Grandi mostre. 1
KOUDELKA A ROMA

TRA PASSATO,
PRESENTE E FUTURO

JOSEF KOUDELKA, CELEBRE FOTOGRAFO CECO, DALLA LUNGA CARRIERA INIZIATA CON UN FAMOSO REPORTAGE SULLA “PRIMAVERA DI PRAGA”, È ORA PROTAGONISTA DI UNA RETROSPETTIVA A ROMA, INCENTRATA SULLE IMMAGINI SCATTATE NELL’ARCO DI TRENT’ANNI NEI SITI ARCHEOLOGICI PIÙ IMPORTANTI DEL MEDITERRANEO.

Francesca Orsi

Josef Koudelka (Boskovice, Repubblica Ceca, 1938) ci ha insegnato a riconoscerlo nella rappresentazione della storia, dei popoli, dell’umanità, sua come nostra. Una storia fatta di invasioni e carrarmati, ma anche di stratificazioni materiche e temporali, di rovine antiche, di identità e tradizioni, di memorie e di patrimoni da conservare non solo per ricordarci da dove veniamo, ma per farci visualizzare anche il nostro futuro. 

Sono lontani i giorni in cui, da giovane appassionato di fotografia, con la sua 6x6 in bachelite fotografava la famiglia e i dintorni di casa, ma Koudelka, anche dopo essere entrato nell’Agenzia Magnum, ha sempre testimoniato esclusivamente ciò di cui faceva parte, il tempo e lo spazio, in una ricerca identitaria continua, alla scoperta della storia del mondo e di se stesso. 

Ne è prova la retrospettiva a lui dedicata, in corso fino al 16 maggio, all’Ara Pacis di Roma, Josef Koudelka. Radici. Immagine: evidenza della storia, enigma della bellezza.


Cairo, Egypt (2012).


Amman, Jordan (2012).

La mostra, organizzata da Contrasto e Zètema Progetto Cultura, con la collaborazione di Villa Medici - Académie de France à Rome e Centro Ceco, rappresenta la summa visiva di un viaggio durato trent’anni che Josef Koudelka ha intrapreso tra i siti archeologici più importanti e rappresentativi del Mediterraneo. Con la sua inquadratura panoramica e il suo riconoscibile bianco e nero ha riportato all’Occidente i suoi resti, le sue rovine, le sue radici, per l’appunto. In oltre cento immagini Koudelka abbraccia l’enigmatica bellezza dell’antico, riesce a testimoniarne le pieghe originarie e permette allo spettatore, anche grazie al grande formato con cui sono esposte, di essere dentro la storia. Il viaggio del fotografo ceco, che va dalla Siria alla Grecia, dalla Turchia al Libano, per giungere poi a Cipro (Nord e Sud), Israele, Giordania, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Portogallo, Spagna, Francia, Albania, Croazia e Italia, viene rappresentato come un continuum, cromatico, estetico, paesaggistico, storico ed emozionale, come se Koudelka nella sua vita non avesse fatto altro che vagare, nomade, per il mondo alla ricerca di un’archeologia che vada oltre il suo valore storiografico e che si erga monolitica, salda, nel suo essere fondamenta dell’umanità. In effetti, però, in questo suo perenne peregrinare si possono rintracciare anche quelle che sono state le sue istanze individuali, le sue tensioni intime, la sua storia, ribaltando la ricerca di radici collettive in una molto più personale che sa di esilio e sradicamenti identitari.


Rome, Italy (2000).


Aphrodisias, Turkey (2014).

