XXI secolo
Intervista a Zanele Muholi

IL RUGGITO
DELLA LEONESSA

Francesca Orsi

Si definisce «attivista visiva, artista ed esteta». E la sua “missione” è stimolare riflessioni e creare consapevolezza sulle violenze subite dalla comunità gay africana. Un’azione intrapresa con tenacia da Zanele Muholi per minare le certezze di stereotipi e cieche convinzioni. Abbiamo esplorato con lei l’essenza del suo lavoro, portato avanti soprattutto, ma non solo, con l’obiettivo fotografico

L’essenza artistica di Zanele Muholi (Durban, Sud Africa, 1972) si invischia talmente capillarmente con l’identità personale e con l’attivismo politico e sociale della fotografa che la sua non è semplicemente un’opera di rappresentazione della comunità LGBTQ+ in Africa, ma un’azione di vera e propria rappresentanza. La sua vita e conseguentemente la sua poetica si caricano di un investimento tale da far diventare tutte le sue immagini dei veri e propri monumenti alla causa, dei monumenti che stimolano il pensiero critico, eretti non tanto per ricordare, ma più specificatamente per far riflettere, per documentare le ingiustizie e i soprusi a carico della comunità gay africana, ma contemporaneamente anche per demolire un immaginario carico di cliché creato dal “maschio bianco occidentale”. Quello di Zanele è un lavoro che racconta della comunità LGBTQ+ in Africa in maniera polifonica, riunendo visivamente la pluralità di voci che la compongono, inclusa quella di Zanele stessa. La sua partecipazione, il suo attivismo, infatti, li possiamo riscontrare non solo attraverso i soggetti da lei immortalati nelle sue fotografie, ma anche attraverso gli autoritratti. Di recente pubblicazione in Italia Zanele Muholi Somnyama Ngonyama. Ave, leonessa nera, edito da 24 ORE Cultura, in cui l’artista gira il suo obiettivo verso se stessa per rendersi simbolo, monumentale, di un’identità collettiva. Usando materiali di uso comune, che spesso riconducono alla sua storia personale, Zanele racconta iconograficamente la storia di un popolo, della sua estetica e delle sue tradizioni, cercando di scardinare gli stereotipi di un immaginario comune occidentale e riconferendo invece la specificità visiva di una se stessa simbolo e manifesto di una comunità e di un’intera popolazione. Fino all’8 maggio, inoltre, il Bildmuseet di Umeå, in Svezia, ospita la retrospettiva Zanele Muholi, un viaggio all’interno del mondo visivo dell’artista africana, animato dalla lotta politica e civile.


Miss D'vine I, Yeoville (Johannesburg) 2007.

Somnyama IV, Oslo 2015.


Bester I, Maiotta (Francia) 2015.

Come è nato il tuo attivismo visivo? 

Crescendo in Sud Africa e vivendo l’apartheid, la violenza di genere e altre violazioni dei diritti umani, sentivo che non potevo sedermi e accettare lo status quo. Sono stata esortata a contribuire al cambiamento in qualsiasi modo possibile: la macchina fotografica è diventata così il mio strumento. Creare narrazioni visive valide e oneste e riscrivere stereotipi dannosi è diventata la mia priorità. 


Il tuo modo di esprimerti artisticamente è diventato, nel tempo, sempre più sintetico e simbolico. Pensiamo a Faces and Phases (2006 - in corso), in cui usi un metodo di ritratto simile in tutti gli scatti con uno sfondo spesso monocromo o comunque anonimo, e a Miss D’vine del 2007 in cui, invece, la composizione e il dialogo tra ambiente e ritratto è il cardine del progetto in sé. Il tuo sintetismo visivo è andato in parallelo a un sintetismo di attivismo sociale e politico? 

Sono prima di tutto un’attivista visiva, ma sono anche un’artista ed esteta. Il mio linguaggio visivo non è diventato più sintetico, ma ho semplicemente ampliato i miei modi di comunicare. Anche quando i miei contesti sembrano messi in scena, sono, in realtà, legati al quotidiano e allo spazio pubblico. Non lavoro mai in studio, e quindi il rapporto dialettico tra il luogo e la sua accessibilità si articola attraverso tutti i miei corpi di lavoro.


«HO SEMPRE PENSATO CHE GUARDARE SE STESSI E RIVENDICARE LA PROPRIA STORIA FOSSE UNA VIA VERSO LA LIBERTÀ, E CON SOMNYAMA NGONYAMA RIVENDICO LA MIA RAZZA, LA MIA IDENTITÀ E LE MIE RADICI COME FONTE DI ORGOGLIO E LIBERAZIONE» (ZANELE MUHOLI)


ID Crisis (2003).

Nella tua retrospettiva al Bildmuseet di Umeå in Svezia è stata allestita una specifica sezione “Queering Public Space” in cui i luoghi non hanno valore solo in riferimento ai ritratti (“ritratti ambientati”), ma anche come simbolo stesso dei principi e delle idee per cui combatti. 

Sì. Come ti dicevo, le ambientazioni di tutte le mie immagini hanno un valore simbolico. Ma nella sezione di cui parli ho scelto specificamente luoghi ed eventi carichi di significato come le spiagge che una volta erano posti di segregazione e che oggi sono siti di contestazione. 


