel 1143: due donne sembrano in trance agonistica e attuano le loro mosse senza nemmeno guardare la scacchiera. Negli anni Sessanta del XIII secolo, il re di Castiglia Alfonso XI il Saggio commissiona la redazione di un libro dedicato ai giochi degli scacchi, dei dadi e della dama, considerati come mediazioni di azzardo e saggezza, utili per ricercare e affinare dei modi di agire sulla realtà. Nei secoli successivi vi sono numerose rappresentazioni artistiche delle partite a scacchi, con l’utilizzo di diversi media e materiali, dall’avorio alle vetrate, dai codici miniati all’affresco, dalle incisioni ai dipinti. Spesso è raffigurato un confronto di genere, dove un uomo e una donna gareggiano come se fosse in atto un corteggiamento camuffato nel gioco, dall’incerto risultato.



Exekias, Achille e Aiace giocano con la scacchiera (540-530 a.C.); Città del Vaticano, Musei vaticani.


Nefertari gioca a “senet” nella sua camera mortuaria (1200 a.C.); Tebe Ovest, tomba ipogea della regina Nefertari.

Maestro d’Arco, Una dama gioca a scacchi con un frate (1380 circa); castello di Arco (Trento).


Libro de los juegos (1262-1283 circa); Madrid, El Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo.


Anonimo, La dama di Vergi gioca con messer Guglielmo (XIV secolo); Firenze, palazzo Davanzati.

In una scena miniata nel 1320 il re Otto di Brandeburgo indica la mossa che la sua compagna di gioco ha appena realizzato su una scacchiera non convenzionale, con un minore numero di caselle. Sulle pareti di una camera da letto del palazzo Davanzati, a Firenze, sono visibili alcuni episodi della Castellana di Vergi (o del Vergiù) tratti dal Decameron di Giovanni Boccaccio e realizzati verso la fine del Trecento. In assenza del marito, la duchessa di Borgogna chiede a messer Guglielmo di giocare con lei una partita a scacchi nella propria camera da letto, con l’intenzione poi di sedurlo. In una miniatura del XV secolo, Tristano e Isotta bevono il filtro d’amore da una coppa, incuranti del movimento ondulatorio della barca che sposta le pedine. In una vetrata rinascimentale dell’Hotel della Bessée a Villefranche-sur-Saône, due nobili innamorati si sfidano sulla scacchiera con la mente rivolta a immaginare i momenti sensuali che potranno seguire oltre l’esito della partita. Liberale da Verona - nella tavola dipinta attorno al 1475, ora conservata al Metropolitan di New York - ritrae giovani dai voluminosi capelli biondi, che assistono a una partita tra un gentiluomo e una dama. I capelli biondi e crespi dei personaggi testimoniano una acconciatura di moda nella Siena del XV secolo. Entrambi i protagonisti coinvolti nel corteggiamento camuffato si impegnano per vincere la partita a scacchi, che lascia intravvedere anche un confronto a sfondo erotico, come è spesso documentato nella letteratura amatoria del Rinascimento. Nella Partita a scacchi (1530 circa), Giulio Campi immagina la tenzone amorosa risolta attraverso il gioco e i suoi rimandi allusivi, al contempo descrivendo un riferimento a persone reali viste di prima mano nelle terre lombarde e proiettando sulla donna una immagine di Venere, vittoriosa sull’uomo: «Nel dipinto di Torino riappaiono, pur con i richiami a un’iconografia nordica, i motivi neoplatonici dei contrasti e dell’armonia d’amore, simboleggiati nei Trionfi quattrocenteschi da Marte in armatura che soccombe a Venere, i cui attributi sono le rose, presenti in questo caso a ornamento della donna e posate sul tavolo»(14). Nel cammeo presente sul cappello del personaggio a sinistra si vede Venere cacciatrice con l’arco. Marte, invece, potrebbe essere evocato dal soldato colto di spalle, celato dall’armatura. La donna, mentre indica la scacchiera, si rivolge in direzione del buffone, che le sta accanto, forse per chiedere consiglio sulle mosse da fare o per rimarcare una complicità che è tradotta dal pittore cremonese attraverso i segnali dei gesti e della mimica facciale che intercorrono tra loro. Sofonisba Anguissola, in Partita a scacchi (1555), si raffigura mentre sta giocando en plein air in un giardino ameno, dove si erge un’antica quercia, ricca di fronde, intesa come rimando alla solidità dei rapporti familiari. E infatti accanto a lei sono presenti anche le sorelle e la governante. Spicca il contrasto fra le giovani e benestanti ragazze - descritte con abiti ricamati, gioielli e pettinature elaborate - e la anziana popolana. Nel castello d’Issogne in Val d’Aosta, in una lunetta del portico, è stata dipinta la scena di una partita all’interno di un’osteria del XV secolo: parrebbe il gioco delle dodici linee, oggi praticato ancora in quasi tutto il mondo, in Italia chiamato tric-trac o tavola reale, mentre in Inghilterra è denominato backgammon.

