mitologie,
figure bibliche, ondine

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l 1892 è stato un anno fatidico per Klimt, sia per ragioni personali sia per il suo definitivo abbandono della pittura accademica e storicista. Il 13 luglio muore il padre a causa di un colpo apoplettico, mentre il 9 dicembre il fratello Ernst viene stroncato da una congestione polmonare. Sempre in quell’anno nasce la Jung Wien (Giovane Vienna) una società di scrittori capitanata dal drammaturgo e saggista Hermann Bahr che diventerà amico intimo di Klimt. Bahr è stato uno degli inventori del termine “espressionismo” ed ebbe il merito di radunare nella nuova associazione scrittori modernisti quali Arthur Schnitzler, Hugo von Hofmannsthal, Richard Beer-Hofmann e Felix Salten, la cui opera più conosciuta è stata Bambi (pubblicata nel 1923) che servì da base al celebre cartone animato di Walt Disney del 1942. Bahr e gli scrittori, ma anche gli artisti interessati al rinnovamento dell’arte si riunivano dal ’92 al Café Griensteidl e contribuirono alla diffusione del naturalismo, dell’impressionismo e del simbolismo. E sempre quell’anno Franz von Stuck, punto di riferimento anche per Klimt, espone con una mostra personale alla Künstlerhaus (Casa degli artisti).

Stuck è stato pittore, scultore, architetto e illustratore. È stato l’equivalente tedesco di Makart, sebbene più a lungo e con risultati migliori e duraturi, nonostante il periodo di oblio successivo alla sua morte a Monaco di Baviera nel 1928. La Villa Stuck da lui progettata, decorata e arredata è forse uno degli esempi più efficaci di “opera d’arte totale”, in cui il richiamo all’arte classica greco-romana si fonde e si mescola con influenze simboliste (l’esterno “neoclassico” della villa è stato ispirato da un quadro di Arnold Böcklin, Villa sul mare, 1878) e Jugendstil. Oltre a essere stato un tipo originale e un grande artista, Stuck ha giocato un ruolo di primo piano per lo sviluppo dell’arte di Gustav Klimt e della Secessione viennese.

Nella sua personale alla Künstlerhaus erano esposti 35 oli su tela e 170 disegni. La mostra ebbe un successo straordinario sia nell’ambiente artistico che in quello letterario con in testa Hermann Bahr e Hugo von Hofmannsthal. D’altra parte Stuck, che proprio nel 1892 aveva co-fondato la Secessione di Monaco, era già noto a Klimt attraverso i suoi disegni, avendo contribuito con suoi progetti ad Allegorie ed Emblemi (1882) della casa editrice viennese Gerlach & Schenk, cui collaborò anche Klimt. La pubblicazione, che ebbe vasta risonanza internazionale e di cui venne realizzata una seconda edizione nel 1896, servì soprattutto come repertorio aggiornato per le esperienze innovative dell’arte della fine dell’Ottocento.

Il segno distintivo dell’opera di Stuck è la sua personale interpretazione del neoclassicismo all’interno di una immaginazione simbolista i cui modelli sono Arnold Böcklin e per l’aspetto biblico probabilmente William Blake. Il quadro che rese celebre Stuck del 1889, Il Guardiano del Paradiso, reinventa pittoricamente in maniera brillante, i soggetti biblici combinandoli a iconografie desunte dalla mitologia pagana e tedesca e forse persino dal Newton di William Blake dipinti o disegnati verso la fine del Settecento.

Ma sicuramente è il ritorno (una sorta di “ritorno del rimosso”, per dirla con Freud) delle figure della mitologia classica a farne uno dei protagonisti europei di quell’arcaismo greco-romano che contagiò l’Europa centrale e la Francia sino a Paul Cézanne, Maurice Denis, alle avanguardie Fauves, a Henri Matisse, a Émile-Antoine Bourdelle, Pablo Picasso, Constantin BrâncuŞi e Amedeo Modigliani (solo per fare alcuni nomi). Le vestigia del mondo greco-romano, che tanto furono utili a scultori e pittori del Rinascimento italiano trovano una nuova dimensione formativa e didattica con Joachim Winckelmann (1717-1768) che ne formalizza la collezione e l’uso come modello “originario” della cultura occidentale da copiare e imitare. La meravigliosa statua di Canova, Teseo e il Centauro (1804-1819) che troneggia all’interno dello scalone d’ingresso del Kunsthistorisches di Vienna è forse l’emblema di come all’interno del neoclassicismo sia possibile rappresentare, con “quieta grandezza”, le storie del mondo antico e della mitologia. Franz von Stuck e poi Gustav Klimt percorsero ovviamente un’altra strada legata alla liberazione di impulsi sessuali e di misteri e conflitti legati all’eros e alla morte.

