LA DIVINA COMMEDIA
ILLUSTRATA

Il primo passo per capire come il capolavoro di Dante abbia influito sullo sviluppo del mondo artistico non può essere che quello di partire da una breve ricognizione sulle varie illustrazioni del poema, nate dopo il 1321, all’indomani della prima edizione manoscritta che concluse felicemente (se non fosse che l’anno coincide con la morte dell’autore) una lunga gestazione letteraria.

Fu il desiderio di penetrare il profondo significato del poema a spingere verso il proliferare di scritti esegetici, iniziati subito dopo la scomparsa del grande poeta. Furono i figli, infatti, a diffondere tanto l’ultima cantica rimasta ignota fino a quella data (perché ancora in fase di elaborazione nel corso del forzato esilio a Ravenna, ospite del podestà Guido Novello da Polenta) quanto i primi commenti, a cominciare da quello di Jacopo Alighieri (fratello di Pietro, Giovanni e Antonia) che si lanciò, già nel 1322, in un’interpretazione scritta in latino dell’Inferno. Fu l’inizio di un percorso esegetico che, già nel corso dei primi decenni, moltiplicò le riflessioni letterarie sul poema, di cui alcune più che blasonate, come quelle di Giovanni Boccaccio e di Cristoforo Landino che fecero da bordone all’edizione della Commedia illustrata da Botticelli, su cui torneremo tra breve. Certo è che l’esercizio di chiosa, più o meno approfondito, al testo delle cantiche contribuì allo stimolo per immaginare scene e forme che la potente lirica dantesca aveva scolpito con le parole. Anche prima dell’edizione a stampa, l’opera di Dante assunse da subito il profilo di un’opera accolta con uno straordinario favore come dimostrano gli oltre settecento manoscritti databili fra il XIV e il XV secolo che, giustamente, Armando Petrucci definiva del «libro-registro di lusso», ossia testi importanti che appartenevano alla fascia alta dei beni di lusso, quella per i ceti abbienti(14).

Il primo manoscritto a noi pervenuto corredato d’illustrazioni (solo tre in tutto) marginali, come quella che mostra l’incontro fra Dante e Catone che apre il primo canto del Purgatorio, è il codice della Biblioteca trivulziana di Milano (ms. Triv. 1080) redatto, fra il 1337 e il 1338, da ser Francesco di ser Nardo da Barberino, un notaio di è cui documentata l’attività come copista di Dante. La miniatura attribuita al Maestro delle Effigi Domenicane si sviluppa a pie’ di pagina (f. 36r) e già denuncia lo sforzo di aderire alla descrizione del poeta che così si riferisce all’Uticense: «Vidi presso di me un veglio solo / Degno di tanta reverenza in vista, / Che più non dee a padre alcun figliolo»(15)

Il pittore, infatti, concepì un personaggio autorevole, con una “paenula” indosso che gli copre il capo, la barba bianca dinanzi al quale il poeta, accompagnato da Virgilio, s’inchina. Con il passare del tempo e il costituirsi di una tradizione miniata, le scene presero via via più campo nei codici manoscritti.

Così, si assiste a una sorta di progressione se nel codice 44 G 3 (Rossi 5) della Biblioteca dell’Accademia nazionale dei lincei e corsiniana di Roma, databile fra il 1355 e il 1360, la scena occupa tutta la parte superiore della pagina, come nel caso del foglio 63r la cui miniatura illustra l’incontro di Dante e Beatrice nel passaggio intermedio fra purgatorio e paradiso, dove il poeta scrive: «Beatrice tutta ne l’etterne rote / fissa con li occhi stava; e io in lei / le luci fissi, di là sù rimote»(16). L’interpretazione iconografica è assai interessante perché Beatrice indossa una casta veste bianca diaconale decorata in oro e l’«etterne rote» sono rese con l’immagine di Cristo in gloria fra fiammeggianti cherubini che interpretano bene pure il riferimento al sole (metaforico e spirituale) dei versi precedenti. Che si debbano interpretare come cherubini (e non come serafini) dipende proprio dal verso di Dante che con quella espressione si riferisce al passo della visione di Ezechiele e alle «ruote» che affiancavano quel coro angelico.

Ancora alla metà del Trecento può essere datato uno dei codici più belli realizzati in questo torno di tempo, oggi da buona parte della critica attribuito niente meno che a Pietro Lorenzetti. Conservato a Perugia (Biblioteca augusta, ms. L 70), stupisce per trentatre magnifiche miniature a tutta pagina cui dovette lavorare anche Bartolomeo di Fruosino, vicino ai modi di Lorenzo Monaco. Ancor più ricco è il codice della Biblioteca angelica di Roma, ms. 1102, che contiene solo le prime due cantiche e ben centoquarantasei miniature perimetrate entro riquadri e cornici che le isolano dal resto della pagina: qui, però, siamo ormai quasi al XV secolo(17).


