CATALOGHI E LIBRI
APRILE 2021
BRAQUE. ATELIERS
Jaca Book ristampa giustamente, dopo la prima edizione del 1995, l’acuta indagine che Jean Leymarie (1919-2006) dedicò nel 1995 a Georges Braque (1882-1963). Studioso di fama internazionale, docente universitario, curatore di musei e istituzioni di prestigio (come, in Italia, l’Accademia di Francia a Roma, dove creò mostre indimenticabili), Leymarie fu grande amico di Braque e, dopo la sua morte, dei Laurens suoi eredi. Il libro commenta e illustra la genesi, anche esistenziale, per così dire, o meglio filosofica, non solo meramente pittorica, di decine di dipinti che spaziano dal primo periodo cubista (quello dell’inestricabile sodalizio con Picasso, attorno agli anni Dieci del Novecento), fino alle opere degli anni Quaranta-Cinquanta con, in particolare, gli otto splendidi Atelier sinfonici, uno dei quali è illustrato anche in c copertina. L’argomento trattato - l’atelier, o meglio i due atelier dell’artista francese, a Parigi e a Varengeville-sur-Mer in Normandia - può sembrare solo “uno dei temi” sperimentati da Braque, artista talvolta lievemente sottostimato, quasi fosse un comprimario, soprattutto nei primi periodi, rispetto all’amico Picasso. Molti artisti suoi contemporanei (Picasso e Matisse in testa) affrontarono questo tema, ma per loro, appunto, fu uno fra i tanti, per quanto molto sentito. Per Braque invece l’atelier fu il tema centrale, sempre: questo l’assunto di Leymarie e della sua indagine, basata peraltro su convinzioni e dichiarazioni di Braque stesso. Basta osservare i suoi dipinti, coi tavolini, gli oggetti quotidiani, la stufa, gli strumenti di lavoro, lo spazio abitato raramente dalla figura umana, ma evocata in assenza. Leymarie introduce l’argomento accennando alle raffigurazioni dell’antichità, e poi a quelle della pittura occidentale che dal Medioevo attraversano il Rinascimento, gli olandesi del Seicento fino a Courbet, Daumier, Bazille. Ma è Braque “il re degli atelier”, e infatti amava dire di essersi preoccupato per tutta la vita di dipingere lo spazio: esistenziale e fisico «spazio domestico […] percepibile al tatto come allo sguardo».
STUDI SULLA PITTURA TOSCANA DEL RINASCIMENTO
Everett Fahy, studioso di pittura fiorentina del Rinascimento, è scomparso nel 2018. Lo ricordiamo ai Tatti, nella Biblioteca della Harvard University sui colli fiorentini: così diverso, per carattere, da Federico Zeri, al quale fu peraltro legato da amicizia e stima profonda, e soprattutto da un metodo di ricerca affine: occhio formidabile, memoria visiva incrementata da una certosina “registrazione” delle opere studiate, viste, scoperte. Ambedue raccoglievano appunti, lettere, cartoline e fotografie, con una pratica pressoché quotidiana, comune anche a un altro amico di Fahy, il compianto Miklós Boskovits (il quale ha donato la sua fototeca all’Università di Firenze). Fahy ha lasciato la sua alla Fondazione Zeri ora a Bologna, in modo da integrare la già formidabile fototeca zeriana, alla quale lo studioso romano teneva almeno quanto alla biblioteca e alla preziosa raccolta di cataloghi d’asta. Il primo volume di questo libro, sotto l’egida della Fondazione, raduna, dal primo saggio su Piero di Cosimo (1965), una decina di articoli pubblicati da Fahy nel corso di una carriera interrotta solo dalla malattia. La selezione riguarda molti artisti toscani, perlopiù fiorentini, indagati o scoperti con mirabili doti di “connoisseur”. Il secondo volume li illustra con centinaia di fotografie in bianco e nero, che rammentano, di primo acchito, le immagini raccolte da Zeri in contenitori catalogati con rigore nella fototeca di Mentana (Roma), nella villa dove il celebre critico romano abitava ed è morto nel 1998. I due tomi, ineccepibili per apparati e indici, sono introdotti da De Marchi, che indugia sul metodo di Fahy, le scoperte ma anche la rara franchezza nel riconoscere passati errori critici. De Marchi rammenta che per il suo occhio infallibile Luciano Bellosi chiamava l’amico Fahy il «Maestro dall’occhio vispo» (allusione ironica al Maestro del Bambin Vispo, anonimo artista battezzato da Otto Sirén). Onore alla Fondazione Zeri, a Officina Libraria, ai benefattori che hanno permesso questa importante impresa editoriale. Speriamo che presto si riesca anche a pubblicare l’esauritissimo studio di Fahy sui seguaci del Ghirlandaio.GIULIO CESARE PROCACCINI LIFE AND WORK
Le chiusure forzate per pandemia ci hanno impedito di menzionare prima questa imponente, fondamentale monografia su Giulio Cesare Procaccini (1574-1625), scritta a due mani: da Hugh Brigstocke, già funzionario della National Gallery of Scotland, e nel 2002 curatore della mostra Procaccini in America, e da una più giovane ma già stimata specialista di arte lombarda, Odette D’Albo. Il libro costituisce il catalogo ragionato - monumentale e documentato in ogni suo aspetto, da quello biografico all’esegesi sui dipinti e sulla fortuna (e sfortuna) critica - di un magnifico pittore (ma fu anche scultore). Nato a Bologna, Procaccini gravitò soprattutto fra Milano e Genova. Forse anche per questo è stato a lungo trascurato dagli studiosi, che non sapevano inserirlo nell’una o nell’altra scuola. Eppure, già nel 1606 il poeta veneziano Giovanni Soranzo gli dedicava un sonetto elogiativo: «[…] O Cesare fortunato, ond’apprendesti far che’l disegno spiri e che tue carte avanzino di pregio ogni tesoro? Io ben l’intendo: ne l’Idee celesti appreso l’hai: però la tua bell’arte muto poeta è di pittor canoro». Soranzo, attivo a Milano per qualche anno, dove Procaccini lavorava, gli dedicherà in seguito altri versi, e molti altri saranno i giudizi positivi sull’artista. La relativa sfortuna critica successiva è forse anche dovuta a mutamenti di gusto, dato che le opere pittoriche note di Procaccini, oggi sparse nel mondo, sono sostanzialmente di natura sacra. In realtà egli dipinse anche ritratti, come quello dell’attrice di teatro “Flaminia”, qui in copertina. Molti sono citati dalle fonti o testimoniati da disegni, ma sono introvabili nella definitiva elaborazione pittorica. Il libro rende merito al pittore con capillari indagini, nella tradizione dei “catalogues raisonnés”, e indaga anche sui legami con la Spagna e alcuni committenti illustri, e poi su tecniche, errate attribuzioni e altro. Diretto al mondo internazionale di studiosi, curatori, collezionisti, antiquari, è stato pubblicato in inglese.
ART E DOSSIER N. 386
APRILE 2021
In questo numero: KLIMT RITROVATO. MOSTRE A PRIMAVERA: Koudelka a Roma; Arte e musica a Rovigo; Dante a Forlì e Ravenna; Arte pompeiana a Roma. LUOGHI SPECIALI: I tesori di Sanpa a Rimini; Flavin e la chiesa rossa a Milano; Il teatro Andromeda ad Agrigento. LETTURE D'OPERA: Un giovane alla moda per Fra Galgario; Le fatiche astrologiche di Ercole. Direttore: Claudio Pescio