Per la sua forma quadrata, già nell’antichità la scacchiera è stata considerata come un rimando alla terra, dove si svolge una serie di gare fra il bene e il male e dove il gioco ha la funzione di insegnare i valori della saggezza, della temperanza e dell’avvedutezza. Ogni aspetto di questo gioco e le immagini degli scacchi istituiscono paralleli con l’organizzazione della vita umana, ricondotti ai costumi e alle credenze del tempo. I pezzi della scacchiera hanno diversi valori, onori e fortuna, ma il ritorno alla loro comune origine a fine partita nella stessa scatola o sacchetta appiana ogni differenza. Il rapporto simbolico tra bianco e nero apre alle questioni di ogni dualità sempre in azione nel flusso della vita sulla terra, soprattutto al rapporto tra vittoria e sconfitta, tra luce e oscurità, tra vita e morte. In una miniatura realizzata nel Dialogue à deux personnages par lequel un homme apprend à vivre seurement (Amboise, 1505) di François Demoulins(15), è raffigurata una partita a carte tra un cardinale e un re. Alle spalle dell’ecclesiastico l’Ira cornuta segue la partita, mentre un diavolo porta con sé carte e dadi. All’altro lato del lungo tavolo, un precettore non si cura del giovane allievo studioso, e si dedica invece al gioco dei dadi sfidando un personaggio ben vestito, che probabilmente è Francesco I. Qui, invece, è l’Avarizia a seguire la partita. Questa scena illustra l’inizio di un dialogo moralistico sul “treno del gioco”. Il testo ci informa che il giovane principe - nel ruolo del penitente - è stato un giocatore d’azzardo: «Mi diletto molto nel gioco del flusso» (è un gioco di carte alla moda in quel periodo). Il Confessore, non rifuggendo da un facile gioco di parole, gli promette: «Il flusso scorrerà e farà uscire il denaro dalla tua borsa e allora la tua gioia nel pianto si convertirà». Nel corso dell’Alto Medioevo si ritiene che sia stato il diavolo a inventare i giochi da tavolo e soprattutto l’utilizzo dei dadi e delle scommesse. Per molti predicatori i dadi sono associabili all’atto d’infamia della morte di Cristo, ed essi immaginano che il diavolo fosse presente il giorno della crocifissione e avesse insegnato il gioco ai soldati romani, che ai piedi della croce si contendono le vesti del Figlio di Dio. A partire dal XIV secolo, nelle rappresentazioni iconografiche della crocifissione di Cristo, i pittori inseriscono il gioco dei dadi nell’episodio della spartizione delle vesti, interpretando il brano biblico che parla solo di «tirare a sorte».

Numerose sono anche le opere pittoriche che descrivono personaggi intenti a giocare a carte.



Maestro del Codice Manesse, Il re Otto di Brandeburgo gioca a scacchi con una fanciulla (1320 circa); Heidelberg, Universitätsbibliothek.


Tristan de Léonois, Tristano e Isotta bevono il filtro d’amore (1470), in Gaultier de Moap, Messire Lancelot du Lac; Parigi, Bibliothèque nationale de France, Manuscrits (Fr. 112 fol. 239).


