fregio
di palazzo stoclet

1905-1909
schizzi e progetti preparatori
Vienna, MAK, Österreichisches Museum für angewandte Kunst/Gegenwartskunst 

gustav Klimt non è solo il grande creatore di immagini elegantissime e di scintillante bellezza. Molte delle sue invenzioni crearono sconcerto, erano scenari perturbanti. Egli fu, infatti, un pittore filosofo, oggi diremmo concettuale, pienamente immerso nel clima intellettuale viennese tra fine Ottocento e Novecento. E con spirito filosofico ha affrontato più volte temi universali come la nascita e la morte, le età della vita, il dolore e la gioia, l’impotenza spirituale e la speranza, il tempo con la sua forza generatrice o sterminatrice. La donna, quale figura della “Grande Madre” e della “Sterminatrice”, non manca quasi mai nel suo teatro iconografico; nella donna risiede il segreto del mondo, l’inizio e la fine, l’esperienza dell’estasi, il dolore e l’angoscia. Ad esempio, nei tre pannelli allegorici dipinti per l’Aula Magna dell’Università di Vienna e nel Fregio di Beethoven, così come in Le tre età della donna e in Speranza I. I significati più profondi risuonano però all’interno di superfici preziose, arricchite da decorazioni geometriche, da linearismi elegantissimi e materiali luminosi che amplificano la dimensione spirituale delle allegorie. Tra le opere più conosciute e riprodotte di Klimt vi è sicuramente l’Albero della vita, che è l’immagine simbolo, l’elemento portante dal punto di vista ornamentale del grande lavoro musivo eseguito per decorare la sala da pranzo del Palazzo Stoclet a Bruxelles, realizzato dall’artista viennese tra il 1905 e il 1909. Una sala che, nella sua preziosità e organizzazione concettuale, può ricordare luoghi come la Cappella dei Magi affrescata da Benozzo Gozzoli in Palazzo Medici a Firenze, o la Stufetta di Diana, il capolavoro del Parmigianino nel Castello di Fontanellato, bagno privato di Paola Gonzaga moglie del conte Galeazzo Sanvitale. Come nelle grandi epoche del mecenatismo rinascimentale, anche il modernismo ha i suoi gioielli privati. Palazzi e giardini, studioli e lussuosi salotti arredati con spirito sofisticato da aristocratici progrediti e nuovi ricchi dell’alta borghesia industriale. Palazzo Stoclet è uno dei massimi esempi, dove il gusto privato più spregiudicato s’incrocia a stili artistici all’avanguardia con l’ambizione di conseguire il meglio, per non dire la perfezione. L’edificio, una dimora privata del banchiere Adolph Stoclet (1871-1949) a Bruxelles al 303 di Avenue de Tervueren, è stato progettato dal grande architetto austriaco Josef Hoffmann, con il quale Klimt aveva stretto una forte intesa e collaborazione. Alla straordinaria impresa contribuirono, per desiderio del mecenate, i migliori artigiani e artisti della Wiener Werkstätte.
Il proprietario mise a disposizione dell’architetto ben 600.000 corone da impegnare per l’allestimento e l’arredo artistico. Ne scaturì una straordinaria opera d’arte totale, e assieme al Palazzo della Secessione rappresentò il coronamento della filosofia di tutto il gruppo di artisti viennesi basata essenzialmente sul riavvicinamento di arte e vita, di bellezza e società. Hans Tietze ha scritto a questo proposito: “Nella sala da pranzo della casa Stoclet a Bruxelles, di cui Klimt ha disegnato la decorazione musiva, egli ha trovato una soluzione tra le più pure ai suoi problemi; qui l’artigianato è, senza alcuna riserva un fine, e si riconosce in tutta la sua fecondità la collaborazione con gli architetti e con gli esecutori della Wiener Werkstätte.” Klimt iniziò a progettare la decorazione della sala da pranzo immaginando di utilizzare oro e metalli a circondare le figure. In una lettera dell’aprile 1906 inviata ad Adolf Stoclet da Fritz Wärndorfer, fondatore e finanziatore della Wiener Werkstätte, si anticipano le intenzioni del pittore: “Klimt ha in mente una cosa grossa, con l’utilizzo di metallo, argentato e dorato, smalto e