Gusto dell'arte


Dal Medio Oriente
con o senza
spine

Ludovica Sebregondi

ALLA RICERCA DI PREPARAZIONI ALIMENTARI E PRODOTTI CHE TROVANO NELL’ARTE PUNTUALI RIFERIMENTI, AL DI LÀ DI EPOCHE, LUOGHI E TRADIZIONI: I CARCIOFI

Sebbene diffusissimi sulle tavole da millenni, e non da comprimari, è inconsueto che i carciofi abbiano un ruolo centrale nei dipinti e generalmente fanno parte di un contesto in cui sono rappresentate più varietà di verdure. Rimarchevole, dunque, che siano protagonisti nella miniatura Carciofi in un piatto cinese con rosa e fragole di Giovanna Garzoni. L’artista, nata ad Ascoli Piceno nel 1600 e morta a Roma nel 1670, ha coniugato nelle immagini intenti di documentazione scientifica con una straordinaria sensibilità compositiva, che le hanno valso all’epoca grande fama. In un pregiato vassoietto di porcellana cinese sono adagiati tre carciofi: certamente quello sul fondo ha la forma ovale e il colore del violetto di Toscana, o “morellino”, l’altro a destra è un rotondeggiante cimarolo romano (anche “mammola” o “mamma”), e a sinistra appare un’ulteriore varietà, anch’essa senza spine. Si tratta di tre specie primaverili, e il contesto stagionale è confermato dalle fragole a diversi stadi di maturazione e da un fiore, i cui toni rosati contrastano con la gamma del verde degli ortaggi. 

Le dimensioni (24 x 32 centimetri) accomunano la tempera alle altre della serie dedicata a fiori, verdure e frutta, dipinta dalla miniatrice per il granduca Ferdinando II, sia alla corte medicea che in seguito al trasferimento a Roma, dove continuavano a esserle inviati dalla Toscana vegetali da ritrarre. Quelli di Giovanna Garzoni sono campionari scientifici di varietà orticole, ma hanno insieme valenza artistica, con un senso di “vanitas” per il fogliame accartocciato e in parte giallastro e per le brattee, cioè le foglie, macchiate di scuro: segnali di avvizzimento e dunque simboli di caducità. 

Originari del Medio Oriente, i carciofi sono una variante “addomesticata” del cardo selvatico, e numerosissime sono le varietà, provviste o no di spine. Il nome in botanica, “Cynara scolymus”, richiama alla memoria un digestivo che, già negli anni Sessanta del Novecento, prometteva un conforto contro il «logorio della vita moderna». Alla pianta vengono infatti attribuite proprietà tranquillanti ma anche afrodisiache, e moltissime altre ancora. Apprezzato sin dall’antichità in ambito culinario, si dice che il carciofo sia stato portato da Napoli a Firenze da Filippo Strozzi nel 1466 e da qui poi, tramite Caterina de’ Medici che ne era ghiottissima, introdotti nella cucina francese insieme a tante altre specialità toscane. Forse, come spesso accade in queste narrazioni, la realtà storica si unisce alla leggenda. 

La duttilità fa apprezzare il carciofo in infinite ricette, crude o cotte: emblematici della cucina laziale sono quelli alla romana, ripieni, o “alla giudia”, preparazione legata al ghetto e alla festa del Kippur (ricorrenza religiosa che celebra il giorno dell’espiazione), in cui i cimaroli vengono trasformati in un croccante fiore dal colore bronzeo. 

Questo carattere metallico è rafforzato da Giorgio de Chirico (Volos, Grecia, 1888 - Roma 1978) nella Conquista del filosofo. L’artista, approdato a Parigi nel 1911, inserisce nei suoi quadri associazioni di immagini incongrue e, in questo dipinto, sovradimensionati carciofi ferrosi si accompagnano all’immancabile treno, ricordo delle linee ferroviarie costruite dal padre, alle vele di una nave, a un orologio in cui l’ora indicata contraddice le ombre proiettate sul terreno da due piccole figure, a una ciminiera, a complesse architetture prive di logiche spaziali inserite in una piazza vuota, a una canna di cannone con due proiettili. De Chirico usa le immagini per evocare quello che realmente viene rappresentato, ma è il primo a introdurre nella pittura la memoria personale, i ricordi e l’inconscio, che rimangono allusioni enigmatiche legate al suo vissuto. E ci si chiede quale fosse il nesso con i due carciofi, che anche nella Melanconia di un pomeriggio sono resi quasi come armature. Se de Chirico coglie solo l’asprezza delle forme, Pablo Neruda evoca invece la duplicità del carciofo, coriaceo all’esterno, ma morbido e tenero all’interno: «Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero, / ispida edificò una piccola cupola, / si mantenne all’asciutto sotto le sue squame».


Giorgio de Chirico, La conquista del filosofo (1913-1914), Chicago, Art Institute of Chicago.


Giovanna Garzoni, Carciofi in un piatto cinese con rosa e fragole (1655-1662 circa), Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria palatina.

ART E DOSSIER N. 386
ART E DOSSIER N. 386
APRILE 2021
In questo numero: KLIMT RITROVATO. MOSTRE A PRIMAVERA: Koudelka a Roma; Arte e musica a Rovigo; Dante a Forlì e Ravenna; Arte pompeiana a Roma. LUOGHI SPECIALI: I tesori di Sanpa a Rimini; Flavin e la chiesa rossa a Milano; Il teatro Andromeda ad Agrigento. LETTURE D'OPERA: Un giovane alla moda per Fra Galgario; Le fatiche astrologiche di Ercole. Direttore: Claudio Pescio