Le illustrazioni dei repertori di antichità classiche e archeologiche che formavano gli artisti che frequentavano le Accademie sono stati adoperati da Stuck in maniera originale, stilizzata e persino ironica. Rispetto all’antichità greco-romana l’artista monacense ha trasformato i modelli originari in nuovi archetipi contemporanei. Le sue figure tipiche, come fauni, amazzoni, Atena, Orfeo, Pan e Dioniso, sono frutto di una eclettica messa in scena che rinnova l’antico studio del corpo umano, realizzato anche con l’uso della fotografia (come farà - in un modo che anticipa di molti decenni Andy Warhol - l’altro principe delle arti a Monaco, Franz von Lenbach).

In tal modo, anche nei suoi celebri ritratti di “donne fatali” (si pensi al suo capolavoro, Il peccato, 1893; ma anche a Il bacio della Sfinge, 1895 e L’amazzone ferita, 1905). Stuck piega il riferimento all’iconografia classica alla sensualità e all’incerto confine che separa eros, desiderio, seduzione e morte.

Il simbolismo rivisitato di Stuck ebbe grande influenza su Klimt e sugli artisti della Secessione viennese. L’esempio migliore, che segna l’influenza ma anche la differenza, risiede probabilmente nella Pallade Atena il leitmotiv disegnato da Stuck per la Secessione di Monaco e poi dipinto nel 1898, nello stesso anno in cui Klimt realizzava lo stesso soggetto. Nel quadro di Stuck, Atena rivela i suoi attributi storico-mitologici, saggezza, occhi azzurri e luminosi e il potere dello sguardo con la testa della gorgone al centro dell’egida, la Nike in una mano e la lancia nell’altra, con il volto “reale” della sua modella - e poi moglie nel 1897 - Mary Lindpainter. Lo sguardo di Mary-Atena è leggermente strabico, quasi a rivendicare la legittimità di “una messa in scena” con accenti anche ironici. A Villa Stuck, infatti, è conservato un bel ritratto di Mary, sullo stesso fondo dorato, in cui la donna, libera dal “travestimento”, ci guarda negli occhi con una intensità e una lucentezza “fotografica”; un effetto straordinario di realtà che conserva un alone misterioso dell’occhio della civetta attributo di Atena.

La Pallade Atena di Klimt è un dipinto quadrato (cm 75 x 75), come la maggior parte delle sue creazioni, e rispetto a quella di Stuck ha caratteri statuari, una rilevante androginia in linea con il manifesto politico culturale di Hermann Bahr e della rivista Ver Sacrum che riprendendo opere fondamentali di Friedrich Nietzsche, come La nascita della tragedia (1872) e Sull’utilità e il danno della storia per la vita (1874), si rivolgevano all’antica Grecia con un punto di vista antistorico, ma nello stesso tempo più “ricco di vita”. Il quadro di Klimt presenta dunque la divinità nel suo carattere ambiguo, con uno sguardo “senza storia” e che non osserva niente, che fa da contrappeso al volto della gorgone Medusa linguacciuta in oro al centro dell’egida, anch’essa composta da scaglie dorate. L’invenzione più originale di Klimt è invece tutta nella piccola Nike che Atena sorregge con la mano destra. Al posto di una statua o di un idolo troviamo una fanciulla nuda a braccia aperte. Una piccola “vittoria alata” che da citazione della statuaria classica diviene allegoria, più ricca di vita, simbolo del fascino e della seduzione femminile, che diverrà anche protagonista del dipinto Nuda Veritas.

Nella Pallade Atena di Klimt, a ben vedere, sono presenti tre differenti sguardi. Il primo è quello senza direzione della divinità, circondato dall’elmo bronzeo, che probabilmente risente anche dell’influenza dell’artista simbolista belga Fernand Khnopff.

