la vergine

1913
olio su tela,
cm 190 x 200
Praga, Národní Galerie

a prima vista parrebbe un harem come quello descritto, nel Settecento, in una lettera da Lady Montagu: “Erano circa duecento bagnanti... i primi sofà furono coperti di cuscini e di ricchi tappeti e quelle donne vi si sistemarono. Erano tutte... nude. Dopo il pasto si finì col caffè e coi profumi... due schiave mi coprirono d’incenso i capelli, il fazzoletto, i vestiti.” Tutte le preferite del sultano sono distese sul letto. Solo una tra loro sta dormendo, o forse si è arresa allo sguardo altrui; è lei la prescelta di questo giorno. Il quadro potrebbe essere accostato a opere come Le donne di Algeri nei loro appartamenti (1834) di Delacroix e ancor più a Il bagno turco (1862) di Ingres, che prima di essere un tondo, un buco della serratura da cui sbirciare quell’isola di “lusso, calma e voluttà”, era in origine pensato per un formato quadrato. Anche La vergine di Klimt ci spinge a guardare da un oculo ponendoci ancora una volta nelle condizioni di voyeur. E questa volta l’abbandono amoroso ha contaminato un gruppo di donne. Potrebbe essere il gineceo dell’artista, il suo atelier di cui tanto si favoleggiava all’epoca, anche con toni di ipocrita morale borghese. E l’energia che circola in questo groviglio di corpi e stoffe, di labbra e sguardi, di seni e fianchi lascia escluso l’uomo che può solo guardare. I corpi danno vita a una spirale, a un gorgo in cui secondo la simbologia orfica della luna, della conchiglia e della vulva possiamo riconoscere nessi con l’acqua e Venere, cioè con la dimensione erotica dell’universo femminile, con l’esperienza della fecondazione e della generazione.
Klimt ha superato il suo “periodo d’oro” influenzato dall’arte bizantina e si confronta ora con i giovani Schiele e Kokoschka e con gli esponenti del movimento espressionista. Inoltre è maturata in lui la conoscenza dei protagonisti delle avanguardie storiche, tra cui Nabis, Fauves, nelle mostre organizzate a Vienna. Il perturbante, che aveva caratterizzato le immagini di Klimt e che tanta ostilità aveva cagionato all’artista, è ora incorporato in una pittura cromaticamente libera, di felice decorativismo; è il cosiddetto periodo dello stile fiorito, in cui permane comunque, sotto altra forma, l’interesse per l’arte dell’Estremo Oriente. Nella Vergine vi è un’esplosione di colori; azzurri e gialli, verdi e viola, che quasi soffocano il rosa carne. Tonalità accese che esprimono simbolicamente lo stato d’animo della donna al centro, le sue sensazioni riflesse e proiettate all’esterno con quel gioco di specchi che sono le sue ancelle. E come Rodin, anche Klimt vede nell’amore saffico l’espressione massima della libertà sessuale femminile, la sua enigmatica, e multiforme natura. Nella Vergine, Klimt riconosce al mondo femminile una trasognata ambiguità in cui paura e timore si fondono sensualmente in una grande fascinazione e ammirazione. Tale condizione, peraltro, è presente nella letteratura dell’epoca - basti pensare ad Arthur Schnitzler - e perfino nelle ricerche psicoanalitiche di Sigmund Freud. 

GUSTAV KLIMT
GUSTAV KLIMT
Giovanni Iovane, Sergio Risaliti