IN SANTA PETRONILLA,
“CAPPELLA DEI RE DI FRANCIA”

nei primi secoli del cristianesimo venne elaborata dalla chiesa una tradizione liturgica che celebrava la figura di Maria, integrando di nuovi elementi gli scarni riferimenti scritturali dedicati alla vita della Vergine. Questo fenomeno assunse particolare rilievo in seno alla chiesa gallo-romana, con gli inizi di Gregorio di Tour e di Cesario di Arles.63 A poco a poco, grazie anche a una tradizione portata avanti dai monaci di Cluny e poi da Bernardo di Chiaravalle, all’immagine ieratica, cara alla chiesa orientale, della regina assisa in trono, si contrappose in Occidente la rappresentazione degli aspetti maternali e misericordiosi di Maria come madre del Messia.64 Su questa base, le reliquie della Madonna (capelli, unghie, cintola, tunica, calzature) si diffusero sempre più capillarmente nelle nazioni cattoliche, soprattutto intorno a centri mariani quali Messina, Assisi, Prato, Roma (Santa Maria Maggiore), Loreto, Oviedo, Toledo, Treviri, Colonia, Chartres, Reims, Parigi (Notre Dame) e l’abbazia regale di Saint-Denis - all’epoca della Pietà retta proprio da Jean Bilherès de Lagraulas - dove si conservavano i capelli di Maria.65 Per il cardinale di Saint-Denis, commissionare una statua dedicata al rapporto tra la Vergine e Gesù per la chiesa dei re di Francia addossata alla più grande basilica di San Pietro era così parte di una devozione nazionale, bandiera del fervore e della fedeltà di un popolo all’immagine mariana. Si noti come anche nella biografia di Michelangelo stesa da Ascanio Condivi l’attenzione dello scultore fosse ripartita tanto sulla verginità di Maria quanto sulla figura di Gesù morto. La devozione alla Notre Dame de la Pitié66 tipica delle confraternite religiose e dell’aristocrazia territoriale francese, cui apparteneva Jean Bilherès de Lagraulas,67 acquisì a Roma un valore maggiormente politico alle soglie del giubileo promosso da Alessandro VI per il nuovo secolo, l’ottavo nella storia della chiesa e il primo a essere denominato anno santo dallo stesso papa Borgia. Secondo Kathleen Weil-Garris Brandt, sullo sfondo di questa vicenda artistica ci sarebbe l’inizio di una riconciliazione tra il papa spagnolo e il nuovo sovrano di Francia Luigi XII,68 succeduto a Carlo VIII. Tra l’altro in quel momento (17 agosto 1498) Cesare Borgia veniva svestito della porpora cardinalizia in vista del matrimonio con Charlotte D’Albret, sorella di Giovanni III di Navarra, cosa che gli garantì pure l’investitura a duca del Valentinato da parte dello stesso Luigi XII.69 Tuttavia noi pensiamo che la commissione della Pietà per Santa Petronilla debba essere collegata alla precedente azione diplomatica che Jean Bilhères de Lagraulas aveva svolto per Carlo VIII all’epoca della campagna d’Italia, in quanto la prima idea per la scultura di Michelangelo risale al 1497, ovvero a quando il giovane monarca era ancora vivo e i rapporti tra la Francia e il papato avevano raggiunto un altissimo livello di criticità. Probabilmente Jean Bilhères si muoveva su più piani, tenendo conto delle grandi potenzialità di Michelangelo e del suo linguaggio plastico. Il prelato intendeva farsi artefice di un’impresa artistico-culturale di grande impatto visivo, pensata appositamente per l’area regis Christianissimi a Roma, in anticipo sull’anno santo. Si sarebbe poi qualificato come uomo potente e colto, partecipe del dibattito estetico più avanzato, come dimostra il riferimento all’arte antica delle forme di Michelangelo, secondo il suggerimento dell’amico cardinale, il camerlengo Raffaele Riario, giunto ormai ai ferri corti con il suo superiore Alessandro VI. Quel sontuoso progetto avrebbe così assunto una valenza politica tesa a proclamare la