IN LUCE E OMBRA

secondo Kathleen Weil-Garris Brandt, la Pietà doveva funzionare come “a beautiful, devotional way station to the Petronilla altar, ius patronatus of the kings of France, a position specially appropriate for the funerary altar of their great ambassador, Cardinal de Bilhères”.124 Quindi la lastra tombale del cardinale francese doveva trovarsi posizionata a terra, una o due cappelle prima dell’altare maggiore, e verosimilmente a sinistra dello stesso altare, così come il gruppo di Michelangelo. Eppure l’orientamento originale della lastra tombale di Jean Bilherès de Lagraulas rimane un rebus di difficile soluzione, anche perché la Pietà non venne progettata (1497) come porzione del monumento funebre di Jean de Bilherès, morto inaspettatamente il 6 agosto del 1499, due anni dopo il primo contatto documentato tra lo scultore e il cardinale. Infatti, come abbiamo già spiegato, nelle carte si parla solo della lavorazione di un gruppo marmoreo per una cappella patrocinata dal prelato francese vicino a San Pietro. Chiedersi quale fosse la posizione della lastra terragna rispetto all’altare maggiore di Santa Petronilla, o rispetto alla stessa Pietà, non è comunque di secondaria importanza, soprattutto pensando alla storia successiva del monumento e alle sue diverse collocazioni fino a quella attuale in San Pietro, risalente all’epoca di Benedetto XIV, ovvero al 1749.125

Se il simulacro del cardinale Bilhères dopo la sua morte fosse stato posizionato in parallelo126 rispetto al corpo di Cristo, i riguardanti avrebbero messo in relazione le due diversissime figure di morti, mettendo a fuoco il senso del sacrificio di Gesù a beneficio dell’umanità condannata alla morte corporale. Diversamente se la lastra fosse apparsa perpendicolare al gruppo, con la testa del prelato posizionata come in contemplazione della Pietà, in quella distanza tra orizzonte terreno e piano divino si sarebbe avvertito un senso di attesa resurrezione, mercé l’intercessione della Vergine a favore di Jean Bilhères de Lagraulas. Esiste una terza possibile collocazione della lastra, ovvero dietro l’altare e visibile solo circumnavigando il gruppo all’interno della cappella-nicchia a sinistra dell’altare maggiore.

 
Conviene adesso soffermasi sull’incidenza della luce rispetto al posizionamento della Pietà e della lastra tombale. Nel piccolo ma fastoso sacello patrocinato dai successori di Carlo Magno e di Luigi il Santo, la luce del giorno probabilmente calava sulle due figure della Pietà dalle finestre del tamburo.127 Illuminata dall’alto, quell’immagine di marmo levigato risplendeva di una potenza superiore, colta da chi, dopo un vestibolo, si immetteva nella Rotonda giungendo dall’adiacente basilica della vecchia San Pietro. Diversamente, la fiamma delle candele, più ravvicinata e vibrante, caricava l’esperienza estetica di un’intimità vespertina. In quella situazione si accentuavano le parti in ombra del gruppo, l’effluvio di morbide pieghe della veste di Maria risultava mosso, la mano della Madonna, che offre ai cristiani lo spettacolo del sacrificio del Figlio, si evidenziava nella penombra. In altre parole, la luce ambrata delle fiammelle avrà sottolineato i dettagli, temperando la magnificente freddezza del marmo con una pittorica dolcezza d’incarnato. In questa fenomenologia luminosa la levigata lucida purezza della superficie avrebbe quasi illuso i fedeli sulla presenza incarnata dell’immagine nella pietra. Veridica presenza che venne rimarcata anche dal Vasari, il quale così scriveva: “Ed è veramente tale, che, come a vera figura e viva, disse un bellissimo spirito: / Bellezza et onestate, / E doglia e pietà in vivo marmo morte, / Deh, come voi pur fate, / Non piangete sí forte, / Che anzi tempo risveglisi da morte, / E pur, mal grado suo, / Nostro Signore e tuo / Sposo, figliuolo e padre, / Unica sposa sua figliuola e madre”.128 Quei bagliori scioglievano il cuore dei fedeli, meravigliati dall’intatta perfezione del corpo di Gesù, “sposo, figliuolo e padre”, commossi dalla consapevole compostezza della Vergine, “sposa, figliuola e madre”, mentre più d’uno avrebbe gratificato il committente, evocato dalla lastra, di una prece rispettosa.

