7.04 GIOVANNI COLACICCHI

(ANAGNI 1900-FIRENZE 1992) Il faro di Monille Point (Crepuscolo australe) 1935 olio su tela; cm 85 x 120 firmato a destra in basso «Colacicchi» Firenze, collezione privata   

nel 1935, spinto da una grave inquietudine sentimentale, Colacicchi decide di lasciare Firenze; la sua mèta non è Parigi, ma un luogo il più possibile lontano e ignoto dove poter «naufragare» in solitudine, come un personaggio di Conrad o gli «étonnants voyageurs» di Baudelaire, «qui partent pour partir». Così sceglie il Sud Africa, dove arriva dopo alcuni mesi di navigazione sulla motonave «Duilio», che ha come destinazione Città del Capo. Qui prende alloggio ai margini della città, in una casa vicina al faro, la cui mole imponente, in silenzioso rapporto con lo spazio sconfinato dell’orizzonte marino, esercita subito su di lui una forte attrazione. L’immagine nasce dunque immediata, e con naturalezza, senza rumore, si fa subito «mondo». Con questa espressione, nel 1931, Vittorini aveva indicato il dono inatteso de La casa dei doganieri, declamata «con voce di nostromo», dallo stesso Colacicchi, al pubblico di artisti radunati all’Antico Fattore: «il primo verso si frantumò nella risacca, riecheggiando sotto arcate di applausi. Ma subito ci sentimmo intorno una sala deserta; con tutta quella gente in piedi, assorta come in un tempio. Delle immagini passarono, musicalmente e lentissime. Libeccio sferza da anni le vecchie mura; la bussola va impazzita all’avventura; oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende / rara la luce della petroliera! Ci ricordiamo dell’infanzia, di qualcosa perduto per sempre nella nostra vita, e ritrovato per incanto in quella poesia» (Vittorini 1931, p. 2). Il faro di Monille Point fu spedito per nave alla Biennale del 1936; qualche anno dopo, nella sua monografia su Colacicchi, il critico e poeta Raffaello Franchi, avrebbe usato per descrivere quest’opera - «dalla torretta di un faro, una lama esilissima di luce sembra sgraffiare appena il cielo...» - un linguaggio consapevolmente montaliano.
Susanna Ragionieri

Bibliografia Biennale 1936, p. 148, n. 14; Franchi 1941, p. 30; Ragionieri 1986, pp. 42-43, tav. X. 




ANNI '30
ANNI '30
Arti in Italia oltre il fascismo
Nell'Italia degli anni Trenta, durante il fascismo, si combatte una battaglia artistica di grande vivacità, che vede schierati tutti gli stili e tutte le tendenze, dal classicismo al futurismo, dall'espressionismo all'astrattismo, dall'arte monumentale alla pittura da salotto. La scena era arricchita e complicata dall'emergere del design e della comunicazione di massa - i manifesti, la radio, il cinema - che dalle ''belle arti'' raccolgono una quantità di idee e immagini trasmettendole al grande pubblico. Un laboratorio complicato e vitale, aperto alla scena internazionale, introduttivo alla nostra modernità. Un'epoca che ha profondamente cambiato la storia italiana. Gli anni Trenta sono anche il periodo culminante di una modernizzazione che segna una svolta negli stili di vita, con l'affermazione di un'idea ancora attuale di uomo moderno, dinamico, al passo coi tempi e si definisce quella che potremmo chiamare ''la via italiana alla modernità'': nell'architettura, nel design, così come in pittura e in scultura, che si esprime attraverso la rimeditazione degli stimoli provenienti dal contesto europeo - francese e tedesco, ma anche scandinavo e russo -, combinata con l'ascolto e la riproposta di una tradizione - quella italiana del Trecento e Quattrocento. Pubblicazione in occasione della mostra: ''Anni Trenta. Arti in Italia oltre il fascismo'' (Firenze, Palazzo Strozzi, 22 settembre 2012 - 27 gennaio 2013). La mostra rappresenta quel decennio attraverso i capolavori (99 dipinti, 17 sculture, 20 oggetti di design) di oltre quaranta dei più importanti artisti dell'epoca quali Mario Sironi, Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Achille Funi, Carlo Carrà, Corrado Cagli, Arturo Nathan, Achille Lega, Ottone Rosai, Ardengo Soffici, Giorgio Morandi, Ram, Thayaht, Antonio Donghi, Marino Marini, Renato Guttuso, Carlo Levi, Filippo de Pisis, Scipione, Antonio Maraini, Lucio Fontana. Raccontando un periodo cruciale che segnò, negli anni del regime fascista, una situazione artistica di estrema creatività.