Studi e riscoperte. 3
Calligrammi e carmi figurati del Medioevo

DALLE STELLE
ALLE LETTERE

È un filo suggestivo quello che potrebbe legare, ai primordi della civiltà umana, l’osservazione delle stelle e l’astrologia alla nascita della scrittura, forse anticipata da segni astratti tracciati nelle grotte del paleolitico. Alcune miniature medievali sintetizzano con eleganza questo possibile nesso, persistente nel tempo, anticipando la modernità dei calligrammi ideati nel XX secolo.

Mauro Zanchi

Il tema di questo articolo è uno dei possibili incroci di suggestioni che sorgono nell’incontro tra due o più linguaggi, il verbale con il visuale, il segno scritto con quello evocato e non detto, l’immaginato terreno con la proiezione verso questioni celesti. Nei tempi primordiali l’immaginazione cominciò a catasterizzare, ovvero ad attribuire nomi di animali, di personaggi mitologici, di esseri ibridi, di divinità, a costellazioni. I popoli nomadi del Neolitico colloquiavano con i cieli. I più visionari acuirono una propensione a tracciare mentalmente segni tra le numerose stelle sparse nell’universo buio. Questi collegamenti tra immaginazione e cielo vennero lasciati in forma grafica anche sulle rocce delle caverne. Da più di un decennio alcuni studiosi hanno intuito che i dipinti sulle pareti delle grotte preistoriche erano accompagnati da segni che anticipavano di venticinquemila anni quelle che erano considerate le più antiche testimonianze alfabetiche(1). Gli alfabeti primordiali si ricollegavano probabilmente a osservazioni astrali e ai cicli che determinavano riti e momenti topici della vita di un gruppo. È stato proposto pure che la nascita degli alfabeti fenicio e greco sia derivata dalla prolungata osservazione delle costellazioni celesti, legando così la grafia del cielo con quella della scrittura(2). Non sappiamo chiaramente se sia andata veramente così, ma alla luce delle immagini che prenderemo in considerazione di seguito è suggestiva l’ipotesi che ci sia stato un travaso dalle stelle alle lettere, dai segni celesti agli alfabeti simbolici, dai movimenti nell’universo a quelli che hanno dinamizzato i linguaggi. Le costellazioni presenti nel codice miniato pergamenaceo (Harley 647) realizzato attorno alla metà del IX secolo(3) nella diocesi di Reims - una versione latina dei Phaenomena Aratea, con estratti dall’Astronomica di Igino nelle figure delle costellazioni - presentano il commento disposto in modo tale da risultare parte integrante delle figure, riproponendo un modello simile ai carmi figurati e alle poesie visive dell’antichità greca e romana, ovvero testi concepiti per essere guardati e contemplati oltre che per essere letti. 

È probabile che il modello sia derivato da un’edizione particolarmente elegante di età romana


Nella versione conservata al British Museum di Londra si sono conservate ventidue rappresentazioni a piena pagina delle costellazioni a colori, spesso con testo o “scholia” di Igino all’interno delle forme, che integrano nelle figure il testo frammentario di Cicerone(4).

I Phaenomena Aratea(5) - nella tradizione testuale e figurativa, dalla tarda antichità fino al XIII secolo - erano i più diffusi manoscritti di astronomia, basati sulle versioni latine (a volte in frammenti) del poema astronomico Phainómena, attribuito ad Arato di Soli (III secolo a.C.), del cui originale greco, probabilmente illustrato, non si è conservata alcuna copia figurata. Il testo ebbe grande fortuna nella cultura latina. Fu riletto e tradotto da grandi autori tra cui Cicerone e Ovidio, utilizzato da Virgilio nella redazione delle Georgiche. È interessante soffermarsi sulle raffinate immagini miniate dell’esemplare Harley 647 per assaporare la cura calibrata dell’impaginato, l’uso di una scrittura come la capitale rustica, che costituisce al contempo ossatura grafica della figura e approfondimento esegetico. È molto probabile che il modello di questo codice sia derivato da un’edizione particolarmente elegante di età romana.