Pietro Lorenzetti (attribuito), Dante si perde nella «selva oscura» (1336-1445); Perugia, Biblioteca augusta, ms. L 70, f. 1v.

Il più celebre corpus dantesco nell’ambito della produzione manoscritta, sebbene limitato alle sole illustrazioni, è però sicuramente quello costituito dai novantadue disegni su pergamena di Botticelli, che gli furono commissionati da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici. Si sa, infatti, che il cugino del Magnifico aveva dato l’incarico al copista Niccolò Mangona di scrivere il testo e al Filipepi quello di realizzare le illustrazioni, una per ogni canto, oltre alla prima con lo spaccato dell’inferno. Questa è l’unica a essere stata completata con la preziosa coloritura a tempera. Le altre - salvo due che hanno una preparazione parziale e una terza, quella con le «Malebolge» portata quasi a finitura - sono realizzate a punta d’argento poi ripassate a penna, con alcune finiture in oro, in attesa di essere ultimate con i colori che, però, non furono mai stesi(18).

Al di là della bellezza delle pergamene di Botticelli, la loro importanza risiede nel fatto che funsero da modello per la traduzione incisoria dell’orafo e niellatore Baccio Baldini, le cui stampe contribuirono non poco alla diffusione del modello dantesco. A partire dal 1472, quando compare l’“editio princeps” della Commedia, ci si avvia a grandi passi verso le edizioni a stampa del poema, ma prima bisogna ricordare le centodieci miniature del codice Yates Thompson 36 conservato a Londra (British Library) di cui quelle dell’Inferno e del Purgatorio sono ormai attribuite al Vecchietta, mentre quelle del Paradiso sono dipinte da Giovanni di Paolo con invenzioni fantasmagoriche come quella del foglio 162r con l’Aquila divina formata da volti che alludono alla miriade di anime cantate dal poeta(19).

Baccio Baldini, Lucifero e le Malebolge (1481); New Haven, Yale University Library.


Sandro Botticelli, Lucifero (1480-1481), particolare; Berlino, Staatliche Museen, Kupferstichkabinett.

Non si può, in questo rapido excursus sulle edizioni della Commedia, non accennare poi, sia pure con un grande salto cronologico, al corpus d’incisioni di Tommaso Piroli stampate nel 1793 su disegni dello scultore inglese John Flaxman, recentemente scoperti grazie alle ricerche di Francesca Salvadori. Votati alla purezza della linea, disegni e stampe ebbero il plauso di Ingres e, certo, rappresentarono un ideale e un esempio di purezza neoclassica che costituisce un unicum nella storia delle illustrazioni del poema. Scelte assai diverse da quelle di Gustave Doré che, nel 1861, diede alle stampe l’edizione illustrata più celebre dell’età moderna. Le incisioni assai chiaroscurate del maestro francese, per l’aderenza al testo, il potente impatto visivo, la suggestione e la monumentalità, vanno considerate quelle che meglio interpretano lo spirito visionario del poema e soddisfano il nostro immaginario collettivo, con invenzioni grafiche straordinarie come nel caso della figura di Minosse, oppure di Farinata degli Uberti(20). Neanche il XX secolo riuscì a sottrarsi al fascino del poema, con varie edizioni stimolate anche dall’esegesi della critica letteraria più raffinata. Fra queste corre l’obbligo di ricordare quella del 1901 illustrata da Alberto Giacomo Spiridione Martini e la più recente di Salvador Dalí che nel 1957 iniziò a lavorare a una serie di opere dedicate al poema dantesco che poi vennero tradotte in litografie ed ebbero un notevole successo commerciale, come d’altra parte quelle di Renato Guttuso.

Un discorso a parte va fatto per L’inferno di Topolino, ossia la parodia Disney dell’Inferno dantesco che fu pubblicata dal numero 7 al 12 del “Topolino” italiano edito da Mondadori, la quale occupò l’interesse di lettori e appassionati dall’ottobre 1949 al marzo 1950. Gli autori erano Guido Martina, lo sceneggiatore che inventò, oltre ai dialoghi, un intreccio di didascalie in endecasillabi che accompagnano tutta la storia, e il disegnatore Angelo Bioletto. L’impresa va considerata come uno dei capolavori del fumetto italiano. Infine, piace ricordare le affascinanti tavole che il grande fumettista francese Jean Giraud - recentemente scomparso -, con il celebre pseudonimo di Moebius, dedicò nel 1999 al Paradiso di Dante(21).


Giovanni di Paolo, L’Aquila divina (1444-1450); Londra, British Library, ms. Yates Thompson 36, f. 162r.

Gustave Doré, Farinata degli Uberti (Inferno, X, 79-81), dall’edizione della Divina commedia apparsa a Milano nel 1868.


Alberto Giacomo Spiridione Martini, Caron dimonio (Inferno, III, 84-111), dall’edizione della Divina commedia pubblicata a Firenze nel 1920-1930; Oderzo (Treviso), Fondazione Oderzo cultura.


