XXI secolo. 1
Adolfo Natalini

L’ARCHITETTURA PER PROFESSIONE
L’ARTE PER VOCAZIONE

Ricordiamo, a due anni dalla scomparsa, Adolfo Natalini, che ha lasciato traccia del suo genio creativo nel nuovo allestimento del museo dell'opera del Duomo di Firenze, portato a termine tra il 2010 e il 2015 con la collaborazione dello studio Guicciardini & Magni e secondo il progetto concepito dal direttore del complesso, monsignor Timothy Verdon.

Lorenzo Ciccarelli

Il 23 gennaio 2020 Adolfo Natalini ci ha lasciati. Lui, che aveva vissuto molte vite – «di mestiere faccio il professore all’Università, la mia professione è quella dell’architetto, ma la mia vocazione è quella dell’artista» – e che aveva attraversato da protagonista la stagione eroica dell’avanguardia radicale e poi quella del “ritorno all’ordine”, si è congedato con garbo e leggerezza, presentendo forse lo tsunami della pandemia in arrivo. Le difficoltà di questi ultimi mesi stanno ritardando una riflessione ampia riguardo all’eredità di artista, architetto e umanista che Natalini ha lasciato, e che dovrà essere esplorata anzitutto dalle istituzioni accademiche e museali della città dove aveva scelto di vivere: Firenze. Nonostante fosse nato a Pistoia, disseminando i suoi edifici in molti paesi, Natalini si sentiva erede della lunga e illustre schiera di architetti che avevano operato a Firenze, lasciando impresso il loro genio in fabbriche capaci non solo di rappresentarsi come grande architettura, ma anche di creare spazio pubblico.

Il legame istintivo e non sempre immediato con la città di Firenze traspare da uno dei suoi ultimi lavori, uno di quelli di cui andava più fiero: il nuovo allestimento del Museo dell’Opera del duomo, svolto insieme a Guicciardini & Magni Architetti e a RovaiWeber design seguendo il progetto museologico messo a punto dal direttore del complesso, monsignor Timothy Verdon.

Visitando le sale del museo, che alloga una miriade di manufatti, modelli, parati e ori preziosi, e la più completa e pregiata collezione di scultura fiorentina al mondo, emerge potente l’erudizione di Natalini, il suo lungo e appassionato studio delle vicende di Firenze, delle sue più celebri fabbriche e artisti. Non a caso il corridoio d’ingresso al museo è fiancheggiato da una parete di lastre di marmo di Carrara in cui sono incisi i nomi degli artisti che hanno contribuito alle vicende dell’Opera del duomo: da Arnolfo di Cambio a Michelozzo, da Lorenzo Ghiberti a Filippo Brunelleschi, Giotto, Sandro Botticelli, Andrea del Castagno, Luca della Robbia, Donatello, Jacopo Sansovino, Benedetto da Maiano, Jacopo della Quercia, Cimabue, Andrea Pisano, Paolo Uccello e molti altri ancora; un elenco torrenziale che stupisce e soverchia il visitatore.

Nonostante nel corso del Novecento il museo abbia più volte subito lavori di ristrutturazione, le sale si presentavano ancora anguste e di altezza insufficiente per ospitare degnamente le opere, molte delle quali sono state concepite a scala monumentale. Natalini ispirò e guidò il progetto di espansione e riallestimento, completato fra il 2010 e il 2015, al termine del quale i volumi del museo potevano contare su una superficie espositiva quasi triplicata, saldando il nucleo originario al contiguo settecentesco Teatro degli intrepidi, trasformato a sua volta, durante il Novecento, in garage e poi declassato a magazzino.

Dall’oscurità del corridoio di ingresso, il visitatore accede alla monumentale Sala del paradiso, dominata dalla ricostruzione evocativa in scala 1:1 della facciata trecentesca di Arnolfo di Cambio del duomo di Santa Maria del Fiore, mai completata e infine demolita nel 1587. L’imponente facciata si estende per ben cinquecentocinquanta metri quadrati, sorretta da una struttura metallica rivestita di lastre di resina additivata con polveri di alabastro, accogliendo le statue e i bassorilievi originariamente progettati proprio per adornare la facciata della cattedrale.

Di fronte, un impalcato ortogonale ospita al piano terra le tre porte istoriate del battistero e, ai piani superiori, le statue antiche per la cattedrale, quelle per il campanile e i modelli storici per la facciata del duomo. Retrostante la Galleria del campanile, Natalini ha predisposto la Galleria della cupola, con i modelli originali della cupola del Brunelleschi e della lanterna, corredati dalle attrezzature di cantiere e dagli utensili degli operai, mentre dal mezzanino al secondo piano lo sguardo spazia dal modello sottostante alla cupola costruita, che si staglia nel cielo ed è visibile attraverso un lucernario scenograficamente aperto nella copertura del museo. Non solo l’architettura e la scultura, tuttavia, raccontano la storia secolare dell’Opera. Altre sale del museo - la Cappella delle reliquie, il Teatrino mediceo, la Sala dei paramenti, la Sala delle navate, la Sala delle cantorie, la Sala del tesoro, solo per nominarne alcune - svelano una sequenza di tesori come il raffinatissimo altare d’argento trecentesco, il parato di San Giovanni su disegno del Pollaiolo, gli smalti del battistero, il crocifisso ligneo (sempre del battistero) attribuito a Giovanni di Balduccio, le cantorie di Donatello e Luca della Robbia, i paramenti sacri, gli apparati effimeri e molto altro ancora.

Scendendo il nuovo scalone, progettato sempre da Natalini, nel fianco sud della Sala del paradiso si guadagna l’uscita, non prima di aver attraversato due ultimi ambienti. Da una parte la sala della Maddalena custodisce la celeberrima Santa Maria Maddalena penitente in legno di pioppo di Donatello che, fino al 1972, era conservata all’interno del battistero. Dall’altra, nella tribuna di Michelangelo, troneggia la Pietà Bandini (recentemente restaurata), una delle ultime opere del maestro toscano, collocata dal 1722 alle spalle dell’altare maggiore della cattedrale. Anche se posizionate in due ambienti separati, le due sculture sono allineate rispetto al passaggio e possono essere abbracciate in un solo sguardo. Il disegno dei fondali e gli opportuni tagli di luce predisposti da Natalini e da Guicciardini & Magni esaltano il dialogo percettivo fra le due sculture, fornendo una conclusione appropriata e maestosa alla visita del Museo dell’Opera del duomo, scrigno di capolavori che si offre, rinnovato, all’ammirazione dei visitatori contemporanei.


La maestosa Sala del paradiso con, a sinistra, la ricostruzione della base della facciata trecentesca del duomo.


la Porta del paradiso del battistero di Lorenzo Ghiberti, con le formelle dorate originali;


Immagine della Galleria delle sculture al primo piano;


Immagine della Galleria delle sculture al primo piano;


la Galleria della cupola dedicata a Filippo Brunelleschi e ai modelli lignei della cupola.

ART E DOSSIER N. 394
ART E DOSSIER N. 394
GENNAIO 2022
In questo numero: IN MOSTRA: Bruguera a Milano; Klimt a Roma; Julie Manet a Parigi; Van Gogh ad Amsterdam; Arte dell'Oceania a Venezia. PUNTI DI ROTTURA: Arte e bolle di sapone; Shore: il declino dell'industria americana; che fine hanno fatto gli Annigoni perduti?; Che fine farà Santa Maria della neve in Valnerina?Direttore: Claudio Pescio