in provenza,
la scoperta della luce

«Amava il giallo, il buon Vincent, quel pittore d’Olanda; bagliori di sole riscaldavano la sua anima, che aveva orrore delle nebbie.
Un bisogno di calore».

Paul Gauguin, 1894

«la natura è straordinariamente bella qui», scrive Vincent a Theo da Arles. Fuggendo la nebbia opprimente di Parigi, Van Gogh si è diretto al Sud seguendo la pista della luce. Sotto il chiaro cielo di Provenza, ancora una volta si stabilisce una corrispondenza tra il suo animo, la realtà esterna e la sua arte; la ritrovata luce interiore rispecchia quella del caldo sole provenzale e si riversa nel tripudio di luce che investe i suoi quadri culminando nell’«alta nota gialla» che dichiara di aver trovato in quelle contrade. È una luce che non viene più indagata come dato ottico al modo degli impressionisti, ma che adesso è usata da Vincent a fini espressivi. È lui stesso ad affermarlo scrivendo a Theo nell’agosto 1888: «Trovo che quanto ho imparato a Parigi se ne va e io ritorno alle idee che mi erano venute in campagna, prima di conoscere gli impressionisti. Non sarei per nulla stupito se fra poco gli impressionisti trovassero a ridire sul mio modo di dipingere [...]. Perché invece di cercare di rendere esattamente ciò che ho davanti agli occhi, mi servo del colore in modo più arbitrario per esprimermi con intensità». Con Van Gogh, la soggettività entra dunque a far parte intenzionalmente del dipinto. Non che Vincent intenda teorizzare la visione soggettiva come presupposto imprescindibile e programmatico della pittura; arriva però a postularla come un bisogno irrinunciabile del proprio individuale processo creativo.

Quando Van Gogh giunge ad Arles è pieno inverno, vi trova perfino la neve. Ma i colori e la luce della Provenza lo colpiscono profondamente, legandolo ai caratteri di questa terra, come accade anche a Cézanne, Renoir e a tanti altri artisti. Theo gli manda duecentocinquanta franchi al mese per vivere e lavorare. Vincent cerca di ripagarlo - come ha iniziato a fare dal 1884 - con l’invio dei suoi quadri e ricomincia a scrivergli fittamente. Come sempre, la sua corrispondenza col fratello è piena di lucide autoanalisi circa il proprio stato mentale ed emotivo e ricca di preziose informazioni sulla gestazione artistica delle sue opere. Giunto ad Arles, Vincent prende alloggio all’albergo Carrel. All’inizio di maggio, affitta per quindici franchi al mese quattro stanze in un edificio in place Lamartine, alle porte della città: è la celebre Casa gialla (distrutta durante la seconda guerra mondiale) che Van Gogh ritrae nel dipinto omonimo, oggi conservato ad Amsterdam.

Col tempo, Vincent spera di poter ospitare nella sua casa di Arles una comunità di artisti: un “atelier del Sud” che rimanga nel tempo a beneficio delle generazioni future. Mentre aspetta di sistemare convenientemente i locali che per il momento gli servono da studio e magazzino, dorme in una camera al Café de la Gare, sempre in place Lamartine. Qui diventa amico dei proprietari, i coniugi Ginoux. In modo quasi automatico, chi entra a far parte della sua vita entra anche a far parte della sua arte. Così, la signora Ginoux poserà per L’arlesiana, mentre il postino Roulin - un vecchio anarchico dal carattere gioviale - sarà immortalato in vari ritratti e sua moglie verrà raffigurata nelle cinque versioni della Berceuse.

