a parigi,
nel cuore dell'arte

«È come se in lui vi fossero due persone: una stupendamente dotata, squisita e dolce, l’altra egoista e di cuor duro!».

Theo van Gogh sul fratello, 1888

«
Un’intera serie di anni futuri dipenderà proprio dai contatti che devo farmi in città, o qua ad Anversa, o più tardi a Parigi». Così scrive Vincent a Theo nel gennaio 1886 dalla città fiamminga dove si è appena iscritto all’École des Beaux-Arts con l’intenzione di perseverare nel suo cammino di artista. Quel «più tardi a Parigi» in realtà arriva molto presto: questione di un mese e Vincent parte con decisione repentina per la capitale francese. Là il fratello è direttore di una piccola galleria d’arte sul boulevard Montmartre per conto della Boussod e Valadon, ex Goupil, la ditta che lo ha assunto stabilmente dall’ottobre 1879.

«Devo guadagnare un po’ di più o avere più amici, e preferibilmente entrambe le cose. È questa la strada del successo», aggiunge Vincent nella stessa lettera. È di nuovo pieno di entusiasmo, ha voglia di farsi un nome nel mondo dell’arte; ha perfino deciso di mettere da parte la sua natura ribelle e schiva e di piegarsi docilmente alle leggi che regolano la via della riuscita. Ma a quel punto, perché non tentare il tutto per tutto e scegliere il meglio? E all’epoca, il meglio per un aspirante artista è senza dubbio Parigi, la città che in quegli anni è l’ombelico del mondo, il trampolino di lancio per quanti sappiano cogliere al volo le mille occasioni e le infinite sollecitazioni che sono nell’aria, l’avamposto della ricerca tecnologica e artistica. Parigi è la metropoli del futuro dove sono da poco nate la fotografia e il cinema dei fratelli Lumière, è la culla dell’impressionismo che ha inaugurato un modo rivoluzionario di dipingere, è il luogo in cui si sta innalzando l’incredibile mole in ferro della Tour Eiffel che presto sconvolgerà il vecchio panorama urbano, è la meta di rendez-vous culturali e mondani imperdibili come l’Esposizione universale, i Salon (quello ufficiale ma anche il neonato Salon des Indépendants), le mostre di grido nelle gallerie d’avanguardia e nei caffè artistico-letterari, è infine la capitale del piacere, con i suoi famosi locali notturni, primo fra tutti il Moulin Rouge.

Vincent giunge a Parigi il 28 febbraio 1886. Theo non sa del suo arrivo fino all’ultimo momento, quando un biglietto del fratello che gli chiede un appuntamento al Louvre lo raggiunge nel suo ufficio. Va da sé che Theo lo accoglie a casa sua, prima in rue Laval (oggi rue Victor-Massé), vicino a Pigalle, e poi, dal mese di giugno, al numero 54 di rue Lepic, nel quartiere di Montmartre, dove prende un appartamento più grande e più confortevole. Animati da grandi speranze, i due fratelli iniziano una convivenza che sulla carta sembra offrire solo vantaggi: per Vincent non ci sarà più lo stillicidio e l’attesa spesso tormentosa dell’assegno mensile di Theo, mentre la gestione comune delle spese potrà ridurre gli eventuali sprechi. Inoltre le conoscenze di Theo e la frequentazione dell’ambiente artistico parigino si preannunciano decisamente favorevoli per gli sviluppi della carriera artistica di Vincent. In capo a due anni, tuttavia, l’esperimento si rivelerà fallimentare; colpa del brutto carattere di Vincent e della sua fondamentale incapacità a relazionarsi con gli altri, compreso l’adorato fratello: «È come se in lui vi fossero due persone», osserverà Theo sgomento, «una stupendamente dotata, squisita e dolce, l’altra egoista e di cuor duro!».

Van Gogh resta nella capitale francese dal febbraio 1886 al febbraio 1888. Per la sua arte sarà un periodo decisivo, il momento della sperimentazione tecnica e del confronto con le tendenze più innovative della pittura contemporanea. E saranno due anni molto fecondi anche dal punto di vista del numero di opere eseguite, duecentotrenta dipinti, più che in qualsiasi altra fase della sua carriera. Si tratta di un gruppo di opere eterogenee che inglobano e mescolano vari stili e varie tecniche, alla ricerca di un linguaggio che una volta messo a punto risulterà personalissimo.



Ritratto di père Tanguy (Parigi, 1887); Parigi, Musée Rodin.

Case di rue Lepic, vista dall’appartamento di Theo (Parigi, 1887); Amsterdam, Van Gogh Museum.