In Being (2006 - in corso) ritrai l’intimità corporea e quotidiana di alcune coppie nere della comunità LGBTI. Un racconto delicato dal potente valore civile e politico contro ogni tipo di stigmatizzazione sessuale. La tua arte è alimentata dalla tua urgenza a documentare? 

Sì. Spesso, dai media, siamo travisati e dipinti come vittime e/o individui depravati. Le mie immagini cercano di raccontare una storia diversa, più sfumata. 


Il tuo ultimo progetto Zanele Muholi: Somnyama Ngonyama, Hail the Dark Lioness (2012 - in corso), pubblicato nel 2018 da Aperture e recentemente in Italia da 24 ORE Cultura, può essere definito l’estrema sintesi del tuo processo creativo che dà voce al tuo dissenso? 

Non la definirei una sintesi estrema, ma tracce di questa serie esistono sicuramente nei miei lavori precedenti, come Only Half the Picture, Massa and Mina(h) e Miss Black Lesbian. Ho sempre pensato che guardare se stessi e rivendicare la propria storia fosse una via verso la libertà, e con Somnyama Ngonyama rivendico la mia razza, la mia identità e le mie radici come fonte di orgoglio e liberazione. 


Zanele Muholi: Somnyama Ngonyama, Hail the Dark Lioness si compone esclusivamente di tuoi autoritratti, girando quindi l’obiettivo esclusivamente su di te. Quanto e perché è importante l’aspetto performativo nel messaggio che vuoi comunicare tramite il tuo lavoro? 

Abbraccio l’elemento performativo perché dimostra che tutte le idee archetipiche su cui lavoro sono proiezioni, idee costruite piuttosto che implicite e inevitabili. 


Alla fine del 2021, alla Galleria Stevenson di Città del Capo, in Sud Africa, è stata esposta la tua personale Nize nani, in cui accanto al tuo linguaggio fotografico ha trovato spazio anche quello pittorico e scultoreo. Come il tuo attivismo visivo ha trovato voce anche tramite altri medium? Che differenze rappresentative hai riscontrato rispetto alla fotografia? 

Prima ti avevo parlato dei cambiamenti e delle evoluzioni nel mio linguaggio visivo, questo è un altro di quei momenti. Avevo bisogno di una forma di espressione che andasse oltre l’obiettivo fotografico e così la pittura e la scultura sono diventate un altro metodo di articolazione del sé. Negli anni ho dipinto con sangue mestruale e creato installazioni, ma questi lavori non li ho fatti vedere molto spesso, né erano mai stati esposti. È solo di recente che ho permesso a questa parte della mia pratica artistica di esprimersi più apertamente. 


Nel 2006 hai creato la piattaforma Inkanyiso (www.inkanyiso. org). Ce ne parli? 

Ho creato la piattaforma in modo che le persone LGBTQ+ nere potessero connettersi, riflettere e imparare dalle reciproche storie. Inkanyiso è un antidoto all’isolamento.


Katlego Mashiloane e Nosipho Lavuta, Lakeside Ext 2 (Johannesburg) 2007.


Senzekile II, Cincinnati (Stati Uniti) 2016.

Aftermath (2004).


Bona, Charlottesville (Stati Uniti), 2015, Londra, Tate.

Zanele Muholi

Bildmuseet, Umeå, Svezia
fino all’8 maggio
La mostra è organizzata dalla Tate Modern di Londra
in collaborazione con Bildmuseet, Gropius Bau di Berlino
e Maison Européenne de la Photographie di Parigi
www.bildmuseet.umu.se

Somnyama Ngonyama. Ave, leonessa nera

Zanele Muholi
212 pagine, 100 illustrazioni
24 ORE Cultura, Milano 2021

ART E DOSSIER N. 398
ART E DOSSIER N. 398
MAGGIO 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE - Il Pecci? Un organismo inclusivo; CORTOON - Tra Kafka e Kaufman; BLOW UP - Barnor; DENTRO L’OPERA - Un viaggio negli abissi (post) coloniali; GRANDI MOSTRE. 1 - Giorgio Griffa a Parigi. La ricerca del tratto primario; XXI SECOLO - Intervista a Zanele Muholi. Il ruggito della leonessa; GRANDI MOSTRE. 2 - Surrealismo e magia a Venezia. Nell’occulto, la libertà; GRANDI MOSTRE. 3 - Kandinskij a Rovigo. Musica per gli occhi; OUTSIDERS - Roberto Melli: lunga favolosa notte; GRANDI MOSTRE. 4 - Sickert a Londra. L’artista mascherato; GRANDI MOSTRE. 5 - Sorolla a Milano La felicità è un raggio di sole; PAGINA NERA - I problemi di un sito ritrovato avvilito; STUDI E RISCOPERTE - Gaspard Dughet e la campagna romana. Nella sua pittura abita Pan; GRANDI MOSTRE. 6 - Il Barocco genovese a Genova. I capolavori della Superba; ITINERARI - “Padova Urbs Picta”. Nel cuore della città dipinta; IN TENDENZA - Per Sickert, ora, un pallido successo; IL GUSTO DELL’ARTE - Il vegetale che mandava in estasi.