Jean Giraud, detto Moebius, Dante e Beatrice, in Le Paradis, Parigi 1999.

Tommaso Piroli, Bertram del Bornio (Inferno, XXVIII, 112-142; Roma, 1793) da un disegno di John Flaxman.


Guido Martina e Angelo Bioletto, L’inferno di Topolino, in “Topolino”, Milano 1949, pp. 34-35.

(14) A. Petrucci, Il libro manoscritto, in Letteratura italiana. Produzione e consumo, a cura di A. Asor Rosa, II, Torino 1983, pp. 499-524.

(15) Purgatorio, I, 31-33. Oggi si tende a sovrapporre l’attività del Maestro delle Effigi Domenicane con quella del Maestro del Biadaiolo e Pacino di Bonaguida: L. B. Kanter, Maestro delle Effigi Domenicane, in Dizionario Biografico dei Miniatori Italiani. Secoli IX-XVI, a cura di M. Bollati, Milano 2004, p. 561.

(16) Paradiso, I, 64-66. Anche qui sono poche le miniature, solo tre per tutto il codice, ai fogli 1r, 32r, 63r. L’area di produzione è ricondotta all’Aretino. Si veda: A. Petrucci, Catalogo sommario dei manoscritti del fondo Rossi, Roma 1977, pp. 4-5, tavv. XXVI, XXIX; L. Miglio, Il codice Corsiniano Rossi 5, in “Studi Danteschi”, LIII, 1981, pp. 242-271.

(17) Sul manoscritto romano: La Divina Commedia. Manoscritto 1102 della Biblioteca Angelica di Roma: commentarii all’edizione facsimile, a cura di M. Medica, C. Illuminati, F. Terlizzi, Rimini 2017. Sul codice di Perugia: G. Chelazzi Dini, Scheda n. 81, in Il gotico a Siena: miniature, pitture, oreficeria, oggetti d’arte, catalogo della mostra (Siena, Palazzo pubblico, 24 luglio-30 ottobre 1982), Firenze 1982, pp. 269-271. Per la visione di Ezechiele e il riferimento alle «ruote»: Ezechiele, X, 6-11.

(18) Il corpus botticelliano è diviso in due collezioni, quella del Kupferstichkabinett di Berlino, che possiede ottantacinque pergamene, e quella della Biblioteca apostolica vaticana che ne ha sette. Sull’opera dantesca del Filipepi: La Divina Commedia / Dante Alighieri; istoriata da Sandro Botticelli con un proemio di Giovanni Boccaccio, a cura di I. Del Lungo, D. Mattalia, V. Saltini, A. Venturi, Milano 1981-1982.

(19) La visione dell’Aquila sta in: Paradiso, XIX, 1-12. Sulla miniatura di Giovanni di Paolo: J. Pope-Hennessy, Paradise, Londra 1993, trad. it. Paradiso. Il Paradiso di Dante miniato da Giovanni di Paolo, Milano 1993, p. 50. Sul codice Yates Thompson 36: L. Miglio, s.v. Dante Alighieri, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, V, cit., Roma 1994, p. 634. Giova ricordare che il XVII secolo fu avaro di edizioni del poema dantesco: F. Samarini, La Commedia di Dante nell’editoria del Seicento, in “Italian Studies”, 73, 2018, pp. 240-256.

(20) Gli episodi di Minosse e di Farinata sono descritti rispettivamente in Inferno, V, 4-20 e Inferno, X, 31-33. Tutte le illustrazioni di Doré stanno in: Doré. La Divina Commedia di Dante Alighieri, a cura di E. Camerini, Milano 2013. Per l’opera di John Flaxman: La Divina Commedia illustrata da Flaxman, a cura di F. Salvadori, Milano 2004.

(21) Sul panorama dei fumetti: M. Bussagli, Fumetti, Milano 2003.

DANTE E LE ARTI
DANTE E LE ARTI
Marco Bussagli
Occuparsi di Dante Alighieri (Firenze 1265 - Ravenna 1321) significa, potenzialmente, mettere mano all’intero corpo dei saperi medievali; spaziare fra lingua, letteratura, teologia, storia e scienza; confrontarsi – sul piano artistico – con opere e artisti che vanno dal Trecento alla contemporaneità. Una mole enorme di materiali che in vario modo popoleranno mostre, eventi, pubblicazioni in questo 2021 che vede celebrare a livello mondiale il settimo centenario di un poeta che è stato un vero crocevia culturale. In particolare, la sua Divina commedia è debitrice nei confronti della tradizione iconografica precedente la sua realizzazione (non solo di arte occidentale), e a sua volta ha influenzato o ispirato artisti di ogni epoca. Ci troviamo così di fronte a un percorso che va dai mosaicisti del battistero fiorentino a Giotto, da miniatori come Oderisi da Gubbio a Pietro Cavallini fino a Botticelli, Michelangelo, Blake, Dalí e oltre.