potenza francese, mentre Carlo VIII guidava un modernissimo esercito sul suolo italiano. La Francia avrebbe ribadito tramite la Pietà di Michelangelo la propria devozione e fedeltà alla chiesa, della quale lo stesso Carlo VIII si proclamava “bon et devote fils”.70 Con la Weil-Garris Brandt dobbiamo ricordare che nel 1494 durante la sua trionfale entrata in Roma re Carlo si recò proprio in Santa Petronilla, dove eccezionalmente dette vita al rituale taumaturgico distintivo della monarchia francese: la celebre guarigione dalle malattie (in genere le piaghe prodotte dalla scrofola), che i sovrani di Francia mettevano in scena al momento della loro elezione nella cattedrale di Reims.71 
Gli intendimenti di Jean Bilhères de Lagraulas erano devozionali oltre che diplomatici, visto che il suo re doveva essere particolarmente affezionato alla santa che lo aveva protetto nell’infanzia. Dopo secoli di relativo disinteresse, infatti, la devozione francese verso Petronilla, almeno in quanto protettrice della monarchia nazionale, crebbe all’epoca della cattività avignonese (quando si riteneva che le reliquie della martire fossero state trasferite oltralpe72). Si raggiunse poi un picco di popolarità nel 1471, al tempo in cui Luigi XI, detto il Prudente, fece voto di restaurare la Rotonda di Santa Petronilla qualora il delfino di Francia, futuro re Carlo VIII (1470-1498), fosse scampato a una pericolosa malattia che lo tormentava; così, a seguito della guarigione del suo unico erede al trono, Luigi XI stanziò una considerevole somma di denaro per gli altari e i cappellani del tempio. Prima del giubileo del 1475 e durante i restauri della Rotonda vennero ritrovati dei resti umani in un sarcofago antico, decorato con delfini a rilievo; quelle ossa furono interpretate da papa Sisto IV come parti dello scheletro di Petronilla, e l’ornamento scultoreo con i delfini apparve un chiaro riferimento al principe Carlo, mettendo ulteriormente in relazione la sua guarigione con la cappella dei re di Francia in Roma. Entrato nell’Urbe, lo stesso Carlo VIII sponsorizzò la “cappellania” della Rotonda e la quotidiana celebrazione di messe all’altare della santa, nonché una funzione solenne annuale per l’anima dei suoi genitori.73 

I significati legati all’abbellimento del santuario di Santa Petronilla in memoria del cardinale Jean Bilhères de Lagraulas, dei Valois e in vista del giubileo del 1500 dovettero essere arricchiti di una nuova e più triste implicazione il 2 agosto del 1499. In quei giorni Jean Bilherès, sentendo che la vita lo stava abbandonando, fece testamento collegando la Pietà e la propria cappella entro Santa Petronilla “pro sufragio anime sue”, come risulta in un documento del 1504 che cita appunto le disposizioni testamentarie (oggi perdute) del prelato.74 Quindi, soltanto dopo quel legato del 2 agosto 1499 si cominciò a pensare alla lastra tombale del cardinale di Saint-Denis, il quale trapassò a Roma il seguente 6 agosto. Si dice altresì che Jean Bilhères nel mese di luglio avesse subito una grossa delusione. Da tempo ambiva al vescovato di Arles, sede che proprio in quei giorni sembrava sfuggirgli di mano per essere affidata a un altro ecclesiastico francese. A causa di questo dispiacere egli finì per ammalarsi gravemente; curato in malo modo, invece di riprendersi peggiorò a tal punto che si decise a fare testamento e dopo soli undici giorni spirò, senza sapere di essere stato in ultimo preferito al suo avversario per l’agognata sede di Arles.75 