Tra i primi lavori eseguiti ad Arles, dove nei quindici mesi del suo soggiorno Vincent dipinge oltre duecento quadri, alcuni dei quali famosissimi, c’è la serie degli alberi da frutto in fiore; forse, la natura che andava risvegliandosi rappresentava per Vincent una metafora del suo stesso risveglio al sole del Sud. «Il paese mi sembra bello come il Giappone per la limpidezza dell’atmosfera e gli effetti dei colori gioiosi», scrive in quei giorni di primavera. E sono appunto le stampe giapponesi il modello dei dipinti col motivo dei frutteti e delle diverse versioni del Ponte di Langlois, che ricordano alcune vedute di Hiroshige. Anche sul piano tecnico c’è in generale, nella produzione arlesiana, la tendenza a rifarsi alle stampe giapponesi lasciandosi alle spalle la lezione impressionista e divisionista del periodo parigino. Ciò che rimane dell’influenza impressionista è la fedeltà di Van Gogh alle tonalità chiare e all’esecuzione “en plein air”: i colori - specie il giallo, che domina la tavolozza arlesiana con toni intensi e violenti come nelle tele dei Girasoli - acquistano una luminosità particolare, quasi sprigionandosi dall’interno del soggetto. Paul Gauguin, che fu ospite di Vincent per due turbolenti mesi nel 1888, ricorda questo viscerale amore di Van Gogh per il giallo in un suo scritto apparso nel 1894 in Essais d'art libre: «Amava il giallo, il buon Vincent, quel pittore d’Olanda; bagliori di sole riscaldavano la sua anima, che aveva orrore delle nebbie. Un bisogno di calore» .


Pero in fiore (Arles, 1888); Amsterdam, Van Gogh Museum.

Peschi in fiore (Arles, 1888); Amsterdam, Van Gogh Museum.

Paul Gauguin, Vincent van Gogh che dipinge girasoli (Arles, 1888); Amsterdam, Van Gogh Museum.

La Crau (Arles, 1888);
Amsterdam, Van Gogh Museum.

Anche dipingere all’aperto è una pratica irrinunciabile per Van Gogh: per farlo sfida il vento che gli rovescia il cavalletto e alza la sabbia. Non solo, per lavorare fuori anche la notte escogita un sistema tanto ingegnoso quanto pericoloso: delle candele accese fissate alla tesa del proprio cappello e al cavalletto. Che si tratti o meno di una leggenda, come ritengono alcuni, i suoi notturni, come Esterno di caffè di notte (Otterlo, Kröller-Müller Museum) e Notte stellata sul Rodano (Parigi, Musée d’Orsay), entrambi eseguiti nel settembre del 1888, restano tra i suoi dipinti più suggestivi, rivelando fino a che punto le tenebre possano essere luminose e variopinte. Le stelle vi appaiono come soli in piena notte, circondate da un’aureola sfavillante simile al luccichio delle pietre preziose. Le stelle rappresentano per lui un sogno irraggiungibile, il luogo del desiderio dove può farci arrivare solo la morte: «La vista delle stelle mi fa sempre sognare, come pure mi fanno pensare i puntini neri che rappresentano sulle carte geografiche città e villaggi. Perché, mi dico, i punti luminosi del firmamento ci dovrebbero essere meno accessibili dei punti neri della carta di Francia? Se prendiamo il treno per andare a Tarascona oppure a Rouen, possiamo prendere la morte per andare in una stella», scrive un mese dopo al fratello concludendo la sua osservazione con un’immagine degna di un grande poeta.

I colori stesi a piatto e con la spatola allo scopo di creare superfici ampie e omogenee caratterizzano ancora, insieme all’«alta nota gialla», un dipinto come La camera di Arles, la cui prima versione, al Van Gogh Museum di Amsterdam, è dell’ottobre 1888.

L’ottobre 1888 è un mese particolarmente importante del soggiorno di Van Gogh ad Arles. Infatti, il 22 arriva in città Paul Gauguin, ripetutamente invitato da Vincent a stabilirsi come suo ospite nella Casa gialla. In lui Van Gogh vedeva il compagno ideale per dare inizio a quell’atelier del Sud che da tempo andava vagheggiando. Gauguin si decide a compiere questo passo soprattutto perché convinto da Theo van Gogh che ha fatto leva sui suoi problemi finanziari e di salute. Se andrà a vivere con Vincent ad Arles, Theo si dice disposto ad accollarsi l’onere del suo trasferimento e della sua permanenza nella Casa gialla, pur nei limiti delle sue possibilità. In cambio Gauguin gli spedirà alcuni dei suoi dipinti. Favorendo il sodalizio tra Gauguin e suo fratello, Theo finanzia dunque un’operazione commerciale, oltre ad aiutare Vincent a sentirsi meno solo.

