ritratto di
friederike maria beer

1916
olio su tela
cm 168 x 130
Collezione privata

la carriera come ritrattista di Gustav Klimt si può suddividere in tre grandi periodi: il primo va considerato quello degli inizi influenzato dalle opere di John Singer Sargent e di Fernand Khnopff; il secondo appartiene al periodo d’oro, e infine l’ultimo, lo “stile fiorito”, è caratterizzato da una sovrabbondanza decorativa senza precedenti. In ognuna delle fasi l’artista viennese riuscì a dar prova di possedere una straordinaria tecnica nonché grande capacità introspettiva. Durante il periodo bizantino, nascono dalle sue mani alcuni dei ritratti più convincenti della produzione artistica europea. Come quelli di Fritza Riedler (1906, uno dei primi ritratti di Klimt), elegantissima esponente della migliore società viennese, quelli di Sonja Knips e di Margaret Stonborough-Wittgenstein e quello che può essere considerato il suo capolavoro, ovvero il ritratto di Adele Bloch-Bauer. Il critico d’arte Ludwig Hevesi, devoto alla Secessione austriaca e tedesca e pieno di ammirazione per quei dipinti, si pronunciò in questi termini: “Quando si guardano eleganti dame di oggi rappresentate in questo modo si pensa istintivamente ai ritratti a mosaico di Giustiniano e Teodora nell’abside di San Vitale a Ravenna.” Ma già con il secondo Ritratto di Adele Bloch-Bauer (1912) tutto muta. Al posto dello sfondo dorato ora Klimt inserisce superfici decorate come arazzi e tappezzerie sovrapposte, con zone addirittura monocrome in cui è il colore a giocare la stessa parte ornamentale seppure con un linguaggio minimale. Il ritratto di Eugenia Primavesi (1913), moglie del banchiere Otto Primavesi, sembra dotata solo di un volto e di due mani affusolate. Il resto della persona è carta da parati, superficie caleidoscopica, mossa da pennellate di un giallo squillante, di rosa e verde. Un anno prima Klimt aveva realizzato il ritratto della figlia del banchiere, Mäda Primavesi, sperimentando posizione del corpo originali e nuove relazioni con lo sfondo del dipinto, così come testimoniato da numerosi disegni preparatori. Guardate anche Frida, Friederike Maria Beer Monti (1891-1980) qui ritratta in piedi, elegantemente vestita; scompare quasi del tutto nel gioco ornamentale dei bellissimi tessuti. All’artista interessa mettere a confronto mondi apparentemente distanti: Oriente e Occidente. Esotismo e modernismo, così come in Francia e poi in tutta Europa si sperimentava sin dalla seconda metà dell’Ottocento.
La moda viennese, le stampe giapponesi e persino il design dei tessuti coreani, ovvero una grammatica visiva antica e allora esotica dialoga liberamente con quella contemporanea delle avanguardie viennesi, nello stesso modo in cui l’arcaismo greco aveva influenzato le Secessioni e, nello stesso tempo, un grande scultore francese come Émile-Antoine Bourdelle. Il tentativo di Klimt è chiaro, vuole competere in particolare con l’arte francese, quella dei Fauves in particolare, e con quella tedesca degli espressionisti. E cerca di farlo miscelando, ancora una volta, figuratività e simbolismo in una sola immagine, che si fa dichiarazione di stile. Ma adesso ogni formalismo è svuotato di forza per riacquistarla attraverso il solo apporto della pittura di colore. Facciamo attenzione, Klimt ha impiegato tanta cura nel disegnare i lineamenti quanto piacere nello scatenare la pittura, svincolandola perfino dalla prospettiva. Se per un certo periodo Klimt si è servito dell’oro per ridurre a una dimensione bidimensionale lo spazio e le sue creature, ovvero appiattendo ogni spessore, ogni volume, adesso ottiene lo stesso con i motivi decorativi che proliferano a confondere piani e contorni. Friederike Maria Beer indossa un abito che sembra preludere alla pittura informe, se non a una sorta di “anacronistico” dripping. In realtà, giacché Klimt dipingeva su cavalletto, il riferimento dovrebbe essere ai riquadri astratti “scoperti” da Georges Didi-Huberman, sotto il capolavoro assoluto dipinto dal Beato Angelico lungo un corridoio del convento di San Marco a Firenze, tra il 1440 e il 1450. I riquadri sottostanti sorreggono infatti l’affresco e sono stati dipinti spruzzando il colore con il pennello da posizione frontale (a differenza della nota tecnica adoperata da Jackson Pollock sul pavimento). È come se il tessuto, con cui lei si è coperta, fosse stato dipinto letteralmente dall’artista sul posto, nello studio. Il nudo corpo della giovane donna è rivestito di una tela lavorata di fresco dall’artista. Invece quel vestito era stato disegnato dagli abili creatori della Wiener Werkstätte appositamente per lei. Dietro la figura si riconosce con un po’ di sforzo una scena di battaglia combattuta tra guerrieri samurai dell’Estremo Oriente. L’immagine è l’ingrandimento della decorazione di un vaso coreano acquistato dall’artista stesso. All’epoca di questo ritratto la donna aveva solo ventitré anni: apparteneva alla migliore società viennese, disponeva di enormi capitali, viaggiava per il mondo, andava a teatro, si faceva ammirare alle feste, e amava tutto quello che veniva prodotto dalla Wiener Werkstätte. Era un pubblicità vivente per quegli artisti, architetti e designer che avevano saputo dare a Vienna e all’impero uno stile nazionale in grado di affermarsi in tutta Europa e oltre. Ogni mobile, ogni oggetto della sua lussuosa abitazione era uscito da quei laboratori. Klimt pretese per il ritratto ben 20.000 corone. “Quando entrai nel giardino della casa di Klimt a Hietzing ero realmente preparata a tutto, perché sapevo quanto eccentrico fosse con quella barba e con quel suo andare vestito con abito da monaco e sandali.” Ne uscì viva, anzi immortale. 

GUSTAV KLIMT
GUSTAV KLIMT
Giovanni Iovane, Sergio Risaliti