eseguita a Parigi nel 1930, durante il secondo soggiorno dell’artista nella capitale francese, la natura morta appoggiata al davanzale aperto sul respiro del cielo, appare in originale sintonia con certe immaginazioni degli Italiens de Paris fra i quali, la rossa granseola induce a fare il nome di de Pisis, cui si accordano anche il tono sospeso ed evocativo di lontana matrice metafisica fino a certa pittura rada ma ricca di palpiti, che come un vento sottile, muove il controluce trasparente della sera.È l’insinuante incongruità del titolo - Conversari - a suggerire, come scriverà il fisico Sebastiano Timpanaro nella monografia sull’artista, che a tali presenze, al pari di veri e propri ritratti, sia da collegare «un sentimento umano e principalmente quella tristezza elegante che è propria dei personaggi peyroniani». «Ecco un vaso azzurro. Per Peyron è un lago; e quei fiori sono una fanciulla» (Timpanaro 1943, p. 16). Una simile disposizione a intravedere continui varchi, capaci di fuggire il quotidiano per sondare il mistero, è ciò che avvicina l’artista all’universo montaliano. E non è un caso che proprio Peyron realizzi nel 1932 per le edizioni Vallecchi, la copertina de La casa dei doganieri e altri versi, premiata l’anno precedente da una giuria di musicisti, pittori e scultori tutti aderenti alla rivista “Solaria”. Anche in quel fragile disegno a penna, presenze stupefatte e gentili, il mazzo di fiori e l’aragosta poggiate sulla balaustra in vista del mare sembrano dar forma a un desiderio: quello di far propria la naturalezza smemorata e felice del creato per aprirsi finalmente liberi al flusso della vita e delle sue avventure che, come in un romanzo di Conrad o nella tradizione della pittura romantica tedesca, sono evocate dal dialogo fra interno ed esterno, dove la finestra è la soglia, il mare la vita, e il veliero che passa, l’occasione.
Susanna Ragionieri
Bibliografia
Marangoni 1933, copertina; I fantasmi di Guido Peyron 2003, pp. 73, 76, 126, 130.