Da Cicerone, Phaenomena Aratea, manoscritto miniato (Reims, metà del IX secolo), Londra, British Library, Harley 647: f. 9, la costellazione della Lepre.

Da Cicerone, Phaenomena Aratea, manoscritto miniato (Reims, metà del IX secolo), Londra, British Library, Harley 647: f. 10v, la costellazione di Eridano.


Da Cicerone, Phaenomena Aratea, manoscritto miniato (Reims, metà del IX secolo), Londra, British Library, Harley 647: f. 3v, la costellazione dei Pesci;


Da Cicerone, Phaenomena Aratea, manoscritto miniato (Reims, metà del IX secolo), Londra, British Library, Harley 647: f. 10, la costellazione della Balena (“Coetus”).

I primi calligrammi conosciuti appartengono ai poeti greci del periodo ellenistico (secolo IV-III a.C.): da Simmia di Rodi (300 a.C. circa - III secolo a.C.) a Teocrito (315 a.C. - 260 a.C. circa), a Dosiada (prima metà del III secolo a.C.), a Publilio Optaziano Porfirio (IV secolo) fino al secolo XI questa forma poetica è stata sempre praticata sebbene in modo discontinuo. La tradizione fa risalire a Simmia di Rodi l’invenzione dei “technopaegnia”, i componimenti poetici i cui versi vengono disposti in modo da riprodurre una determinata figura, di cui sono pervenuti tre carmi figurati, dove i versi sono disposti in maniera da formare le sagome evocate dai titoli: una scure, le ali appartenenti al dio Eros e un uovo. Guardare verso i cieli e le stelle ha innalzato la visione umana in direzione di aperture cosmologiche, tanto che i pensieri hanno collegato le vite dei mortali con i percorsi dei corpi celesti.

I testi che abbiamo preso in considerazione sono esemplari per sintetizzare ciò che arretra nel tempo per cogliere l’attimo in cui un impulso formale ha connesso la tensione dell’espressione linguistica con il processo di matrice iconica. L’estensione ulteriore di questo procedimento in direzione della modernità si ebbe a partire dalle avanguardie agli inizi del XX secolo, attraverso tutte le sperimentazioni artistiche e letterarie compiute nel clima delle ricerche verbo-visive, che hanno tentato nuove declinazioni attraverso il cubismo letterario, il creazionismo, l’ultraismo e la neoavanguardia.


Da Cicerone, Phaenomena Aratea, manoscritto miniato (Reims, metà del IX secolo), Londra, British Library, Harley 647: f. 2v, la costellazione dell’Ariete;


Da Cicerone, Phaenomena Aratea, manoscritto miniato (Reims, metà del IX secolo), Londra, British Library, Harley 647: f. 12, la costellazione del Centauro.

Simmia di Rodi, Le ali, componimento figurato tratto dal volume Ad alas amoris divini a Simmia Rhodio compactas di Fortunio Liceti, 1640.

L’espressione linguistica connessa con un processo di matrice iconica

Carme figurato, dall’Haggadah di Pesach (“Ashkenazi Haggadah”) di Eleazar di Worms, Germania (1460 circa), Londra, British Library, Additional 14762, f. 14r.


Guillaume Apollinaire, Il cavallo (1917), calligramma.

(1) Gli studiosi hanno riconosciuto una trentina di segni astratti ricorrenti sulle pareti di grotte del Paleolitico superiore (africane, australiane, asiatiche, americane ed europee), tracciati nelle grandiose pitture a soggetto animale e venatorio. I cicli parietali preistorici sono considerati composizioni collettive, perfezionate nell’arco di ventimila anni, da centinaia di generazioni. I segni astratti e i loro significati venivano tramandati dallo sciamano, depositario di una tradizione ancestrale, al nuovo adepto, individuato per tramandare il sapere degli avi e i messaggi delle divinità. Cfr. G. von Petzinger e A. Nowell, Il codice dell’età della pietra. Come non ci eravamo accorti dell’origine della scrittura, in “New Scientist”, 20 febbraio 2010.

