Grandi mostre. 2
ARTI VISIVE E MUSICA A ROVIGO

A SUON
DI FORME
E COLORI

Lo stretto rapporto tra arti visive e musica, declinato con modalità e sfumature differenti, dal simbolismo alle avanguardie storiche del secolo scorso, è approfondito, per la prima volta nel nostro paese, in un’ampia esposizione a palazzo Roverella.
Conosciamo i dettagli nel racconto del curatore.

Paolo Bolpagni

Il tema dei rapporti tra la musica e le arti visive nell’età contemporanea ha conosciuto negli ultimi decenni una rinnovata fortuna critica e storiografica, ma non è stato finora oggetto, in Italia, di mostre importanti, in grado di presentare la questione nei suoi aspetti fondamentali. Il riferimento di partenza, per una trattazione ampia e organica dell’argomento, va individuato nella grande antologica curata da Karin von Maur nel 1985 alla Staatsgalerie di Stoccarda Vom Klang der Bilder. Die Musik in der Kunst des 20. Jahrhunderts (Il suono delle immagini. La musica nell’arte del XX secolo). Da allora, sono mancate occasioni espositive che facessero il punto sul tema in maniera larga e complessiva; anche Analogías musicales, svoltasi nel 2003 alla Fundación Colección Thyssen-Bornemisza a Madrid, trattava soltanto di Vasilij Kandinskij e dei suoi coevi. 

Era quindi giunto il momento di dedicare una mostra di vasto respiro alle molteplici relazioni tra le arti visive e la musica dalla stagione simbolista agli anni Trenta del XX secolo, quindi includendo anche le avanguardie storiche. È quella in corso a Rovigo a palazzo Roverella. 

Un grande esponente del clima di fine Ottocento è Giovanni Segantini, che attorno al 1890-1891 manifesta, in alcune lettere al suo mentore Vittore Grubicy, le proprie opinioni in fatto di teatro e di musica. In quel periodo il pittore trentino si era avvicinato al mondo del melodramma, scrivendo addirittura due maldestre bozze di libretto d’opera. Era inoltre in contatto con Luigi Illica, il coautore - con Giuseppe Giacosa - del testo poetico della Bohème, della Tosca e della Madama Butterfly di Puccini. Nel 1897, nel centenario della nascita di Gaetano Donizetti, Segantini terminò un trittico dal ricco corredo decorativo-ornamentale dedicato al compositore bergamasco, la cui riconoscibile figura campeggia al centro, al pianoforte, attorniata da presenze allegoriche che forse rimandano a personaggi dei suoi melodrammi, ma che, più probabilmente, sono divagazioni immaginative, stante anche il titolo, L’evocazione creatrice della musica, che allude a una capacità quasi medianica di suscitare “fantasmi”.


Nell’epoca del simbolismo un filone artistico si ispira all’opera e alle dottrine estetiche di Wagner


Paul Ranson, L'iniziazione alla musica (1889).

Pierre-Auguste Renoir, Ritratto di Richard Wagner (1893), Parigi, Bibliothèque Nationale de France.


Henri Fantin-Latour, L'oro del Reno, prima scena (1898), Amburgo, Hamburger Kunsthalle.

Spostandoci in Francia troviamo Paul Ranson, membro di spicco del gruppo dei Nabis, che, creato nel 1888, incarna una particolare declinazione del simbolismo. L’iniziazione alla musica, dipinta nel dicembre del 1889 con una scena campita in forma di ventaglio, inquadrata all’interno di una peculiare ornamentazione floreale, contiene riferimenti espliciti al tema: nella rappresentazione appaiono un diapason, un violoncello, un pianoforte, un probabile mandolino un po’ stilizzato, una cetra che emana raggi dorati, emblema della poesia lirica, pentagrammi, chiavi di violino e di basso, note, pause e bemolli. Pare trattarsi semplicemente di un omaggio al melodramma, privo di addentellati con la sfera esoterica e di quegli approdi nei territori del fantastico e dello spiritualismo sincretico e occultista altrove ben evidenti nella produzione di Ranson. 

Durante l’epoca del simbolismo, comunque, si assiste anche alla fortuna dell’iconografia di Beethoven e all’affermarsi del fenomeno del wagnerismo, che vede fiorire in tutta Europa un filone artistico che si ispira esplicitamente - sotto il profilo tematico, espressivo e teorico - all’opera e alle dottrine estetiche del grande compositore tedesco. Il quale, però, non possedeva una spiccata predisposizione per la pittura. Verso l’impressionismo, per esempio, l’atteggiamento fu di incomprensione; anzi, pare che ne ignorasse quasi l’esistenza. I rapporti con il movimento francese si limitano all’avere Renoir realizzato un suo ritratto. È noto che il 15 gennaio 1882, a Palermo, Wagner gli riservò una pessima accoglienza, accordandogli non più di quarantacinque minuti di posa. Sull’opera emise poi questo singolare giudizio: «Sembra un embrione d’angelo ingoiato da un epicureo che lo ha scambiato per un’ostrica». 

Ciononostante gli artisti, per almeno un trentennio, adorarono la musica di Wagner e si ispirarono a essa per essere “moderni”. Il fenomeno era ormai declinante quando Koloman Moser, esponente della Secessione viennese, poco prima di morire dipinse una grande tela intitolata Il viandante. Wotan. Il rimando diretto è al Sigfrido, dove il re degli dèi del Walhalla si è ormai acconciato a un ruolo di osservatore delle vicende, rinunciando a intervenire nel corso degli avvenimenti. Nudo, colossale, munito soltanto di un bastone, non è però raffigurato in maniera illustrativa in un momento preciso del dramma wagneriano: Moser rifugge da adesioni letterali al testo di riferimento, e anzi ribalta l’immagine del dio stanco e quasi smarrito nella sua erranza in quella di un uomo vigoroso, giovane e proteso volitivamente verso una meta. Sembrerebbe una sorta di reazione alla fine imminente che attendeva di lì a poco l’artista. 