Anonimo, Due nobili innamorati si sfidano a scacchi (XV secolo), vetrata proveniente dall’Hôtel de la Bessée in Villefranchesur- Saône; Parigi, Musée de Cluny, Musée national du Moyen Âge.

Liberale da Verona, Partita a scacchi (1475); New York, Metropolitan Museum of Art. Questo pannello proviene dalla parte anteriore di un cassone quattrocentesco: la storia tradotta in pittura si rifà a una novella non ancora identificata, collegabile all’episodio raffigurato sull’altra tavola conservata al Metropolitan Museum, dove un giovane si invaghisce di una fanciulla che appare alla finestra. Liberale fu un brillante miniatore e lavorò ai libri di coro a Siena tra il 1467 e il 1476.


Giulio Campi, Partita a scacchi (1530 circa); Torino, Musei civici.


François Demoulins, Dialogue à deux personnages par lequel un homme apprend a vivre seurement (1505); Parigi, Bibliothèque nationale de France.

Negli affreschi di palazzo Borromeo, a Milano, eseguiti probabilmente tra il 1445 e il 1450 dal Maestro dei Giochi Borromeo (Giovanni Zenoni?), in prossimità di tre melograni cinque giovani nobili sono concentrati in una attività dove i gesti sembrano pensati con molta attenzione e meditati. I rampolli Borromeo partecipano a un semplice passatempo giocando a carte o stanno vagliando i responsi dei Tarocchi? Il tema iconografico dei Tarocchi e le letture che scaturivano dal gioco divinatorio erano molto apprezzati nella corte viscontea. Sono giunti sino ai nostri giorni tre eccezionali mazzi quattrocenteschi: il mazzo Brambilla, oggi conservato presso la Pinacoteca di Brera, il mazzo Colleoni, smembrato e diviso tra la biblioteca Pierpont-Morgan a New York, l’Accademia Carrara e la collezione privata della famiglia Colleoni di Bergamo, e quello Visconti di Modrone, ora presso la biblioteca della Yale University di New Haven.

Oltre ai Tarocchi, i giochi delle carte vantano una lunga tradizione che è stata documentata negli affreschi nelle dimore signorili e nei codici miniati realizzati nelle corti quattrocentesche della penisola italica, nelle incisioni e nei dipinti di ambito nordico. Dalla fine del Cinquecento, in molti casi vengono descritte scene di truffa ai danni di un ingenuo giocatore, in stretto legame con racconti tratti dalla letteratura picaresca coeva e dalla Commedia dell’arte.

Attorno al 1595 Caravaggio dipinge I bari, opera ora conservata presso il Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas), dove un giovane viene gabbato da un giocatore truffaldino con l’aiuto di un suo compare, che gli segna le carte tenute in mano dall’avversario. Il gesto del complice si richiama a un segno codificato tra bari, il numero “tre”, in riferimento al punto del giocatore vittima dell’imbroglio. Di qualsiasi valore si tratti quello tenuto nelle mani del giovane esso verrà comunque superato dal punteggio che realizzerà il baro estraendo il sei di fiori da una tasca posta nell’abito o da una fessura tra la schiena e le brache. Molto probabilmente è in corso una partita di primiera(16), gioco d’azzardo antesignano del poker e assai diffuso in Italia all’epoca di Caravaggio. Le carte mostrano semi di tipo francese, cioè cuori, quadri, picche e fiori, e non i più antichi semi italiani di denari, spade, coppe e bastoni. I mazzi con i semi francesi erano nati in Francia nel XV secolo: ebbero grande diffusione in tutta Europa perché, richiedendo solo due colori per la stampa, erano molto più veloci da realizzare. Dopo Caravaggio, nel corso del Seicento altri artisti hanno raffigurato scene con giocatori di carte, come per esempio Bartolomeo Manfredi nella sua versione conservata agli Uffizi, Valentin de Boulogne nell’opera che si trova nella Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda, Nicolas Régnier nel dipinto ora visibile nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia e nella versione conservata nel Museo di belle arti di Budapest.

