stimolato dalla frequentazione di Edoardo Persico, appena arrivato a Milano, intorno al 1929 Del Bon studia la pittura di Bonnard, Dufy e Matisse, abbandonando i modi goliani degli esordi per un primitivismo d’intonazione ingenua e stupefatta e passando a una tavolozza chiara e luminosa, con effetti fortemente bidimensionali, e a ritmi più fluidi. Il 1934 per l’artista - che già in precedenza si era fatto notare dalla critica e che l’anno successivo Leonardo Borgese avrebbe ascritto alla compagine lombarda del “chiarismo” - coincide con la prima importante affermazione pubblica sulla scena milanese: alla V Sindacale vince il premio Principe Umberto proprio con lo Schermidore, esposto in quell’occasione per la prima volta. Già appartenuta a Bruno Grossetti, proprietario della Galleria Annunciata e dal 1940 mercante di Del Bon, la tela mostra lo schermidore non al culmine dell’azione ma seduto su una sedia di paglia, con l’aria malinconica e sperduta e il corpo quasi privo di volume, ben lontano sia dal vitalistico dinamismo degli atleti futuristi, sia dalla monumentale grandezza di quelli novecentisti (Pontiggia 1998). Se per Persico l’opera, oltre a essere la logica conclusione del recente percorso di affrancamento di Del Bon dalla lezione di Carrà, ordina «la vivacità dell’istinto nella disciplina più coerente del gusto europeo» (Persico 1934), Piero Torriano, recensendo la stessa Sindacale, si chiede il perché di «questa pittura depauperata, fatta di tante rinunzie» e rimpiange gli anni eroici dei “valori plastici”; Torriano lamenta il ritorno all’irrazionale, al puro colore e all’immediatezza dell’espressione - polemicamente opposta a una costruzione architettonicamente complessa del quadro - e descrive lo Schermidore come «un fantasma bianco e deforme, fatto pressoché di nulla, d’esigui segni puerili su un fondo giallo-rosa. Espressione desolata. Esili arpeggi, rosei e grigi, sul bianco» (Torriano 1934). Mariella Milan
Bibliografia
Sindacale Lombardia 1934; Persico 1934; Torriano 1934; Giolli 1942; Biennale 1954; Arte moderna in Italia 1967, n. 970; I chiaristi 1996, p. 91, n. 31; Pontiggia 1998a, pp. 123-124, n. 71.