In Italia, comunque, nonostante il successo del wagnerismo, l’opera lirica nazionale continua a fornire soggetti ai pittori. Il toscano Lionello Balestrieri, per esempio, nel 1898 esegue a Parigi Mimì… Mimì…, ossia La morte di Mimì. La Bohème di Puccini stava allora trionfando in Europa, e ciò offrì all’artista il destro e lo spunto per rappresentarne la scena culminante del finale. Prendo a prestito le parole usate da Alberto de Angelis nel 1943: «Seduto a fianco del letto, con la mano sinistra affondata nella scomposta capigliatura, il poeta Rodolfo (Balestrieri lo ha ritratto con le proprie sembianze), pensoso e sgomento, affisa lo sguardo sul volto dell’amante, che, col capo affondato nel candido cuscino, e un braccio disteso e inerte, appare prossima a morire. Nel fondo del quadro gli altri personaggi», ossia Schaunard, Marcello, Musetta e Colline.


Koloman Moser, Il viandante. Wotan (1918), Vienna, Wien Museum.


Lionello Balestrieri, Mimì… Mimì… (La morte di Mimì) (1898).

Quasi proverbiale è il legame tra l’astrattismo e la musica: Paul Klee, František Kupka, Vasilij Kandinskij...


Passando alle avanguardie, se nell’espressionismo tedesco la questione delle relazioni fra musica e arti visive non è tra le più rilevanti, e in quello francese domina piuttosto il riferimento alla danza (basti pensare a Matisse), l’elemento sonoro ha una forte importanza nel futurismo italiano: come noto, Luigi Russolo, oltre che pittore e incisore, fu compositore, e già nel 1916 andò al di là di qualsiasi modello contemporaneo ideando brani in cui non erano più previsti violini o violoncelli, bensì macchine costruite per produrre rombi, ronzii, crepitii, scoppi… Del resto, non bisogna dimenticare il sinestetico manifesto di Carlo Carrà La pittura dei suoni, rumori e odori, dell’11 agosto 1913. Umberto Boccioni, dal canto suo, ebbe un rapporto privilegiato con il pianista e compositore Ferruccio Busoni, che nel 1912 acquistò La città che sale (ora a New York al MoMA) dalla Sackville Gallery di Londra. L’ultimo capolavoro dell’artista, prima della prematura morte a seguito di una caduta da cavallo, è proprio il ritratto del maestro, ultimato nel giugno del 1916 nella residenza del musicista sul lago Maggiore, a Pallanza (Verbano-Cusio-Ossola). È un’opera nella quale Boccioni torna a meditare sull’eredità di Cézanne: un’evoluzione che è frutto, forse, anche delle lunghe conversazioni con Busoni, finissimo intellettuale e intenditore, che suonava il pianoforte per il suo ospite prima di ogni sessione di posa. 

Quasi proverbiale è il legame tra l’astrattismo e la musica: Paul Klee, František Kupka, Vasilij Kandinskij… Quest’ultimo, al di là del fecondo rapporto con Arnold Schönberg, inventore della dodecafonia, non disdegnò nemmeno di dedicarsi al lavoro di scenografo e costumista, non abbandonando, peraltro, la particolare prospettiva di fusione delle arti che gli era propria: nell’aprile del 1928 allestì al Friedrich-Theater di Dessau, su invito di Georg Hartmann (direttore del teatro stesso), uno spettacolo dedicato ai Quadri di un’esposizione di Musorgskij, di cui curò la regia e progettò le scene. Così come il compositore si era ispirato, per la sua suite pianistica, a una serie di acquerelli del pittore e architetto Viktor Hartmann, traducendo le immagini in musica assoluta, similmente Kandinskij rifuggì da strette analogie figurative, preferendo seguire con giochi di luce e con mutevoli disposizioni cromatiche il decorso melodico e armonico dei brani. È uno dei numerosi e più riusciti tentativi di far dialogare suoni, forme e colori: una lunga vicenda di relazioni, intrecci e corrispondenze, che, nell’arco del periodo considerato, dalla stagione simbolista a quella delle avanguardie storiche, conobbe una vera rivoluzione, in un ambito come nell’altro.


Paul Klee, Di notte. Fiori notturni (1921).


Vasilij Kandinskij, La grande porta (Nella capitale Kiev) (1928), Colonia, Università, Theaterwissenschaftliche Sammlung.


Umberto Boccioni, Ritratto del Maestro Busoni (1916), Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.

Vedere la musica. L’arte dal simbolismo alle avanguardie

Rovigo, palazzo Roverella
a cura di Paolo Bolpagni
dal 1° aprile al 4 luglio
catalogo Silvana Editoriale
www.palazzoroverella.com

ART E DOSSIER N. 386
ART E DOSSIER N. 386
APRILE 2021
In questo numero: KLIMT RITROVATO. MOSTRE A PRIMAVERA: Koudelka a Roma; Arte e musica a Rovigo; Dante a Forlì e Ravenna; Arte pompeiana a Roma. LUOGHI SPECIALI: I tesori di Sanpa a Rimini; Flavin e la chiesa rossa a Milano; Il teatro Andromeda ad Agrigento. LETTURE D'OPERA: Un giovane alla moda per Fra Galgario; Le fatiche astrologiche di Ercole. Direttore: Claudio Pescio