IL VERBO SI FECE MARMO
La tristezza per la morte di Gesù affiorerà nell’arte di Michelangelo con altra drammaticità molti anni dopo. Alla fine della carriera, in un momento apicale di fama e di sconforto, quando si avvicina per lui il tempo del trapasso e con esso l’ossessione di un bilancio esistenziale, persino il rigetto delle opere più eleganti, la nausea del proprio talento plastico. Così l’anziano Buonarroti scriveva intorno al 1554: “Onde l’affectuosa fantasia, / che l’arte mi fece idol e monarca / conosco or ben com’era d’error carca / e quel ch’a mal suo grado ogn’uomo desia”.55
Nella lugubre Pietà Bandini Michelangelo alias Nicodemo (il primo scultore cristiano, che secondo una tradizione toscana fu l’autore del Volto Santo di Lucca) contempla disperatamente la morte di Gesù. Qui Cristo è raffigurato dal vegliardo Buonarroti come se fosse stato appena calato dalla croce e deposto a terra. Cadavere angoloso dagli arti spezzati, troppo pesante per le fragili braccia della Madonna e della Maddalena, alla cui pietà Nicodemo lo consegna per un ultimo abbraccio. La posa è poco consona alla rappresentazione intellettualistica del Figlio di Dio, il più bello tra gli uomini, ma più adatta a quella di un Cristo umiliato di fronte al cumulo delle nostre manchevolezze, dei nostri peccati, ivi compresi quelli di superbia (“non vi si pensa quanto sangue costa”, come scrive lo stesso Michelangelo56) e di omissione. Una giustificazione di carattere mistico, oltre che la vecchiaia portatrice di più tristi pensieri, allontana il Buonarroti dall’esperienza tattile del bello che lo aveva infiammato nella giovinezza e nella prima maturità. I concetti di Agostino saranno stati di conforto all’artista nell’immaginare un Cristo sofferente: “Questa è la sua potenza: era disprezzato e la sua posizione era deforme; uomo coperto di piaghe, uno che sperimenta ogni debolezza. La deformità di Cristo ti rende formoso. Se infatti egli non avesse voluto essere deforme, mai tu avresti riacquistato la forma divina che avevi perduta. Era dunque deforme quando pendeva dalla croce, ma la sua deformità costituiva la nostra bellezza. Pertanto nella vita presente aggrappiamoci a Cristo deforme. Che significa: Cristo deforme? Lungi da me gloriarmi di altro all’infuori della croce del nostro Signore Gesù Cristo, ad opera del quale il mondo è a me crocifisso, e io lo sono a me per il mondo. Questa è la deformità di Cristo [...] della sua deformità noi portiamo il segno nella nostra fronte. Non arrossiamo nella deformità di Cristo! Battiamo questa strada e giungeremo alla visione; e quando saremo giunti alla visione vedremo la sua uguaglianza con Dio”.57
Nella Pietà vaticana, invece, il Buonarroti ha calcato la mano sulla maestosità dell’immagine. Così la Madonna è raffigurata nell’atto di sorreggere un corpo decorosamente ricomposto sopra l’alveo del suo grembo, quasi l’artista volesse raffigurare una madre che, abbracciando il figlio morto, si ricordasse di averlo cullato infante, senza straziarsi con i macabri resti di un figlio giustiziato come un qualunque delinquente. Per questo le membra sono accomodate di modo che la figura non appaia disarticolata come un burattino rotto, ovvero che non risulti deformata dalla crocifissione che alle vittime spezzava schiena, braccia e gambe, e neppure caricaturizzata dal goffo e scomposto rilasciarsi degli arti, che segue normalmente ogni decesso. Nemmeno vi compare l’irrigidirsi delle membra, attributo realistico tanto lodato dalle fonti rinascimentali in una celebre Pietà del Perugino oggi agli Uffizi.58 Nell’opera di Michelangelo, la figura deposta del Redentore riposa avvolta da un sudario, steso a grosse pieghe sulle ginocchia e sul ventre della madre. La regalità di Maria è esaltata da un manto che fa da corona esterna al morto, e che lambisce quel sudario sovrapponendosi a esso nel profilo destro, dove la stola compie un arco ideale, come apparisse lo strascico nuziale della Regina Coeli. Le due figure risultano contenute in una sorta di mandorla, che riecheggia simbolicamente maestose incorniciature comuni nell’architettura gotica e del primo Rinascimento, quali la Vergine alla Porta della Mandorla in Santa Maria del Fiore a Firenze. E proprio quella Madonna scolpita da Nanni di Banco tra 1414 e il 1421 dovette fornire un primo input per il Buonarroti, come si intuisce paragonando le vesti cariche di pieghe, la posa e i gesti delle due figure.59
39 Quella “Pietà di marmo tutta tonda”60 costò a Michelangelo quasi due anni non solo di fatica fisica ma anche di ricerca intorno al tema, che svolse con sapienza e attenzione minuziosa sia alla vista d’insieme sia al particolare più significante. Due dettagli, per esempio, rivelano pregnanza simbolica e veridicità naturale, un gioco di contrappunti sottolineati da abili passaggi scultorei. Un lembo del sudario di marmo è rimasto impigliato tra le dita della mano destra di Gesù, la quale non cade pesantemente come quella di un morto; i piedi del Redentore lambiscono poi un tronco, o meglio una talea, frammento di pianta che infine rigenererà insinuandosi tra le dure pietre del Golgota, anzi forzandole con la sua energia vitale.61
Qui non si avverte il pianto irrefrenabile della Madonna che compare nel famoso Vangelo di Nicodemo,62 tanto utile agli artisti di fine Quattrocento. Con Michelangelo si annulla la teatralizzazione del lutto, le grida scompaiono, il dolore scivola nel silenzio e in un’attesa di salvezza.
MICHELANGELO. LA PIETÀ VATICANA
Sergio Risaliti - Francesco Vossilla