i disegni

il disegno è per Klimt una componente essenziale del processo creativo e la sua produzione grafica, amplissima, comprende, oltre a migliaia di disegni studiati e ricondotti alle opere compiute, anche moltissimi schizzi senza contare i disegni che - racconta lo scrittore e critico d’arte Arthur Rössler (che fu ritratto da Egon Schiele) - Klimt distruggeva, perché ritenuti meri strumenti di studio oppure perché non corrispondenti all’esito sperato. Come sottolineava già Giorgio Vasari nel Cinquecento, il disegno è trasposizione dell’idea, strumento per sollecitare l’immaginazione e l’invenzione. I disegni noti, circa 3800 secondo la catalogazione di Alice Strobl, permettono di seguire l’evoluzione della sensibilità dell’artista viennese che, dagli stilemi accademici propri della Scuola delle arti applicate e dal gusto neorinascimentale in voga ai Salons di Parigi, molto vicini all’indirizzo francese e inglese vira, proprio sul volgere del secolo, verso forme più sintetiche, secondo una ricerca di essenzialità ma al tempo stesso di conturbante varietà performativa, che negli anni della Secessione, lo portano a un’espressione del corpo umano, in movimento o in posa, davvero singolare, pur nei richiami stilistici ad altri suoi contemporanei.

 
I disegni dei primi anni di attività, come il bozzetto a matita e acquerello per il sipario del Burgtheater di Vienna, o per altre decorazioni teatrali, eseguiti in collaborazione col fratello Ernst e con Franz Matsch, risentono dello storicismo ridondante di Hans Makart, ma già si evidenzia, fin dalla serie Allegorie ed Emblemi, la predilezione per un’accuratezza formale nello studio analitico dei movimenti del corpo, nella resa di incarnati dall’aspetto serico, quasi di porcellana, ottenuti con lumeggiature di bianco sfumato. Klimt qui si avvicina allo stile di Lawrence Alma-Tadema, l’olandese naturalizzato inglese, il cui sogno di rinascenza greca dovette affascinare Klimt in quegli anni di formazione. Proprio nella stessa serie delle Allegorie, come nei disegni della Scultura e della Tragedia, il gessetto nero si impreziosisce di arabeschi dorati, e inclina verso quell’elegante linearismo delle forme Jugendstil dei dipinti degli anni della Secessione, tra cui la Nuda Veritas, che ritroviamo nella grafica dei celebri manifesti, come quello con Teseo e il minotauro. La grafica riveste infatti grandissima importanza nella “propaganda” secessionista e Klimt accoglie qui suggerimenti anche da Dante Gabriel Rossetti e dai preraffaelliti inglesi, spostando via via l’attenzione verso artisti che, come i maestri di quella Confraternita, avevano scelto una via più sobria e minimale rispetto ai dettami della formazione accademica. Tra i riferimenti klimtiani, l’inglese James Abbott McNeill Whistler, che per primo, fin dagli anni sessanta, aveva espresso e tradotto nei suoi dipinti l’interesse per le stampe giapponesi, diffuse in Europa dopo l’apertura dei mercati dell’Estremo Oriente all’Occidente a metà del secolo; i raffinati effetti bidimensionali presenti nelle opere di Hiroshige e Hokusai portano a un radicale mutamento della concezione dello spazio in tutta la pittura europea degli ultimi decenni del XIX secolo. A interessare Klimt saranno anche il belga Fernand Khnopff e l’olandese Jan Toorop, protagonisti del simbolismo internazionale, nella loro ricerca di espressione di quello che sarà l’inconscio freudiano (un celebre dipinto del 1891 di Khnopff si intitola proprio I lock my door upon myself), ma anche nella tendenza a una geometrizzazione delle forme. Un linguaggio alla ricerca di vocaboli altri rispetto a quelli di un repertorio tradizionale ormai giunto, pur nel suo splendore, a esaurimento nella sua magnifica opulenza, e che risponde, pur con altri modi, a quell’esortazione di Mallarmé, in una celebre lirica su Edgar Allan Poe, a dare un senso più puro e profondo ai mots de la tribu, quindi a rinnovare radicalmente forme usurate di espressione.


Anche Klimt, come molti suoi contemporanei, partecipa infatti di quella inclinazione verso un arcaismo, dove il linearismo bidimensionale non riduce certo l’espressione della sensualità nei corpi sinuosi, inquietanti nelle loro torsioni, d’una bellezza sfrontata nella sua essenzialità e per questo percepita come “moderna”. Tuttavia, entro uno stesso ciclo preparatorio, i disegni di Klimt si differenziano, partendo dalla fedeltà al modello vivente (soprattutto femminile) per poi evolvere verso maggior stilizzazione; un processo che si accompagna anche al variare della luce, muovendo dai fogli che recano effetti più chiaroscurati a quelli invece di luminosità più diffusa, e intensità più graduata del tratto concentrata nei contorni. Rispetto all’ossessivo ritrarre la sorella Marguerite in luoghi silenti, che popola il corpus grafico di Khnopff, le fonti ci descrivono invece l’atelier di Klimt invaso da molte modelle, fatte posare in modi diversi fino a creare una sorta di teatro permanente, un tableau vivant in perenne mutazione. Un caleidoscopio dal quale trarre poi ispirazione, di volta in volta per i dipinti, avendo sotto gli occhi una sorta di catalogo delle pose e delle espressioni, rannicchiate, conturbanti, lascive come poteva esser stato, in altro ambito, quello delle isteriche studiate dal neurologo france se Jean-Martin Charcot, che tanto avevano colpito Sigmund Freud e ispirato l’immaginario degli artisti frequentatori delle sue lezioni alla Pitié-Salpêtrière. In quegli studi si nota anche l’ausilio dello strumento fotografico, condotto fino al voyeurismo che, fin dalla metà del secolo, era stato supporto ricorrente per gli artisti e che anche un contemporaneo di Klimt, Franz von Stuck sperimenta in autoritratti fotografici di grande vigore performativo.