Ecco come più tardi lo stesso Gauguin ricorderà in Avant et Après, scritto nel 1903, il suo arrivo in paese: «Arrivai ad Arles alla fine della notte e attesi l’alba in un caffè notturno. [...] Né troppo presto, né troppo tardi, andai a svegliare Vincent. La giornata fu consacrata alla mia sistemazione, a molte chiacchierate, alla passeggiata per ammirare le bellezze di Arles [...]. A partire dall’indomani eravamo già all’opera». Dopo un periodo di convivenza euforica e fruttuosa, in un clima di fecondo scambio di idee e di duro lavoro, i rapporti tra i due si deteriorano fino al punto di rottura. I contrasti hanno origine in gran parte nelle personalità antitetiche di Vincent e Paul: angosciato e disordinato il primo, sicuro di sé e meticoloso il secondo. Il tragico epilogo ha luogo il 23 dicembre del 1888, l’antivigilia di Natale, quando senza motivo apparente - come Gauguin racconterà sempre in Avant et Après - Vincent prende un rasoio per colpire l’amico che, fuggendo spaventato, passa la notte in albergo. Nel frattempo Van Gogh, in preda a una violenta crisi, si taglia il lobo dell’orecchio sinistro e lo porta incartato come un regalo a una prostituta di nome Rachel, ben nota anche a Paul.

Il quale racconta: «Che giornata, mio Dio! La sera, buttata giù la cena, sentii il bisogno di andare da solo a prendere un po’ d’aria col profumo dei lauri in fiore. Avevo attraversato quasi del tutto piazza Victor Hugo quando udii dietro di me un passo breve a me noto, veloce e a sbalzi. Mi voltai nel momento stesso in cui Vincent si gettava su di me con un rasoio aperto in mano. Il mio sguardo in quell’istante dovette essere ben potente se egli si fermò e, abbassando la testa, riprese correndo la strada di casa. [...] Van Gogh era tornato a casa e immediatamente si era tagliato l’orecchio a filo della testa. Gli era occorso senz’altro del tempo per fermare l’emorragia, poiché l’indomani numerosi stracci inzuppati erano sparsi sulle lastre del pavimento delle due stanze a piano terra. Il sangue aveva sporcato le due stanze e la piccola scala che saliva nella camera da letto. Quando fu in grado di uscire, la testa avvolta in un berretto ben calzato, andò difilato in una di quelle case in cui, in mancanza di compagne, si trova una compagnia e dette alla prostituta che stava di sentinella il suo orecchio ben pulito e incartato. “Ecco, disse, un mio ricordo”, poi fuggì e rientrò a casa dove si mise a letto e si addormentò. Ebbe cura tuttavia di chiudere le imposte e di mettere su un tavolo vicino alla finestra una lampada accesa». Questo il resoconto di Gauguin diversi anni dopo l’accaduto. Praticamente l’unico di cui si dispone, almeno quanto alla dinamica degli eventi. Infatti l’unica altra fonte, il breve trafiletto apparso su un giornale locale la domenica successiva all’episodio, riferisce solo sulla questione dell’orecchio: «Domenica scorsa, alle 11.30 di sera, un uomo di nome Vincent Vaugogh [sic], pittore, di origine olandese, si è presentato al bordello n. 1», si legge su “Le Forum Républicain”. «Ha fatto chiamare la ragazza di nome Rachel e le ha consegnato... il suo orecchio dicendole: “Custodiscilo come un oggetto prezioso”. Poi è scomparso. Informata di questo episodio, che solo un povero pazzo poteva riguardare, l’indomani mattina la polizia, recatasi a casa dell’uomo, l’ha trovato coricato a letto, che quasi non dava segni di vita. Il poveretto è stato ricoverato d’urgenza».

Dal canto suo, Van Gogh ha sempre dichiarato di non ricordare niente di quanto era successo; e a giudicare dalle sue lettere successive, sia a Gauguin che a Theo, non serberà rancore nei confronti dell’amico che pure ritornò a Parigi già il giorno dopo, senza neppure passare a trovarlo in ospedale. Van Gogh ha lasciato due autoritratti con l’orecchio fasciato, uno in collezione privata a Chicago, l’altro alle Courtauld Institute Galleries di Londra.


Ritratto di Joseph Roulin (Arles, agosto 1888); Boston, Museum of Fine Arts.

Notte stellata sul Rodano (Arles, settembre 1888); Parigi, Musée d’Orsay.

VAN GOGH
VAN GOGH
Enrica Crispino