Michelangelo faceva dunque oscillare il pendolo dell’attenzione tra il soggetto sacro e la sua messa in scena. Infatti, nella contrazione del racconto l’impianto piramidale a due figure donava alla Pietà un’iconicità quasi medievale, ma alla luce delle candele di Santa Petronilla quella ieraticità si tramutava in una forma moderna: grazie alle fiammelle delle candele quei due corpi simbolici in marmo apparivano come vivi. La veridicità anatomica serviva a Michelangelo per rafforzare la comprensione del mistero teologico, non gli interessava indugiare nella rappresentazione mimetica di un corpo sofferente. A un primo livello, il fedele conosceva attraverso figure simboliche il dogma dell’incarnazione, affidandosi alle poche parole a sua disposizione (le due effigi marmoree di Maria e del Figlio), senz’altro desiderare che essere illuminato dalla fede e trovare davanti all’immagine la speranza di una resurrezione in Cristo. A un secondo livello, l’opera si sostanziava attraverso la sofisticata profusione di dettagli. A questo grado di visione il riguardante entrava nei misteri della Passione e della maternità virginale di Maria; ne approfondiva i vertiginosi concetti grazie a un novero di brani significanti portati in essere da una superiore perizia tecnica. La sorprendente maestria, in Michelangelo, non era mai dissociata da quella contemplazione creativa che permetteva all’artista di farsi relatore di verità ultraterrene, senza scadere in una traduzione troppo prosaica degli argomenti affrontati dopo una faticosa esegesi. L’ultimo livello entrava in gioco a distanza ravvicinata e con il contributo “melodioso” della luce delle candele che suggestionava i fedeli. Intendiamo dire che la teatralizzazione dell’opera si dipanava tra il gioco retorico e solenne della luce artificiale e lo stupore dei fedeli davanti alla dura materia del marmo addomesticata dall’artefice. Così si otteneva l’incorporazione del mistero sacro fin nelle pieghe della sensibilità individuale, che in questo caso non era quella popolare e verace delle compagnie dei flagellanti, più predisposti a vivere un rapporto di fede stimolato dall’eccitazione dei sentimenti e dal senso di colpa.129 Il cardinale Jean Bilhères aveva allora solo apparentemente ridotto o sospeso l’effetto scenico del suo rivoluzionario Vesperbild, spiazzando anche i possibili detrattori delle forme neoclassiche, che sarebbero stati riconvertiti alla bellezza formale dall’esposizione della Pietà proprio al centro del mondo cristiano. 


Con questi argomenti in testa, il giovane scultore magari avrà pensato che un’esistenza vissuta senza un legame autentico con la fede creasse angoscia anche in un momento di successo mondano. Inoltre la morte del potente cardinale nell’agosto del 1499 potrebbe aver dato maggiore concretezza ai pensieri gravi di Michelangelo. Per spiegare meglio quel momento storico, ci dobbiamo dedicare a una breve ricostruzione dello stato d’animo del ventitreenne Buonarroti nel quadro a tinte fosche della Roma di Alessandro VI Borgia (1492-1503). In quel torno di tempo sembra che l’artista patisse anche una sorta di depressione, vivendo fin troppo miseramente e dedicandosi solo al lavoro. Così egli apparve troppo contrito e persino avaro a suo padre Ludovico, che in maniera un po’ superficiale lo sollecitava a essere miglior manager di se stesso (“la miseria è chattiva, però che è vizio che dispiacie a Dio e alle gienti del mondo, et inoltre ti farà male all’anima e al chorpo”130), ora che era arrivato nella città opulenta dei principi della chiesa e delle sontuose vestigia dell’antichità, quali il bellissimo Apollo esibito dal cardinale Giuliano della Rovere nel giardino di San Pietro in Vincoli. La depressione a cui sopra si accennava sarà aumentata in Michelangelo nel riflettere sul contesto politico e sulla scena artistica nella quale operava; alcune questioni morali si intrecciavano con le emozioni di un artista che stava riformando il valore estetico della nudità in scultura, grazie anche alla protezione della cerchia di Raffaele Riario e di Jacopo Galli, popolata di ecclesiastici e di intellettuali fanatici della classicità. Quegli uomini di spirito elevato imponevano all’artista un confronto serrato con la statuaria greco-romana, sicuramente apprezzata dal punto di vista formale, persino affascinante per rimandi lirici ed epici. A Michelangelo doveva però pesare che i pagani, committenti e autori di magnifiche figure di eroi e di deità nude, non fossero stati sinceri nella devozione verso i loro dèi, ritenendoli falsi, persino risibili nelle loro peripezie di terrena incarnazione. Ai suoi occhi l’ipocrita pietas dei pagani era ricaduta disperatamente su loro stessi, addirittura sul proprio corpo come strumento e limite di un’esistenza ottenebrata dai sensi, intorbidita dal narcisismo. Come nella Lettera ai romani (1, 22-26) dove sta scritto: “Mentre si dichiarano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e onorato la creatura al posto del creatore”. Per un cristiano come l’artista fiorentino, invece, la bellezza fisica (in questo caso quella di Gesù) rappresentava un legame con il cielo, un ponte di luce gettato su un caos tenebroso, un monito verso una vitalità che non si opponesse stolidamente all’Incarnazione. Solo questa immanenza del sacro sulla terra, finalizzata alla redenzione, avrebbe riscattato - o meglio santificato - la natura umana, visto che il Figlio di Dio aveva scelto di condividere lo stesso corpo di tutti noi. Anzi, la divina bellezza del corpo di Gesù leniva i dolori dell’esistere e del morire, debolezze umane sublimate dalla vita terrena del Salvatore.

MICHELANGELO. LA PIETÀ VATICANA
MICHELANGELO. LA PIETÀ VATICANA
Sergio Risaliti - Francesco Vossilla