Nella composizione delle immagini di Radici il paesaggio naturale compare come scenario di sottofondo, conformemente proporzionato alla nostra realtà quotidiana, integro e lineare nella sua naturalezza; su di esso si stagliano magniloquenti e frammentate le rovine della storia, altisonanti per la loro maestosità. La stratificazione di questi due piani visivi genera una dimensione percettiva equilibrata e non ridondante, come se la foschia del paesaggio ad Amman in Giordania riuscisse ad assorbire l’esubero surreale di tre giganti dita di marmo ormai radicate in quel posto e a quel modo dal tempo. I templi, le statue, le colonne, le spoglie dei teatri, i massi che vanno a formare le strade, in queste immagini, trovano la loro sussistenza non nella loro valenza originaria, quella per cui e con cui sono state costruite, ma nel loro essere reperto, nella loro frammentarietà e nel loro essere resi “rovina” da un comune denominatore: il tempo. Con questo processo compositivo Koudelka genera un altro tipo di paesaggio, un paesaggio storico non dal punto di vista temporale, ma simbolico, dove la storia si veste di quell’estetica del sublime cara ai romantici come Chateaubriand o Shelley. Scriveva, infatti, quest’ultimo: «Su, vai a Roma che è insieme il paradiso, la tomba, la città e il deserto; e passa dove le rovine s’ergono come montagne frantumate, e le gramigne fiorenti e le piccole selve profumate vestono l’ossa nude della desolazione, finché lo spirito del luogo guiderà i tuoi passi a un declivio il cui accesso è verdeggiante, dove come il sorriso di un bambino fra l’erba sopra i morti si distende una luce di fiori sorridenti»(1). Le vestigia, i resti solenni, le tracce del passato, con le loro crepe e la loro incompletezza, hanno sempre prodotto contemporaneamente sgomento e ammirazione all’occhio umano e le immagini di Koudelka sembrano imprimere sulla carta non solo la figurazione di queste spoglie, ma anche il sentimento sublime che risvegliano e che le proiettano in una dimensione di assolutezza. Nelle immagini del fotografo ceco compare al contempo, però, anche la specificità degli elementi rappresentati, una loro valenza quasi emotiva, che «riempie l’intera immagine»(2), direbbe Roland Barthes. «Certi particolari potrebbero “pungermi”»(3) teorizzava, infatti, lo studioso francese per spiegare il concetto di “punctum”, che portava, nella lettura dell’immagine, a registrare emotivamente «l’impronta di qualcosa»(4) tramite cui una particolare fotografia non sarebbe più stata una fotografia qualunque. E così il naso mancante della Sfinge d’Egitto può proiettare l’immagine di cui fa parte nell’estetica delle rovine, come al contempo può essere quel qualcosa che mi punge e mi turba, in maniera indefinita e apparentemente inspiegabile. Ma Barthes in La camera chiara teorizza anche un altro tipo di “punctum”, non più particolare, che riconduce proprio al Tempo: la fotografia da bambina di sua madre, che era appena defunta, gli rivela che lei «sta per morire », provocandogli una vertigine(5). Le immagini di Josef Koudelka congiungono allo stesso modo dimensioni temporali differenti che provocano un turbamento simile: il nostro tempo, il tempo del fotografo (cristallizzato dal paesaggio naturale) e il tempo delle civiltà antiche. E il futuro? Come testimonia Koudelka stesso: «Le rovine non sono il passato, sono il futuro che ci invita all’attenzione e a godere del presente» e così il suo lavoro si tramuta anche in una palla di vetro di grande formato che ci mostra, attraverso immagini in bianco e nero, quello che siamo stati, quello che saremo in proiezione e quello che siamo “hic et nunc”.



L'allestimento della mostra Josef Koudelka. Radici. Immagine: evidenza della storia, enigma della bellezza (Roma, Museo dell'Ara Pacis, fino al 16 maggio).


(1) P. B. Shelley, Adonais, 1821.
(2) R. Barthes, La camera chiara, Torino, XI ed. 2010, p. 47.
(3) Ibidem, p. 49.
(4) Ibidem, p. 50.
(5) Ibidem, p. 96.

ART E DOSSIER N. 386
ART E DOSSIER N. 386
APRILE 2021
In questo numero: KLIMT RITROVATO. MOSTRE A PRIMAVERA: Koudelka a Roma; Arte e musica a Rovigo; Dante a Forlì e Ravenna; Arte pompeiana a Roma. LUOGHI SPECIALI: I tesori di Sanpa a Rimini; Flavin e la chiesa rossa a Milano; Il teatro Andromeda ad Agrigento. LETTURE D'OPERA: Un giovane alla moda per Fra Galgario; Le fatiche astrologiche di Ercole. Direttore: Claudio Pescio