DANTE ALIGHIERI
E L’ARTE

Al di là dell’immenso debito che la letteratura e la lingua italiane hanno contratto con la gigantesca figura di Dante Alighieri - non per nulla invocato come “padre” non solo dell’idioma, ma dell’intera nazione italica, ben prima che le imprese del glorioso Risorgimento sortissero un duraturo risultato con il nuovo assetto politico -, sarà bene riflettere a quanto il genere umano deve al poeta fiorentino riguardo a temi culturali e teologici che si distinguono per l’afflato altissimo e i valori universali(1).

Non va dimenticato, infatti, che buona parte del percorso delle varie civiltà umane (convinte che tutte le persone posseggano un’anima capace di sopravvivere alla morte del corpo) è stato occupato dal tentativo, tanto vano quanto fascinoso, d’immaginare il mondo che ci aspetta dopo la fine dell’esistenza terrena. Si tratta di un’impresa che è iniziata con la notte dei tempi, connaturata con la stessa esistenza dell’uomo, giacché segni probanti di simili credenze sono stati individuati fin dall’età preistorica. Basterà ricordare, qui, soltanto il sito archeologico di Šanidar, nel Kurdistan nord-orientale, oggi Iraq. Dagli scavi sono emersi resti umani di Neanderthal, uno più anziano e uno più giovane, cui sono state riservate sepolture rituali, databili intorno ai settantamila anni fa, che fanno inevitabilmente suppore una concezione trascendente della vita dopo la morte(2).

Con il trascorrere dei secoli, le culture del Mediterraneo, ma anche quelle dei continenti asiatico, africano e americano si preoccuparono di descrivere in maniera sempre più puntuale le modalità e gli scenari che l’anima avrebbe incontrato una volta lasciato questo mondo.


Pesa delle anime, dal Libro dei morti (epoca tolemaica, IV-I secolo a. C.); Torino, Museo egizio.

Pochi esempi sono sufficienti per capire che questa esigenza è stata ed è comune a tutte le civiltà, a cominciare da quella egizia che ha codificato in un vero e proprio trattato (il cosiddetto Libro dei morti) quale doveva essere il destino dell’anima, definita “ka”, alla quale, com’è noto, era imposto di passare dalla prova della pesa del cuore, sede dell’anima, in presenza del dio Osiride. Quando il dio Tot poneva sull’altro piatto della bilancia una piuma di struzzo - simbolo della dea della Giustizia, Maat, perché si pensava che quelle penne fossero tutte uguali -, se tutto rimaneva in equilibrio, il defunto poteva entrare nel regno dei morti; in caso contrario, sarebbe stato condannato a vagare senza posa nell’aldilà(3).

Del resto, la “psicostasia”, questo il nome tecnico della “pesa”, è comune anche ad altre religioni, da quella cristiana, dove il compito è affidato a san Michele arcangelo, fino all’Islam, dove nella sura CI del Corano si può leggere: «Allora quei che avrà pesanti le bilance avrà dolce la vita; Allora chi avrà leggere le bilance, avrà per madre l’Abisso»(4). In un modo o nell’altro, poi, le varie credenze religiose si spinsero nella descrizione, per dir così, geografica del mondo ultraterreno, non di rado, “incastrato” nella realtà di quello fisico. Si pensi, allora, alla mitologia dei popoli dell’Europa settentrionale, giunta fino a noi con i Canti dell’Edda, scritti dal poeta norvegese Snorri Sturluson in pieno XIII secolo, ma figli di una tradizione ben più antica che aveva una concezione originale del cosmo. «Al centro dell’Universo sorgeva […] un gigantesco frassino, chiamato Ygdrasil. Era l’albero della vita contro il quale nulla poteva la forza disgregatrice del gelo. Le sue fronde, sempreverdi, si elevavano fino al Cielo e ombreggiavano il Walhalla che […] era la sede degli dèi. L’albero aveva tre radici: la prima era proiettata verso il Nord (Nifelheim) ove era il nebbioso regno di Hel, la dèa che custodiva i morti […] La seconda radice si estendeva verso Jotunheim, il paese dei giganti, eterni nemici degli dei […] La terza radice, infine, si spingeva fino a Midgard, un castello fatto con le ciglia del gigante mostruoso Ymir, sede degli uomini»(5). Gli esempi si potrebbero moltiplicare, poi, dalla corte celeste del pantheon cinese che fedelmente ricalca quella terrena, al punto che le entità incaricate di condurre le anime nell’aldilà sono perfino dotate di “regolare mandato” come i funzionari di questo mondo, fino alla visione del Giappone scintoista che contrappone la solare dea Amaterasu al Paese delle tenebre(6). In tutto questo ampio, variegato panorama teologico, la gigantesca lezione poetica di Dante si staglia come una poderosa e coerente costruzione intellettuale in grado di produrre un impatto importante sull’immaginario collettivo, soprattutto della cultura occidentale, avendo ispirato, dal XIV al XX secolo, capolavori di tutte le epoche.