Quando Van Gogh arriva a Parigi, non è totalmente all’oscuro degli sviluppi dell’arte francese, ma la sua conoscenza e la sua ammirazione si fermano più che altro al realismo e all’arte sociale, in particolare, di Millet che Vincent, come si è visto, apprezza incondizionatamente. Ora però, l’impatto diretto con la vita culturale della capitale lo fa entrare in contatto con le tendenze d’avanguardia, mettendo in moto un processo di fondamentale importanza per la sua crescita artistica.

All’inizio del suo soggiorno Van Gogh frequenta per qualche tempo lo studio di un affermato pittore accademico, Fernand Cormon. Nel suo atelier ha modo di fare conoscenze interessanti, tra cui Toulouse-Lautrec, Louis Anquetin e soprattutto Émile Bernard che diventa un suo caro e fedele amico. Ma l’incontro decisivo è quello con la pittura impressionista e postimpressionista della quale, grazie a Theo, Vincent conosce alcuni dei più famosi esponenti: Claude Monet, Camille Pissarro (entrando in rapporto di amicizia con lui e col figlio Lucien), Alfred Sisley, Pierre-Auguste Renoir e gli emergenti Paul Signac (con cui lavorerà “en plein air”) e Georges Seurat che proprio nel 1886 presenta all’ultima mostra del gruppo impressionista l’opera-manifesto del divisionismo: Una domenica pomeriggio all’isola della Grande Jatte. Poco alla volta, la tavolozza di Van Gogh muta, schiarendosi progressivamente, e si arricchisce il repertorio dei suoi soggetti che adesso accolgono temi tipicamente impressionisti cogliendo attimi di vita contemporanea in contesti cittadini, o atmosfere vibranti di luce in spazi aperti fuori città. È per esempio il caso di Ponti ad Asnières (Zurigo, collezione Bührle), opera ambientata in uno dei luoghi deputati della pittura impressionista, al pari di altre località sulle rive della Senna come Bougival, Chatou e Argenteuil. Come i pittori impressionisti, anche Vincent, di solito in compagnia di Bernard e Signac, si reca sulle sponde del fiume per lavorare “en plein air”. E la pittura all’aperto lo porta ad approfondire il suo rapporto con il colore: «Dipingendo ad Asnières ho visto più colori di quanti ne avessi visti in precedenza», scrive. In questo periodo lo studio del colore polarizza la sua attenzione: ora giunge a coglierlo nella sua autonomia, senza più attribuirgli un carattere prevalentemente descrittivo come nel periodo più strettamente realista. Sull’esempio degli impressionisti, i suoi colori diventano sempre più chiari e brillanti ed è appunto il loro impiego crescente a preparare il terreno a quell’esplosione di gialli e azzurri, a quelle tonalità violente che caratterizzano l’ultimo periodo della sua produzione.


Interno di un ristorante (Parigi, 1887); Otterlo, Kröller-Müller Museum.

Lotti di terreno a Montmartre (Parigi, 1887); Amsterdam, Stedelijk Museum.

Il tributo tematico e tecnico di Vincent alla lezione impressionista e divisionista è confermato da altri significativi dipinti della stagione parigina: vedute urbane come Boulevard de Clichy (Amsterdam, Van Gogh Museum) o Il ristorante La Sirène (Parigi, Musée d’Orsay), moltissimi autoritratti (tra i più celebri, l’Autoritratto al cavalletto oggi ad Amsterdam), o ancora un Interno di ristorante come quello ritratto nel quadro del Kröller-Müller di Otterlo. Alla scoperta della pittura impressionista si collega, nel biennio parigino, anche la crescita dell’interesse di Vincent per l’arte giapponese che già appare in alcune sue lettere da Anversa. A Parigi, l’amore di Van Gogh per l’arte del Giappone è più che mai libero di espandersi e di alimentarsi. Là infatti, le stampe giapponesi erano già oggetto di culto per Monet e compagni e non solo. Era, quella per l’arte giapponese, una passione scatenatasi negli ambienti artistico-culturali parigini non esclusivamente per il fascino dell’esotico ma anche per la curiosità sorta attorno a manufatti provenienti da un paese di cui si conosceva poco o niente, a causa dell’isolamento mantenuto per secoli dal Giappone e rotto solo di recente, con l’apertura dei porti agli stranieri. Come gli impressionisti, dunque, anche Van Gogh iniziò a collezionare stampe giapponesi e a tenerne conto nei propri dipinti. Nel Père Tanguy del Musée Rodin di Parigi, per esempio, da un lato Vincent rende esplicito omaggio all’arte giapponese con le stampe che compaiono sullo sfondo della tela, dall’altro adotta una tecnica che sembra combinare l’uso del colore chiaro e vibrante tipico degli impressionisti con le nitide stesure di colore acceso dei giapponesi. Questa sottile influenza dell’arte giapponese continuerà ad agire stabilmente sull’arte di Van Gogh. Negli anni parigini Van Gogh vive anche il suo momento di massima socializzazione. Incontra altri artisti, discute con loro, frequenta gli stessi luoghi.


