Proprio il tema e la risoluzione classicistica della Pietà scelti dall’abate di Saint-Denis nella prospettiva dell’anno santo del 1500 ci dicono qualcosa in più sia della sua cultura di committente, sia del suo stato d’animo a settant’anni, se quest’opera voleva essere anche il resoconto di una vita d’impegno diplomatico ed ecclesiastico. Nella testa del cardinale il progetto e l’immagine da affidare a Michelangelo erano stati chiari fin dai tempi del loro primo incontro, almeno dal novembre del 1497. La scelta del tema (“Novamente ci semo convenuti con maestro Michele Angelo... che ci faccia una pietra di marmo, cioè una Vergine Maria vestita con Cristo morto nudo in braccio, per ponere in una certa Cappella, quale noi intendemo fundare in San Piero di Roma nel luocho di Sancta Peronella”142) era tutta giocata sull’endiade figurale carne nuda-carne vestita e risaliva al tema penitenziale della Notre Dame de la Pitié, riferimento determinante nella sua nobile sobrietà, comune al clero francese e persino all’aristocrazia terriera di cui lo stesso Jean Bilhères faceva parte.143 Alla luce delle candele quei corpi santi avrebbero trasceso il niveo limite del marmo apparendo carne immacolata a portata di mano dei devoti. La visione quasi ad altezza d’uomo delle due commoventi figure avrebbe raggiunto nell’intensità lirica un effetto di verità e un potere di suggestione devozionale straordinario, efficace se non utile in occasione del giubileo, appuntamento spettacolare organizzato in favore sia dei pellegrini sia della potenza ecumenica della chiesa. Si trattava della prova scultorea (quindi tridimensionale e per questo tangibile) dell’Incarnazione e della vicenda terrena del Salvatore; ed era anche la prima certificazione della superiore maestria del Buonarroti, destinato da Dio e scelto dal committente per ‘incarnare’ nella morta pietra l’immagine della Vergine Maria e del Figlio di Dio. Questa consustanziazione del divino nella realtà artistica non avveniva con un naufragio mimetico verso l’umano (dove rimarrebbe vivido soprattutto il grumo di sangue e di carne martoriata), ma attraverso l’effige gloriosa di un corpo veramente perfetto: come direbbe san Giovanni, “il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi; e noi ne abbiamo veduta la gloria, gloria eguale a quella dell’Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità” (Giovanni, 1, 14). La rappresentazione dell’uomo creato a immagine di Dio (Adamo prima del peccato originale) e quella di Gesù nuovo Adamo (“Adamo il quale è figura di colui che doveva venire”, Romani, 5, 14) ritornano proprio nell’invenzione scultorea dell’aspetto fisico del Redentore. Si tratta, insomma, dell’argomento antropologico della prima e della seconda creazione, dove Gesù è “immagine dell’invisibile Dio” (Colossesi, 1, 15) e “riflesso della gloria di Dio, impronta della sua sostanza” (Ebrei, 1, 3).
Jean Bilhères de Lagraulas forse aveva compreso che il panneggio della Madonna poteva allontanare l’effetto paganeggiante dell’estrema bellezza fisica di una Maria avvenente come una giovane sposa e di un Gesù tutto nudo, troppo simile altrimenti a un Endimione addormentato sotto la luce amorevole della Luna. La malinconia carica di eros di quella vicenda mitologica, impiegata spesso sui fronti dei sarcofagi antichi,144 veniva trasformata oltre ogni citazione figurativa e letteraria grazie alla regale e contenuta mestizia della Madonna, vergine casta e madre misericordiosa, umile figlia e sposa fedele. Simbolo rassicurante, in tal contesto, anche della chiesa stessa: sposa virginale di Cristo e madre mediatrice, come l’anziano cardinale gradiva evidenziare, magari anche per ricordare ai re francesi i loro obblighi verso il papato. Come abbiamo detto, in Santa Petronilla rimaneva celata ai riguardanti l’armoniosa epifania del volto di Gesù, mentre in primo piano, con la torsione del collo, spiccavano la gola e il pomo d’Adamo del Salvatore, inerme nel sacrificio. Il volto reclinato del Cristo enfatizzava un commovente sottinsù, cercato soprattutto per riproiettare il fedele in una posizione di riverenza.