Ygdrasil, dall’Edda oblongata (XVII secolo); Reykjavík, Institut Árni Magnússon, ms. AM 738 4to, f. 42v.

Shunsai Toshimasa, Amaterasu esce dalla caverna per illuminare la terra (1887).

(1) In questo periodo c’è stata un’esplosione di pubblicazioni e d’iniziative per ricordare e studiare Dante Alighieri. Qui piace citare la riflessione di Aldo Cazzullo: «L’Italia ha questo di straordinario, rispetto alle altre nazioni. Non è nata dalla politica o dalla guerra. Non da un matrimonio dinastico, non da un trattato diplomatico. È nata dalla cultura e dalla bellezza. Dai libri e dagli affreschi. È nata da Dante e dai grandi scrittori venuti dopo di lui […] è nata dagli altri artisti che da Dante furono ispirati nel ritrarre il Bene e il Male, il Paradiso e l’Inferno, la grandezza dell’uomo e l’abisso della sua perversione» (A riveder le stelle. Dante il poeta che inventò l’Italia, Milano 2020, p. 3).

(2) A. Leroi-Gourhan, Rites et langage à Shanidar?, in “Bulletin de la Société préhistorique française”, 97, 2, 2000, pp. 291-293.

(3) Si veda: Il Libro dei Morti degli Antichi Egizi. Papiro di Torino, a cura di B. De Rachewiltz, Roma 1986. La formula per entrare nella stanza della Verità e Giustizia è al capitolo CXXV (pp. 100-104).

(4) Sura CI, Al Qari’ah, vv. 6-11. La traduzione è in Il Corano, a cura di A. Bausani, III ed., Milano 1997, p. 485. Per san Michele: E. Federico, s.v. Michele, Arcangelo, Santo, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, VIII, Roma 1997, pp. 354-359.

(5) Miti e leggende del Medioevo, a cura di D. Novacco, Roma 1976, pp. 23-24.

(6) I miti dell’Oriente, a cura di M.[ario] Bussagli, Roma 1976, pp. 116 e 185.

DANTE E LE ARTI
DANTE E LE ARTI
Marco Bussagli
Occuparsi di Dante Alighieri (Firenze 1265 - Ravenna 1321) significa, potenzialmente, mettere mano all’intero corpo dei saperi medievali; spaziare fra lingua, letteratura, teologia, storia e scienza; confrontarsi – sul piano artistico – con opere e artisti che vanno dal Trecento alla contemporaneità. Una mole enorme di materiali che in vario modo popoleranno mostre, eventi, pubblicazioni in questo 2021 che vede celebrare a livello mondiale il settimo centenario di un poeta che è stato un vero crocevia culturale. In particolare, la sua Divina commedia è debitrice nei confronti della tradizione iconografica precedente la sua realizzazione (non solo di arte occidentale), e a sua volta ha influenzato o ispirato artisti di ogni epoca. Ci troviamo così di fronte a un percorso che va dai mosaicisti del battistero fiorentino a Giotto, da miniatori come Oderisi da Gubbio a Pietro Cavallini fino a Botticelli, Michelangelo, Blake, Dalí e oltre.