Anche Georges de La Tour ha dipinto una sua versione dei fatti in Il baro con l’asso di quadri (1620 circa), ora al Louvre. È una scena da osteria. Sul lato destro un ragazzino, abbigliato con ricchi ed eleganti abiti e con un cappello ornato con una voluminosa piuma, sta giocando una partita a carte con una donna e con un uomo. Mentre una inserviente porta in tavola del vino e pare osservare con sguardo truffaldino e complice i due personaggi in combutta tra loro, la donna al centro fa un cenno verso l’uomo che, con la mano sinistra, sta estraendo un asso di quadri dalla fascia stretta attorno alla vita. Il soggetto rappresentato ha anche un intento moraleggiante: il ragazzino imbrogliato incarna l’immagine del giovane tentato dal vizio, dalla lussuria, dal vino e dal gioco d’azzardo.

E per chiudere momentaneamente questo sintetico excursus, facciamo un salto lungo due secoli per andare direttamente dentro a un capolavoro che ha dinamizzato molte questioni sottese alla percezione visiva del mondo. Tra il 1892 e il 1895 Paul Cézanne traduce la sintesi della sua visione del reale nella composizione dei Giocatori di carte, che presenta uno schema fortemente geometrizzato, dove i due personaggi in opposizione consensuale formano un’immagine di contemplazione pura. Le figure massicce e la concentrazione silenziosa dei due giocatori conferiscono un aspetto decisamente monumentale alla composizione. Al contempo si percepisce una certa tensione visibile nella rigidità dei corpi, resa attraverso la solidità della forma. Siamo già oltre la traduzione di un’impressione, al di là della narrazione di un evento, oltre l’espressione di uno stato d’animo. Forse anche oltre una descrizione del senso interno all’azione.



Caravaggio, I bari (1594-1595); Fort Worth (Texas), Kimbell Art Museum.


Hans Muelich, Alberto duca di Baviera e la sua sposa Anna d’Austria giocano a scacchi (1552); Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek.


Valentin de Boulogne, I bari (1614-1615); Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister, Staatliche Kunstsammlungen.


Sofonisba Anguissola, Autoritratto (1555); Poznan´, Muzeum Narodowe.

Nicolas Régnier, Bari e chiromante (1626); Monaco di Baviera, Alte Pinakothek.


Georges de La Tour, Il baro con l’asso di quadri (1620 circa); Parigi, Musée du Louvre.

La composizione rende viva la sintesi di qualcosa che è destinato a permanere nella mente, al contempo istante che sta accadendo - e quindi credibile, entro una scena di vita vissuta - ed estensione nella sfera della memoria. L’impianto figurativo viene costruito attraverso l’accostamento di chiazze di colore caldo che si contrappongono ai toni freddi. Si espande e si comprime, come un respiro calmo, un cromatismo dalle sontuose armonie. Le parti anatomiche dei soggetti vengono ridotte a forme cilindriche e gli oggetti semplificati e resi come parallelepipedi. L’analisi delle forme reali viene manifestata mediante semplificazione assoluta e distorsione della visione prospettica, almeno per quel tempo e a confronto con le opere dei suoi contemporanei. Le sue intuizioni postimpressioniste influenzeranno in modo determinante la nascita del cubismo e si spingeranno ancora oltre verso il futuro, come in una serie di rimbalzi tipici del salto triplo.


Paul Cézanne, Giocatori di carte (1892-1895); Parigi, Musée d’Orsay.

ARTE E GIOCO
ARTE E GIOCO
Mauro Zanchi
Il gioco appartiene a tutte le culture e a tutte le epoche. Può rivestirsi di significati religiosi o magici, rappresentare una sublimazione di attività come la lotta o la guerra, per alcuni studiosi è alla base dello sviluppo della letteratura, del teatro, delle forme d’arte in genere. E l’arte ha rappresentato il gioco, a volte si è fatta essa stessa gioco. Questo dossier ripercorre le diverse forme che il gioco ha preso nelle arti. Dalle antiche scacchiere egizie alle carte da gioco medievali, fino ai bari di Caravaggio e ai giocatori di Cézanne, dalle bambole di epoca romana ai giochi infantili di Bruegel. E passa in rassegna le interpretazioni teoriche e sociali che hanno accompagnato nei millenni queste rappresentazioni.