(2) Si veda: G. Sermonti, L’alfabeto scende dalle stelle. Sull’origine della scrittura, Milano 2009.

(3) La versione redatta a Reims è la più antica delle quattro illustrate degli Aratea di Cicerone e viene considerata il modello testuale e iconografico per le altre tre conservate presso la British Library a Londra: ms. Harley 2506, ms. Cotton Tiberius B. V., ms. Cotton Tiberius C. I.. La serie delle figure, rispetto all’elenco fornito dal testo integrale degli Aratea, non è completa perché il codice è mutilo e acefalo. Il testo degli Aratea è riportato solo parzialmente e sembra essere utilizzato quasi come didascalia dotta dell’illustrazione. l fogli 1 (1000 circa, Inghilterra) e 21v sono stati aggiunti successivamente. Nel XV secolo il manoscritto era conservato presso la biblioteca dell’abbazia benedettina di Sant’Agostino a Canterbury. Dopo la dissoluzione dei monasteri, nel XVI secolo il codice miniato entrò nella collezione di Francis Babyngton e successivamente in quella dei fratelli Robert e Edward Harley, conti di Oxford e Mortimer (XVIII secolo), e poi fu venduto al British Museum nel 1753.

(4) Secondo lo schema di Arato, i segni zodiacali erano inclusi nelle costellazioni dell’emisfero boreale, nel seguente ordine: 1) costellazioni dell’emisfero nord e costellazioni zodiacali: Orse, Ercole, Corona, Serpentario, (Scorpione), Boote, Vergine, (Bilancia), Gemelli, Cancro, Leone, Auriga, Toro, Cefeo, Cassiopea, Andromeda, Pegaso, Ariete, Triangolo, Pesci, Perseo, Pleiadi, Lira, Cigno, Acquario, Capricorno, Sagittario, Aquila; 2) costellazioni dell’emisfero sud: Delfino, Orione, Cane Maggiore, Lepre, Argo, Balena, Centauro, Idra (o Serpente con Corvo e Cratere), Cane Minore, Eridano (o Fluvio), Pesce australe, Altare. Attraverso la tradizione degli Aratea si conservò anche dall’antichità al Medioevo la serie fissa delle tipologie delle sette divinità planetarie: Giove, Saturno, Venere, Marte e Mercurio, come gruppo di cinque, quindi Sole e Luna, ognuno separatamente.

(5) Esistono ventisette diverse rielaborazioni latine degli Aratea, di cui è noto il nome degli autori. Per quanto riguarda i manoscritti illustrati si sono conservate le versioni latine di Cicerone, Germanico, Festo Avieno, pseudo-Beda e pseudo-Igino, nelle quali sono descritti i movimenti dei pianeti, delle costellazioni, delle sfere celesti. I modelli giunti fino ai nostri giorni della tradizione figurativa degli Aratea sono le libere versioni di Germanico e di Cicerone. La più nota delle traduzioni viene attribuita a Germanico Giulio Cesare (15 a.C. - 19 d.C.), ma viene preso in considerazione come possibile autore anche l’imperatore Tiberio, suo zio. A parte alcune omissioni e aggiunte, la libera traduzione di Germanico riprende soprattutto le correzioni apportate da Ipparco (II secolo a.C.), che aveva duramente criticato i Phainómena di Arato come imperfetti da un punto di vista astronomico.

ART E DOSSIER N. 387
ART E DOSSIER N. 387
MAGGIO 2021
In questo numero: ARTISTE NONOSTANTE.: Le signore a Milano; le astrattiste a Parigi; Suzanne Valadon; Bourke-White la pioniera. FABIO MAURI il copro è poesia. CALLIGRAMMI MEDIEVALI: il corpo è scrittura. CREPAX: Valentina in mostra. LUOGHI LEGGENDARI: Il labirinto di Franco Maria Ricci; Il teatro di Aldo Rossi.Direttore: Claudio Pescio