 
L’evoluzione di Klimt nella pratica del disegno ben si coglie nei molti fogli preparatori ai pannelli destinati all’Aula Magna dell’Università di Vienna ma riacquistati dall’artista e andati poi distrutti nel 1945 nel castello di Immendorf. Quei disegni sono dunque anche importante testimonianza di una decorazione, portata avanti per oltre un decennio (1894-1907), della quale restano solo sbiadite immagini fotografiche. Della Medicina esiste l’intero bozzetto mentre della Filosofia ci sono numerosi schizzi preparatori. Proprio in quel ciclo, che vede grovigli di corpi fluttuanti nello spazio, colti di sottinsù, Klimt sperimenta le anatomie e le pose più diverse, rivisitando anche un tema della grande tradizione figurativa, quello delle età dell’uomo dalla giovinezza alla vecchiaia e alla morte, rese con grande sensualità oppure impietosa e devastante intensità, pur nella tensione all’essenzialità del segno grafico. Per influenza soprattutto di Toorop, Klimt abbandona la tecnica a tratteggio parallelo, ma accoglie spunti anche da artisti molto diversi, da Henri Toulouse-Lautrec a Ferdinand Hodler, da Aubrey Beardsley a Edvard Munch, oltre allo scultore George Minne. Il momento di maggior riduzione e tendenza all’astrazione è quello corrispondente alla realizzazione del Fregio di Beethoven (1902), cui seguirà il viaggio a Ravenna del 1903 che apre il periodo dello stile d’oro, culminante nel Ritratto di Adele Bloch-Bauer del 1907. Qui la figura è riassorbita completamente dalla lamina d’oro che le imprigiona il corpo ma lascia solo libero il volto dipinto con intenso naturalismo, generando un effetto particolarmente straniante, un senso di alienazione e di vuoto pur nell’esuberanza e nella ricchezza dell’oro. E se i disegni di quel momento continuano a presentarci invece studi di modelle nude, spesso ritratte in atti di amore saffico o intente alla masturbazione, come nelle opere del più giovane Egon Schiele, la forte componente erotica si accompagna comunque a un senso di vuoto, di distanza, che insinua in quella successione di corpi ripetuti, indagati e scrutati serialmente. D’altronde la condotta del Nostro suggerisce anche una qualche analogia, nella Vienna del tempo, con la scrittura di Arthur Schnitzler, dallo svolgimento rapido e lineare, che mira, specie nelle Novelle, a un punto culminante senza soffermarsi su elementi marginali, ma poi introduce elementi di ambiguità, piccoli dettagli che spostano l’asse del racconto creando un senso di sconcerto che alimenta la tensione narrativa.

 
Nella produzione grafica dopo il 1905 riaffiora l’interesse per l’arte greca, orientata però non verso modelli classici ma sensibile al linearismo della pittura vascolare, per quegli effetti bidimensionali presenti anche nell’arte giapponese già ricordata. Nei disegni preparatori per Le tre età, per Amiche o per Bisce d’acqua II, la matita sottile e dura, spesso su carta giapponese, accompagna il passaggio da forme quasi trasparenti e allungate a figure di proporzioni più armoniche e composte, che preannunciano lo stile della maturità dell’artista, il quale, dopo la decorazione per la sala da pranzo di Palazzo Stoclet, si volgerà inaspettatamente a un nuovo naturalismo. Nei disegni, ancor prima che nei dipinti, si osserva dunque l’abbandono del tratto sintetico, che lascia spazio a una condotta più sfilacciata e vibrante in cui gli effetti luminosi di notevole intensità risentono dell’interesse per la pittura di El Greco. I corpi delle modelle di Klimt tornano allora a fluttuare nello spazio, come nei nudi delle figure allegoriche dell’Università, ma con un tratto più sensibile all’espressionismo, ormai dilagante in quegli anni. I nudi preparatori per La vergine (1913) a matita e pastello blu e La sposa (1917-1918), ma anche i molti ritratti delle signore dell’aristocrazia viennese, ritrovano una forza illusionistica e un’opulenza, esaltata dall’uso del colore, specie nella scelta del pastello rosso e arancio, come nello studio per Adamo ed Eva (1918), che tende ora a smaterializzare la forma dei corpi nella luce.

GUSTAV KLIMT
GUSTAV KLIMT
Giovanni Iovane, Sergio Risaliti