Da questo momento la Pietà di Michelangelo si legava in maniera più stretta, se non consequenziale, alla sepoltura del cardinale e al suo futuro ricordo. Con la demolizione della cappella Regis Francorum (a partire dal 1514) e il trasferimento della Pietà di Michelangelo nel vicino santuario della Madonna della Febbre, si continuarono a tenere assieme la statua e la memoria di Jean Bilhères, cosa a cui provvedevano i cappellani di San Luigi dei Francesi, come ricorda una carta dell’agosto del 1504.76 La bellezza e la fama della Pietà di Michelangelo aiutarono anzi a mantenere vivo il ricordo del committente, dato che in una postilla del 1525 aggiunta al documento sopra citato si dice: “Da notarsi che la detta cappellania, ossia cappella presentemente nell’anno 1525 è donde da prima, siccome l’a attualmente, fu trasferta alla cappella della Madonna SS.ma delle Febbri così chiamata che rimane posto al portico dinanzi alle porte della basilica Vaticana e l’altare della cappellania del Cardinale San Dionisio è quegli in cui osservagli quella grande, e singolarissima scultura in marmo rappresentante la SS.ma Vergine con il Christo il suo SS.mo figlio quale fu deposto dalla croce, sculptura fatta a spese de detto Cardinale San Dionigi”.77 Se il progetto culturale del committente era di legare il suo nome a un artista innovativo e a un’opera “singolarissima”, tutto ciò andò a buon fine: dopo il decesso il cardinale veniva infatti ricordato non solo al momento delle preci giornaliere, ma ogni qual volta uno sguardo ammirato si rivolgeva alle figure inventate da Michelangelo, tra le più rivoluzionarie d’inizio Cinquecento. 
Anni dopo, però, la cosa poteva persino dar fastidio all’ego di Michelangelo, tanto che egli volle rapportare solo alla propria visione spirituale i contenuti teologici e le soluzioni plastiche che rendevano “singolarissima” la Pietà. Dunque, la sequenza dei fatti ci permette di leggere in un’altra prospettiva il racconto che il Condivi fece alla metà del XVI secolo. Come altre volte, il biografo sottolinea l’autonomia concettuale di Michelangelo e, a proposito della committenza, dice: “a requisizione del cardinal di San Dionigi, chiamato il cardinal Rovano, in un pezzo di marmo fece quella maravigliosa statua di Nostra Donna, qual è oggi nella Madonna della Febre, avenga che da principio fusse posta nella chiesa di Santa Petronilla, cappella del Re di Francia, vicina alla sagrestia di San Piero, già secondo alcuni tempio di Marte, la quale per rispetto del disegno della nuova chiesa fu da Bramante rovinata”.78 Il Condivi, citando la Pietà, non parla mai di una sepoltura, né ricorda una lastra tombale eseguita da Michelangelo a memoria di Jean Bilhères de Lagraulas, il cui nome scompare nel racconto. Inoltre rimarca come l’artista abbia concepito e poi scolpito il gruppo della Vergine e del Figlio di Dio con “consideration degnissima di qualunche teologo”, senza collegare la “rara bellezza” delle due icastiche figure ad alcuna lastra terragna.79 

La lunga lastra sepolcrale (253x97 cm, spessore 20 cm, oggi nelle Grotte Vaticane) è datata 1500 e riporta l’età del defunto come di settant’anni.80 Si tratta di un’immagine abbastanza tradizionale, influenzata dallo stile dello scultore lombardo Andrea Bregno.81 Il cardinale è presentato in ricchi paramenti, con il capo appoggiato sopra un fastoso cuscino, mentre un bordo arabescato di candelabre, maschere e festoni inquadra la figura giacente con adeguato gusto classicistico. La lastra venne da allora accostata con luttuoso significato commemorativo alla Pietà, condizionandone il senso fino a epoche recenti. Paradossalmente, l’attuale collocazione nella prima cappella della navata destra di San Pietro, dove la Pietà ancora oggi si staglia separata dal ricordo del committente, potrebbe indurre lo spettatore più attento a una lettura teologica delle due figure in qualche maniera simile a quella evocata dal Condivi con le parole di Michelangelo. 