Qui vediamo anche una possibile citazione del Marte addormentato e disarmato di Sandro Botticelli, dalla celebre tavola oggi a Londra di Venere e Marte del 1483: pittura guarda caso ispirata a figure classiche come quelle di Endimione, Bacco e Arianna, e che probabilmente Michelangelo avrà ammirato a Firenze grazie ai buoni rapporti con Sandro Botticelli e - tramite Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici - con la famiglia Vespucci, possibile committente dell’opera.145 Il Marte intenerito dall’amore di Venere dipinto dal Botticelli veniva rielaborato da Michelangelo (la corona dei capelli, le labbra socchiuse, il morbido rapporto collo-spalla, i pettorali spianati e non tesi, la posizione della dita della mano eleganti e rilasciate, il panno in diagonale a mo’ di perizoma) come prezioso esempio di espressività e di lirismo; allo stesso tempo nella Pietà era neutralizzato il senso pagano di ogni riferimento letterario a Bacco, Endimione, Meleagro o Penteo. Riverente è proprio la scelta di tenere coperte le parti intime del corpo di Cristo con un morbido panno, evitando tra l’altro lo scivoloso abbinamento visivo tra il volto di ragazza di Maria e le pudenda di Gesù. Con cotanto rispetto il corpo sessuato del Salvatore, simile a quello degli altri uomini, viene sottratto allo sguardo diretto dei credenti, scartando una prova superflua dell’umanità del Figlio di Dio. La vista interiore della Vergine è invece tutta concentrata sul mistero divino, gli occhi della Madonna direzionati in basso e oltre, così che lo sguardo poteva abbracciare la lastra tombale al di sotto (se così fosse stata collocata), accogliendo con misericordia l’ultima preghiera del cardinale.
Vent’anni dopo Michelangelo trattò nuovamente il tema del corpo glorioso di Gesù in una scultura monumentale. Ci riferiamo al Cristo redentore (1519-1521 circa, 205 cm di altezza) in Santa Maria sopra Minerva,146 che doveva essere collocato entro un tabernacolo (distrutto nel 1849), sopra la tomba di una defunta, Marta Porcari, mentre oggi la statua si erge accanto alla cappella maggiore, addossata al setto murario. In quest’opera Michelangelo mise insieme i temi figurativi del Risorto (dove il patibolo è vessillo di vittoria) e del Portacroce (dove il legno è quello del martirio). I simboli della Passione sono mostrati e portati con una mossa elegante, un po’ acrobatica, simile a quella compiuta dalla Madonna del Tondo Doni. La croce, fra l’altro sopravanzata dalla gamba destra, viene indicizzata dalle mani per invitare i credenti a seguire l’esempio di Cristo, così che la figura sembra in procinto d’intraprendere un cammino trionfale: “Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Marco, 8, 34). Anche il volto del Messia conferma il tenore teatrale dell’opera, e la testa - rivolta verso la folla degli uomini con inusitata fierezza classica - riluce di un carattere eroico che travalica il contesto funebre. Oggi i genitali del Cristo della Minerva sono modestamente coperti da un panneggio dorato aggiunto nel primo Seicento. Michelangelo - comunque non soddisfatto del risultato ottenuto - forse voleva presentare il corpo più santo nella sua purezza adamitica, in un canone appunto stabilito dall’Altissimo e a somiglianza del divino. Qui egli esalta questa perfezione incoraggiando i fedeli a vedere la loro fratellanza con il Nazareno, ma anche a spogliarsi degli aspetti carnali per venerare quelli ultraterreni. Dunque il Redentore di Santa Maria sopra Minerva rappresentava la resurrezione, la vittoria sulla morte, la gloria di Cristo. L’incedere vittorioso della figura e il suo portare la croce come una bandiera trionfale e non come un funebre labaro fornivano l’esempio guida alla comunità cristiana, come si poteva leggere in Agostino: “Ha preparato il legno con cui potessimo attraversare il mare. Infatti, nessuno può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. A questa croce potrà stringersi, talvolta, anche chi ha gli occhi malati. E chi non riesce a vedere da lontano dove deve andare, non si stacchi dalla croce, e la croce lo porterà”.147