Lo sguardo della maschera grottesca di Medusa nel quadro di Klimt, incarna sintomaticamente il prototipo degli occhi senza pupilla o comunque sbarrati. Anche in questo caso Klimt si ispira sia all’Atena di Von Stuck sia alle immagini di Khnopff. Maria Grazia Messina, scrive, infatti, come Khnopff abbia partecipato a una esposizione tenutasi a Bruxelles nel 1897 dedicata a oggetti tribali provenienti dal Congo. Nella sezione dedicata alle sculture in avorio il pittore belga espone la sua maschera del dio Hypnos. La divinità del Sonno è raffigurata con occhi vuoti a suggerire una origine non certo neutrale o benigna dei sogni. Nella mitologia classica Hypnos risiedeva agli Inferi, e non a caso Freud decise di muovere verso l’Acheronte per la sua analisi e interpretazione dei sogni. Klimt, dunque, riprende lo sguardo sbarrato (uno sguardo “sbarrato” che curiosamente ci riporta alla terminologia lacaniana) di certa cultura visiva del simbolismo in opposizione allo sguardo senza direzione delle sculture greco-romane esaltato da Winckelmann, nella sua “quieta grandezza”, e tipico della statuaria neoclassica. Il non riguardarci degli occhi fissi di Atena è legato a una nuova filosofia che nell’arcaico vedeva la possibilità di resuscitare, anche mediante contenuti psicologici, il vuoto della cultura viennese del tempo.

La strabica gorgone con la lingua di fuori ci riguarda invece dal centro del quadro. In questo caso Klimt, attraverso una invenzione decorativa, rivitalizza una iconografia tipica della mitologia greca, ponendo il suo sguardo irriverente in maniera luminosa e brillante di fronte allo sguardo dell’osservatore. Uno degli appellativi di Atena era “glaucopide”, ossia dagli occhi azzurri e luminosi. Klimt sembra spostare (o condensare, per usare una parola coniata da Freud) tale luminosità nello sguardo di Medusa posta alla sommità della corazza della divinità. Non è forse un caso che il dipinto di Klimt, esposto alla Secessione del 1898, abbia suscitato scandalo e scalpore tra il pubblico viennese. Non era il tipo di scandalo simile a quello suscitato nella borghesia francese dall’Olympia di Manet, quadro esposto al Salon di Parigi nel 1865. Anche allora si trattava di un grande dipinto che andava contro la pittura di storia, ove la protagonista assoluta era una donna distesa pallida, dallo sguardo fisso e indifferente. La fissità dello sguardo di Olympia non era sublimata nell’ideale mitologico di una divinità come nel caso di Klimt, ma possedeva la stessa volontà di scardinare l’ipocrisia borghese maschile del tempo. Sicuramente Freud avrebbe apprezzato un aneddoto, non si sa se riportato dalle cronache di quel Salon, di alcuni borghesi che volevano trafiggere il quadro con la punta dei loro ombrelli.

Lo sguardo oltraggioso, da parte dei viennesi, dinanzi allo sguardo irriverente della gorgone dorata dipinta da Klimt, riguarda essenzialmente una questione di stile e di sguardi. L’arcaismo estetizzante, unito alla nuova maniera secessionista, si combinava con una minacciosa e oscena trappola visiva che inconsciamente l’artista aveva posto al centro dell’attenzione.

Infine, un terzo sguardo che è quello della piccola Nike, miniaturizzata (rispetto ad esempio a quella “scultorea” dipinta da Stuck), esprime, piuttosto che un’allegoria della “vittoria”, un senso liberatorio e voluttuoso. Anch’essa non ci guarda, ma con le sue braccia aperte e il capo reclinato all’indietro, inaugura il tema delle figure femminili fatali che d’ora in avanti sarà uno dei motivi più praticati da Klimt. Difatti, già nel 1899, l’artista dipinge un quadro stretto e lungo, Nuda Veritas, in cui la piccola Nike si trasforma in una donna a grandezza naturale, nuda e con gli stessi capelli rossi. Le braccia non sono più allargate; il braccio sinistro riposa lungo il fianco mentre il destro sorregge uno specchio rivolto all’osservatore. Gli occhi della figura femminile sono leggermente divaricati quasi a rappresentare un effetto reale con una curiosa discendenza dallo sguardo dorato della Medusa. Il dipinto, come si diceva è stretto e lungo e in fotografia sembra quasi un grande segnalibro. L’immagine femminile è, infatti, divisa in basso da un riquadro dorato su cui campeggia la scritta “Nuda Veritas” divisa in due dalla parte terminale di un serpente che si avvolge sulle gambe della donna formando quasi un curioso punto interrogativo. Il riquadro superiore del quadro accoglie invece una breve citazione del filosofo Ferdinand Canning Scott Schiller (1864-1937) che termina con la necessità e il dovere “di non piacere a molti” (in questo caso Klimt usa la citazione del filosofo in senso provocatorio contro gli avversari della Secessione). Infine lo sfondo di questo quadro, riassume lo stile floreale e acquatico che vedrà come protagoniste particolari creature femminili acquatiche che Klimt ha dipinto proprio a partire dal 1898.