Per ironia della sorte il testamento di Jean Bilhères de Lagraulas (2 agosto 1499) fu dettato quasi un anno dopo l’accordo contrattuale (27 agosto 1498) stipulato in forma di scrittura privata tra il prelato francese e il Buonarroti. In quel contratto il banchiere Jacopo Galli attestava al cardinale di Saint-Denis che il fiorentino avrebbe realizzato l’opera in un solo anno: “Et io Iacobo Gallo prometto al reverendissimo Monsignore che lo dicto Michelangelo farà la dicta opera in fra uno anno et sarà la più bella opera di marmo che sia hoge in Roma, et che maestro nisuno la faria megliore hoge”.82 Questo accordo ci fa capire come Jacopo Galli agisse da mallevadore e consigliere di Michelangelo in varie faccende, garantendo al cardinale di rimborsarlo se l’opera fornita dal Buonarroti non fosse piaciuta. Michelangelo gli fu sempre grato, tanto che nella biografia del Condivi lo fece diventare il committente del Bacco e lo fece descrivere dal biografo marchigiano in termini lusinghieri, a differenza del Riario, vero sponsor dell’opera: “E che ’l cardinal San Giorgio poco s’intendesse o dilettasse di statue, a bastanza questo ce lo dichiara, che in tutto il tempo che seco stette, che fu intorno a un anno, a riquisizion di lui non fece mai cosa alcuna. Non però mancò chi tal comodità conoscesse e di lui si servisse, percioché messer Iacopo Galli, gentiluomo romano e di bello ingegno, gli fece fare in casa sua un Bacco di marmo”.83 In definitiva il Galli si muoveva nella Roma papale quasi come un gallerista di oggi; curava gli affari del Riario ma riuscì pure a incrementare la collezione d’arte nel palazzo della propria famiglia. I rapporti di Michelangelo con Jacopo Galli, iniziati a Firenze nel 1496, continueranno successivamente, poiché il banchiere fu tramite per il Seppellimento di Cristo voluto dagli agostiniani di Roma, per la Madonna di Bruges e per l’Altare Piccolomini di Siena.84 Non possiamo inoltre tralasciare il fatto che Michelangelo eseguì per questo “fine intenditore” d’arte un’opera ad personam, sul cui significato simbolico sarebbe utile investigare: il famoso Cupido Galli.85 Nonostante ciò, nell’agosto del 1498 il Buonarroti lasciò la dimora di Jacopo (dove aveva scolpito il Bacco per il palazzo del Riario) e prese una casa a pigione; il nuovo alloggio era divenuto necessario ai fini di lavorare più comodamente il blocco di marmo della Pietà,86 o forse Michelangelo voleva separare i materiali utili a soddisfare nuove commesse da quelli legati a Raffaele Riario, committente troppo tirannico e manipolatore.

Per acquistare il blocco Michelangelo aveva ricevuto da Jean Bilhères 133 fiorini di Reno,87 denari versati sul suo conto presso il banco Balducci-Galli già nel novembre 1497. Quel marmo di grandissima qualità - largo tre braccia, alto tre e profondo due 88 - arrivò a Roma nel giugno del 1498. Solo a questo punto, come abbiamo detto, fu stipulato il contratto. I pagamenti riconducibili al capolavoro ammontano quindi a 450 ducati: 133 fiorini (100 ducati) nel novembre del 1497, 50 ducati il 24 agosto 1498, 24 ducati il 29 ottobre 1498, 25 ducati il 21 dicembre 1498. Infine 232 ducati furono pagati il 3 luglio 1500 dagli esecutori testamentari del cardinale attraverso la banca senese dei Ghinucci, utilizzata anche per le spese funerarie del francese.89 