Claude Monet, Campo di tulipani vicino all’Aja (1886); Amsterdam, Van Gogh Museum.


Uno di questi ritrovi è il Tambourin, un cabaret in boulevard de Clichy, a Montmartre, di cui è proprietaria una ex modella di Degas, l’italiana Agostina Segatori con la quale Vincent ha una breve relazione: a lei dedica un bel ritratto (Amsterdam, Van Gogh Museum), seduta a uno dei tavolini del suo caffè (si noti il piano del tavolo che riproduce un tamburello da cui, appunto, il nome del locale) e ne fa la modella dei suoi unici nudi a olio. Ancora lei è poi, probabilmente, la donna ritratta nell’Italiana (Parigi, Musée d’Orsay). Un altro punto di incontro degli artisti che in quegli anni vivono a Parigi è la bottega di Père Tanguy, in rue Clauzel, un negozio di colori e materiali da disegno gestito da un vecchio comunardo che è anche un generoso mecenate. Sia il Tambourin che i locali di Père Tanguy fungono, all’occasione, come altri ritrovi dell’epoca, da spazi espositivi. Van Gogh può così organizzarvi mostre di quadri suoi e dei suoi amici più cari, come Bernard, Toulouse-Lautrec e Anquetin cui si aggiunge Paul Gauguin. Insieme, formano il gruppo del Petit boulevard, come Van Gogh stesso li ha battezzati per sottolineare il contrasto con i pittori del Grand boulevard, nome che ha invece dato agli impressionisti più famosi e affermati. Dietro queste modeste iniziative, Vincent nutre in realtà un sogno ambizioso, quello di una comunità di artisti sul modello delle antiche confraternite, una cerchia di amici che vivono e lavorano in armonia. È un sogno che Van Gogh tornerà insistentemente ad accarezzare una volta trasferitosi ad Arles.
Intanto, però, sotto i suoi occhi c’è una realtà ben diversa. A Parigi la vita è fatta principalmente di competizione e di stress: «Per riuscire occorre ambizione, e l’ambizione mi sembra assurda», dichiara Vincent. E il fatto che continui a non vendere i suoi quadri certo non lo aiuta né migliora i rapporti con Theo dal cui sostegno forse si aspettava ben altro. Nel corso del 1887 la tensione tra i due va crescendo. A rendere Vincent irritabile e depresso - lui che è felice solo all’aperto e con la bella stagione - ci si mette anche il brutto tempo dei mesi invernali; il resto lo fanno il suo carattere difficile e le sue idee anticonformiste che spesso lo espongono a polemiche e contrasti: «La vita con Vincent è quasi insopportabile», si sfoga alla fine Theo in una lettera alla sorella Wilhelmine; «nessuno può venire a casa mia perché Vincent non fa che litigare con tutti. Inoltre è talmente disordinato che la nostra casa non è più degna di questo nome. Spero che si sistemi da qualche altra parte. Lui ne parla a volte, ma se lo obbligassi ad andarsene, per lui sarebbe un motivo sufficiente per restare». Come se non bastasse, a Parigi Vincent ha preso ad abusare di fumo e alcolici, soprattutto del micidiale assenzio, alla cui intossicazione, come si vedrà in seguito, c’è chi ha attribuito lo scatenarsi delle sue turbe psichiche. Alla fine, la città gli diventa insopportabile: «Voglio ritirarmi in qualche posto nel Sud, per non dover vedere tanti pittori che, come uomini, mi disgustano», confida al fratello. E seguendo ancora una volta la sua indole impulsiva, così fa. Nel febbraio del 1888 parte alla volta della Provenza, diretto al caldo rifugio di Arles.


L’italiana (Agostina Segatori) (Parigi, 1887-1888); Parigi, Musée d’Orsay.


Il ristorante De la Sirène ad Asnières (Parigi, 1887); Parigi, Musée d’Orsay.

Riva della Senna (Parigi, 1887); Amsterdam, Van Gogh Museum.

VAN GOGH
VAN GOGH
Enrica Crispino