Klimt come quasi tutti i pittori simbolisti, tra cui il citato von Stuck, Gustave Moreau, ma anche Odilon Redon e Jan Toorop, si interessa alle figure del mito e alle eroine bibliche, per quanto di inquietante e di minaccioso, di ammaliante e di misterioso potevano rivelare a un mondo che con il dominio della scienza e della filosofia positivista aveva visto tramontare credenze e superstizioni religiose. Ma è proprio con le indagini più scientifiche di Freud riguardanti l’inconscio, e con l’analisi metodica dei tabù e dei sensi di colpa nascosti nelle pieghe dell’animo, che i miti tornano a essere significativi per gli artisti moderni. Attraverso essi prendono corpo i fantasmi dell’inconscio, affiorano dalle ragioni più oscure dell’animo desideri e pulsioni inconfessabili, impronunciabili, rivelati dai comportamenti anche irrazionali negli uomini e nelle donne. La libido si manifesta come forza incontrollabile e la sessualità è quel momento della vita in cui l’essere umano e la società si abbandonano agli istinti più selvaggi e animaleschi, attraverso rituali anche violenti che confondono piacere e dolore, vittime e carnefici. Nondimeno, come aveva sottolineato Nietzsche, il mondo greco-romano, la sua mitologia e la sua cultura visiva non dovevano essere più reinterpretati sul neutro versante della filologia classica o della vuota trasfigurazione allegorica, ma in chiave antistoricista dovevano rivitalizzare un vasto vuoto culturale.

In una serie di opere che vanno dal 1898 sino al 1907, Klimt dipinge delle figure acquatiche, “delle donne-pesci” che saranno insieme emblema principale dello Jugendstil ma anche di una sua personalissima interpretazione della mitologia e del folclore germanico.

Dipinti come Acqua mossa (1898), Fate acquatiche (1899), Pesci d’oro (1901), Bisce d’acqua I e II (1904-1907) ci mostrano l’uso di una linea serpentinata e fluida, propria dello Jugendstil, che ricorrerà anche in opere affini come il pannello della Medicina, commissionato dall’Università di Vienna e poi rifiutato per oscenità. La pittura simbolista presenta un numero considerevole di ninfe così come la tradizione iconografica greco-romana. Nel folclore germanico le ninfe assumono il nome di ondine. Le ondine sono per certi versi simili alle sirene greche. Abitano i fiumi, sono socievoli e belle, ma talora hanno il vizio, come le sirene di Ulisse, di far affogare gli uomini. Klimt in Acqua mossa dipinge delle oniriche figure femminili (che sembrano dei cloni del personaggio della Nuda Veritas) che “scorrono” abitando sinuosamente il genius loci dell’acqua.

Sono personificazioni del mondo acquatico e insieme del mistero della femminilità, che può essere anche minacciosa e letale, fatale, per l’uomo: mistero arcaico ma ora anche psicologico e “reale” di un mondo fluido e insieme misterioso. L’erotismo, espresso da Klimt nelle opere successive, ci mostra una straordinaria e modernista elaborazione formale, frutto di avanguardistica schematizzazione e, nello stesso tempo, di affascinante ricchezza della materia pittorica. Vi si rappresenta anche come il desiderio sessuale, e soprattutto l’immagine della donna, sia un altro mondo che nemmeno Freud seppe definire e analizzare con esattezza, anzi lo fece con molta approssimazione. Tuttavia, l’originalità di Klimt fu di rendere tali figure, di fantasia eppur reali, immagini (o come dirà Picasso a proposito delle maschere africane “oggetti con energia magica”) o talismani a uso maschile, che rappresentano una crisi epocale e insieme una moderna e contemporanea viva dimensione psicologica. A differenza di Franz von Stuck, che gioca con simboli, allegorie ed emblemi anche con personificazioni parentali, Klimt sembra abbandonarsi al flusso delle immagini senza la corazza di Atena. Nello stesso tempo, diventa l’interprete di un impero austriaco al collasso, con le stesse nevrosi e idiosincrasie ma con la ferma volontà di partecipare attivamente a un rinnovamento, a una rinascita senza rompere mai del tutto i legami con la tradizione. 

GUSTAV KLIMT
GUSTAV KLIMT
Giovanni Iovane, Sergio Risaliti