Tornando più strettamente al contratto dell’agosto 1498, i dodici mesi imposti all’artista non sono riconducibili alla premura del prelato guascone, vecchio indovino in grado di calcolare esattamente il tempo che lo separava dalla propria morte, avvenuta il 6 agosto 1499. Più semplicemente, Bilhères de Lagraulas, seguendo il consiglio del Galli, e magari di Raffaele Riario, dovette ritenere di impegnare l’artista per un lasso di tempo uguale a quello occorso allo scultore per completare proprio il Bacco con satiro.90 A questo punto possiamo dire che la Pietà doveva essere quasi del tutto finita nell’agosto del 1499, come da contratto e in vista dell’imminente apertura dell’anno santo (25 dicembre). L’improvvisa quanto repentina dipartita del cardinale convinse Michelangelo a installare prontamente il gruppo in Santa Petronilla. Lo stesso giorno della morte del committente, infatti, il Buonarroti pagava un certo artigiano di nome Sandro per lavori di muratura collegabili alla sistemazione della Pietà nella Rotonda.91 Forse lo scultore paventava qualche problema relativo alla sua retribuzione, non avendo ancora ricevuto una parte consistente dei 450 ducati garantitigli per contratto dal prelato francese. Del resto, nell’autunno del 1500, Buonarroto Buonarroti, recatosi a Roma proprio per il giubileo, informava il padre che il fratello viveva di stenti.92 Michelangelo poteva anche temere che gli esecutori testamentari del de Bilhères cambiassero idea riguardo alla collocazione della sua Pietà nella cappella dei re di Francia. Certo anche Jacopo Galli, che aveva agito da mallevadore, avrà avuto interesse a chiudere la questione poche ore dopo la morte del cardinale, consigliando Michelangelo a sistemare la Pietà in Santa Petronilla così da far credere al mondo che Jean Bilhères de Lagraulas avesse visto l’opera compiuta e ne avesse approvato la collocazione. Tutto avvenne velocemente, prima del funerale del cardinale, celebrato il 7 agosto, e del suo seppellimento nella Rotonda in quello stesso giorno,93 verosimilmente nel punto che adesso risultava segnato dalla Pietà, cioè quello che fin dal 1497 Jean Bilhères doveva aver immaginato di nobilitare con una “Vergine Maria vestita con Cristo morto, nudo in braccio”.

Era normale che un personaggio del calibro del governatore di Roma e cardinale di Saint-Denis fosse ricordato con una lastra sepolcrale o un monumento funebre. Fu forse allora - ovvero dopo il seppellimento e dopo aver saputo che si stava pensando a una lastra terragna per ricordare Jean de Bilhères - che Michelangelo, per differenziarsi dal marmoraro incaricato della bisogna, decise di firmare la Pietà sulla fascia che attraversa il petto addolorato della Vergine:
MICHAEL.A[N]GELUS. BONAROTUS. FLOREN[TINUS]. FACIEB[AT].
La firma non solo lo identifica con nome e cognome, ma chiarisce anche la sua origine fiorentina in un sacello francese a Roma. La stessa cosa aveva fatto Antonio Filarete qualche decennio prima, siglando le monumentali porte della basilica di San Pietro finite nel 1445, quando aveva specificato di essere artista “de Florentia”.94 Va ricordato che il Vasari, per giustificare la presenza di questa insolita firma, l’unica in tutta la carriera di Michelangelo, ne spiega la ragione raccontando come alcuni milanesi avessero attribuito la Pietà al lombardo Cristoforo Solari, detto il Gobbo di Milano, e come di contro il Buonarroti avesse voluto ribadire la paternità della sua opera con quella firma messa in bella evidenza. Ci sembra però più plausibile supporre che Michelangelo, in vista del giubileo, volesse separare il proprio eccezionale risultato artistico da quello di minore originalità rappresentato dalla lastra tombale di Jean Bilherès de Lagraulas. Gli storici hanno sottolineato come nella firma Michelangelo usasse l’imperfetto (FACIEBAT), forma poco utilizzata e derivabile dal suo contatto con Agnolo Poliziano, intellettuale e poeta che gli aveva suggerito l’originale soggetto della Zuffa dei centauri.95 

MICHELANGELO. LA PIETÀ VATICANA
MICHELANGELO. LA PIETÀ VATICANA
Sergio Risaliti - Francesco Vossilla