nel luglio del 1930 Andreotti fu invitato da Marcello Piacentini a realizzare un gruppo scultoreo da porsi all’interno di un singolare edificio a mausoleo che egli stava edificando ad Acqui Terme per i coniugi Ottolenghi; il tema del contrasto fra spirito e forza bruta, suggerito dallo stesso architetto, avrebbe dovuto essere espresso con la lotta fra un uomo e un leone, e siglato dall’impiego di un materiale prezioso come basalto, porfido o granito. A quella data, conclusa ormai da tempo la giovanile stagione parigina aperta all’assunzione di stilismi internazionali, Andreotti stava vivendo l’ultima e più grande fase della sua scelta, compiuta a partire dai primi anni Venti, di una forma spoglia di arcaismi, sostenuta, come avrebbe riconosciuto Luigi Pirandello, dall’aderenza fra materia e spirito attraverso «una linea ampia e tormentosa» (Casazza 1992, p. 230), e legata all’impegno sempre più intenso nel campo della scultura di destinazione pubblica. Che attraverso i Monumenti ai Caduti di Roncade (1922) e di Saronno (1924), la Cappella votiva alla Madre Italiana in Santa Croce a Firenze (1926), infine il Monumento ai Caduti di Bolzano (1928), per il quale aveva realizzato un’immota, «raggiante» figura di Cristo risorto (Del Bravo 1981, p. 36), era valsa a conquistargli grande notorietà in campo nazionale. Proprio per questo, quasi a marcare il proprio polemico distacco nei confronti degli equivoci insiti nel monumentalismo, dai quali non si sentiva affatto immune, e che riconosceva in agguato nelle parole di Piacentini, deciderà di rispondere a suo modo alla commissione ricevuta: «Sto facendo un Orfeo appoggiato ad un albero, che canta - scrive ad Aldo Carpi, cognato e amico - [...]. Piacentini mi aveva, ahimè, chiesto lo spirito che vince la materia! Eccolo servito. Il modello è bellissimo» (Casazza 1992, p. 230). Il tema di Orfeo come simbolo di spirituale fratellanza nel nome della musica, rimanda al sogno andreottiano di aprire un dialogo fra le varie arti; questione che avrebbe trovato viva rispondenza nelle voci della rivista “Solaria”, spingendo l’artista a istituire nel 1931 il Premio di Poesia “Antico Fattore”, assegnato da una giuria di soli artisti, nei tre anni della sua esistenza, a Montale, Quasimodo, Natoli. L’Orfeo, esposto nella sala personale (ordinata da Ojetti), che la Biennale del 1934 dedicherà allo scultore, a un anno dalla morte improvvisa, è pubblicato in quell’occasione con la data 1931; verrà acquistato dalla Galleria d’Arte Moderna di Genova al termine di una lunga trattativa.
Susanna Ragionieri
Bibliografia
Biennale 1934, p. 165, n. 15; Casazza 1992, pp. 228230, fig. 47; Giubilei 1995, pp. 43-44; Pizzorusso-Lucchesi 1997, p. 108, fig. 114; Giubilei 2004a, I, pp. 286-287, II, p. 353.