Dentro l'opera


PITTURA
NEL CAMPO ESPANSO:

GLI ASSEMBLAGGI
DI STOCKHOLDER

Cristina Baldacci

Un primo piano su opere meno note dal secondo Novecento a oggi, per scoprirne il significato e l’unicità nel continuum della storia dell’arte: Jessica Stockholder, Fat Form and Hairy: Sardine Can Peeling

Con alle spalle una formazione da pittrice, Jessica Stockholder (Seattle, 1959) ha sempre lavorato in direzione di un superamento dei limiti della pittura. Ha però mantenuto un profondo rispetto, oltre che conoscenza, di questo linguaggio, come dimostrano l’attento studio della forma e il raffinato uso del colore, che nei suoi lavori non vengono mai meno. Neanche in un’opera apparentemente esuberante, ma strutturalmente rigorosissima, come Fat Form and Hairy: Sardine Can Peeling [JS 218](1), il cui titolo, intraducibile, nasce, così come l’opera stessa, da un assemblaggio di parole, invece che di oggetti, di diverso genere (si rimanda alla didascalia dell’opera, un vero e proprio inventario, per rendersi conto della varietà dei materiali utilizzati). 

Da circoscritto, illusorio e distante, lo spazio dell’opera (pittorica) di Stockholder si fa espanso, concreto, ravvicinato. È uno spaccato di realtà dove la pittura si unisce alla scultura, come nei “combine” di Robert Rauschenberg, all’interno di un preciso contesto architettonico-ambientale. A tal punto che le pareti della galleria dove questa installazione site-specific venne presentata a metà degli anni Novanta, la Hayward Gallery di Londra, risultano integrate nel lavoro come ulteriore allargamento di campo. 

L’opera fu progettata per la collettiva Unbound: Possibilities in Painting, titolo che rimarcava l’intenzione di superare i canoni tradizionali della pittura sconfinando verso altri linguaggi. 

Come risultato di un’appropriazione e di un accumulo bulimici di oggetti prelevati dal quotidiano e riciclati come materiali dell’arte, i lavori di Stockholder richiamano i “ready-made aidé” duchampiani, gli assemblaggi dei dadaisti, dei Nouveaux Réalistes, degli artisti pop. Ma anche la casualità surrealista (il titolo dell’opera qui presa in esame sembrerebbe quasi un “cadavre exquis”), l’attenzione minimalista alle forme geometriche e agli oggetti industriali prodotti in serie, la non monumentalità delle installazioni contemporanee, malgrado le grandi, e spesso variabili, dimensioni(2)

La funambolica abilità ed eleganza con cui combina e dispone materiali eterogenei hanno portato Stockholder a mettersi alla prova come artista-curatrice della mostra Cut a Rug Around Square (altro titolo piuttosto fantasioso), visitabile fino ai primi di maggio alle OGR - Officine Grandi Riparazioni di Torino. Per l’occasione, ha accostato opere provenienti dalle collezioni della Fundació La Caixa (Barcellona) e della Fondazione per l’arte moderna e contemporanea CRT (Torino) dando forma, complice l’architettura post-industriale, a una sorprendente installazione ambientale (per saperne di più, www.ogrtorino.it).


Jessica Stockholder, Fat Form and Hairy: Sardine Can Peeling [JS 218], 1994 frigoriferi, vernice, telo impermeabile verde, cavi metallici, maglioni, bidoni della spazzatura, cuscini, cemento, lana, polistirolo, materiali da costruzione, luci verdi, cavo elettrico e plexiglas, dimensioni variabili. Veduta dell’installazione alla Hayward Gallery, The South Bank Centre, Londra, 1994.

(1) Le iniziali seguite dal numero tra parentesi quadre [JS 218] sono il particolare sistema di inventariazione ideato dall’artista.
(2) Cfr. la mostra Unmonumental: The Object in the 21st Century, tenutasi al New Museum di New York nel 2007.

ART E DOSSIER N. 386
ART E DOSSIER N. 386
APRILE 2021
In questo numero: KLIMT RITROVATO. MOSTRE A PRIMAVERA: Koudelka a Roma; Arte e musica a Rovigo; Dante a Forlì e Ravenna; Arte pompeiana a Roma. LUOGHI SPECIALI: I tesori di Sanpa a Rimini; Flavin e la chiesa rossa a Milano; Il teatro Andromeda ad Agrigento. LETTURE D'OPERA: Un giovane alla moda per Fra Galgario; Le fatiche astrologiche di Ercole. Direttore: Claudio Pescio