pietre semipreziose, ecc. ecc., insomma, materiale autentico, e non scarabocchi a olio.” Il committente desiderava, in altre parole, qualcosa di molto simile al Fregio di Beethoven, in una versione ancora più ricca e abbagliante. E Klimt aveva deciso di coinvolgere nell’impresa diverse maestranze, l’opera avrebbe avuto un carattere anche artigianale e nello stesso tempo, doveva essere una grande opera condivisa da parte di artisti e architetti. Nell’estate dello stesso anno, Klimt si trova in vacanza nei pressi del lago Attersee, è affranto, non riesce a trovare l’ispirazione, si sente stanco e angosciato. Il 16 agosto 1907 scrive in una lettera: “Palazzo Stoclet non mi funziona nelle mani e nella testa, per non parlare di tutto il resto - sono o troppo vecchio o troppo nervoso o troppo ‘stupido’ - qualcosa sarà. Meglio fare fiasco all’inizio che più tardi.” Il pittore superò il momento difficile trovando le immagini più forti dal punto di vista simbolico, e le tradusse in forme elegantissime e ammalianti. Il Fregio raffigura un vero e proprio “Paradiso ornamentale”. Klimt si fa ispirare dal mondo degli archetipi, della scienza sacra, e della mitologia e dalle tecniche musive bizantine osservate direttamente dall’artista a Ravenna. Sulle pareti della sala da pranzo appaiono un manichino in forma di rettangolo (Cavaliere d’oro), figura chiave del racconto che poggia i piedi su un prato e su una specie di mandala, una danzatrice (Attesa) nella sua posa di regina egizia con il volto di profilo e lo sguardo proiettato in lontananza, una coppia di amanti (Compimento), e il già citato Albero della vita. La danzatrice è totalmente incorporata nella decorazione, l’abito è sontuoso, un triangolo che nasconde l’anatomia, la stoffa è impreziosita di motivi simbolici, occhi e triangoli che si ripetono sul paesaggio retrostante, ridotto a spazio bidimensionale e completamente occupato da una sinfonia di riccioli e spirali. Esistono delle fotografie - scattate durante il periodo di riposo sull’Attersee tra luglio e settembre 1907 - che ritraggono Emilie Flöge in pose molto simili e che lasciano intendere come Klimt si servisse di più mezzi per trovare le soluzioni figurative ai suoi progetti. Una terza immagine, indimenticabile, ha reso celebre quest’opera di Klimt. Si tratta di una coppia di amanti abbracciati. Qui abbondano le figure del cerchio, elementi fitomorfi, a significare l’unione armoniosa del maschile e del femminile. Vi è poi, l’albero della vita, uno dei simboli più antichi di ogni scienza sacra. Klimt ne offre una versione positiva, come simbolo di una eterna armonia tra l’umanità e la natura, dove l’amore tra i due sessi è principio motore della realtà. Il tronco e i lunghi rami spiraliformi fanno da quinta alle scene figurative, imprimendo un ritmo, una vitalità al tutto. Nel Fregio si è voluto leggere un inno alla difesa e alla custodia dei valori familiari, all’attesa e al compimento, in sintesi l’esaltazione di quell’energia spirituale fecondatrice che alimenta ogni singolo istante dell’esistenza, ogni punto dello spazio, ogni forma vivente, la stessa irrealtà. Fritz Wärndorfer si espresse in questi termini in una lettera inviata al committente: “Il Fregio di Klimt è la cosa migliore che noi e la nostra epoca abbiamo mai prodotto… È un lavoro in anticipo di 100 anni rispetto al nostro tempo, un lavoro la cui qualità artistica solo in pochi oggi possono capire, ma che presto capiranno in moltissimi e che varrà quale punto di riferimento, così come la Sua intera dimora.”
In questa “faticosa” collaborazione di Klimt, con gli altri protagonisti dell’opera Palazzo Stoclet a Bruxelles, si evidenzia pienamente il senso di una “opera d’arte totale”, inteso come collaborazione tra architetto, artista e soprattutto artigiani. Tale forma di collaborazione condivisa verrà ripresa, anche didatticamente, dalla Bauhaus.  



GUSTAV KLIMT
GUSTAV KLIMT
Giovanni Iovane, Sergio Risaliti