Grandi mostre. 4
I MARMI TORLONIA A ROMA

LA
COLLEZIONE

DELLE
COLLEZIONI

DA DOVE PARTIRE PER ILLUSTRARE L'ENORME PATRIMONIO DI SCULTURE ANTICHE DEI TORLONIA, FRUTTO DI ACQUISIZIONI PROVENIENTI DA ALTRE NOTE RACCOLTE E DA SCAVI COMPIUTI NELLE MOLTE RESIDENZE DELLA NOBILE FAMIGLIA ROMANA? NE ABBIAMO SCELTE ALCUNE TRA QUELLE ESPOSTE A VILLA CAFFARELLI.

Sergio Rinaldi Tufi

Eutidemo I di Battriana, chi era costui? Parafrasiamo questa celebre frase dei Promessi sposi (pronunciata da don Abbondio che si chiede chi fosse Carneade, filosofo greco noto agli studiosi ma ignoto ai più) per introdurre una delle più intriganti fra le novantadue sculture restaurate esposte nella mostra I marmi Torlonia. Collezionare capolavori aperta a Roma a villa Caffarelli, primo passo della risistemazione di una delle più importanti raccolte private di arte antica (seicentoventi opere). Anche Eutidemo in effetti è conosciuto dagli specialisti, ma non è proprio sulla bocca di tutti. 

La Battriana (attuale Afghanistan settentrionale) era uno dei territori occupati da Alessandro Magno nella sua avanzata verso Oriente, e divenuti, dopo la dissoluzione del suo impero, “regni indo-greci”, luoghi di cultura mista, classica e orientale. Ne fu re, fra 230 e 195 a.C., proprio Eutidemo, greco di Magnesia. 

Il ritratto individuato come Eutidemo apparteneva alla secentesca collezione Giustiniani, che fu acquistata dal principe Alessandro Torlonia nel 1816 e collocata nel museo di famiglia in via della Lungara a Roma, inaugurato nel 1876. Si approntò anche un grande catalogo in più edizioni a opera di Pietro Ercole e Carlo Lodovico Visconti: nell’ultima (1885) comparivano “storiche” fototipie. 

La testa, che era stata inserita in un busto non pertinente, raffigura un uomo di età avanzata, che indossa un particolare cappello a larghe tese. Espressione concentrata, impietose rughe sulla fronte, sul collo, sulle guance: dopo prime definizioni un po’ sprezzanti («un villano», anche per quello strano copricapo), si fece largo l’identificazione con Eutidemo. Si conoscono numerose monete che raffigurano il re a varie età: quelle senili erano state confrontate con la nostra testa, e il cappello era stato interpretato come copricapo da cerimonia. L’identificazione, recentemente discussa, è stata poi di nuovo ritenuta plausibile. In quest’opera al confine fra il classico e l’esotico, illustrata nel catalogo dell’attuale esposizione romana da Stefania Tuccinardi, sono presenti tutti gli ingredienti dell’antiquaria: provenienza oscura, acquisti e cessioni, restauri e “pastiches”, cambiamenti di sedi, discussioni accanite a cui manca sempre qualche elemento decisivo. 

Eutidemo è il numero due della mostra, e il tre è il Vecchio da Otricoli (provenienza indicata nel catalogo con fototipie del 1885, ma non sicurissima), noto anche come Busto Torlonia. Troviamo qui un verismo ancor più spietato di quello dell’Eutidemo: naso gibboso, mento prominente, rughe profonde. L’aristocrazia romana di età repubblicana, in genere di origine terriera, non disdegnava che si esibissero gli effetti sulla pelle di una vita di duro lavoro nei campi. 

Nel museo Torlonia il Vecchio era “adattato” a raffigurare Galba (successore di Nerone nel 69 d.C.) in un sbalorditiva serie di centodieci ritratti di imperatori. Non era stato mai esposto vicino all’Eutidemo finché non ci hanno pensato, ora, Salvatore Settis e Carlo Gasparri, curatori della mostra (Gasparri fra l’altro fu il primo a visionare pezzo per pezzo la collezione dopo la chiusura di quarant’anni di cui parla qui Fabio Isman alle pp. 74-77). 

Con Laura Buccino, altra autrice del catalogo espositivo, torniamo nell’ambito della ex Giustiniani, e troviamo un’altra situazione singolare, e cioè una “coppia” che passa da una collezione all’altra. Si tratta di due copie (una delle quali sapientemente restaurata da Pietro Bernini) delle tante che furono eseguite in età romana della Afrodite al bagno. L’originale, oggi perduto, era opera di un noto scultore originario della Bitinia, Doidalsas, del III secolo a.C.: nella figura accovacciata (posa che assumevano per il bagno le dame delle classi elevate, in modo che le ancelle potessero versare l’acqua dall’alto) la sensualità dell’incarnato, lo schema compositivo piramidale sono espressione di una ricerca del raffinato e del peculiare propria dell’età ellenistica.


TROVIAMO QUI UN VERISMO ANCOR PIÙ SPIETATO: NASO GIBBOSO, MENTO PROMINENTE, RUGHE PROFONDE


Statua di caprone, corpo (fine del I secolo d.C.), testa attribuita a Gian Lorenzo Bernini (1598–1680), dalla collezione Giustiniani. Questa e le altre opere qui riprodotte fanno parte della collezione Torlonia.

Ritratto maschile, detto Eutidemo di Battriana (fine III - inizi II secolo a.C.), dalla collezione Giustiniani.


Ritratto maschile su busto moderno, detto Vecchio da Otricoli (50 a.C. circa).

Famoso è anche il Caprone, sempre dalla Giustiniani. Rinvenuto forse in una villa di età romana, fu sottoposto a un “restauro d’autore”: come il padre Pietro aveva lavorato su una delle due statue di Afrodite di cui si è appena detto, così il grande Gian Lorenzo Bernini, ancora ventiduenne (1620), rifece ex novo la testa dalle lunghe corna, quasi umanizzandola. L’arricciarsi del pelame nella parte alta e il suo spiovere lungo le gote e sotto il mento sono un saggio, squisitamente barocco, di perizia tecnica, ma tutto è ravvivato dal taglio e dall’espressione dei grandi occhi, che nel catalogo espositivo Tomaso Montanari pone a confronto (per la resa dell’iride e della pupilla) con quelli del ritratto di Camilla Barbadori Barberini scolpito dallo stesso Gian Lorenzo nel 1619, oggi a Copenaghen. 


UN GRANDE NETTUNO, UNA FIGURA DI BACCO E UN ENORME OCCHIO APOTROPAICO, SIMBOLO CARO ALLA GENTE DI MARE


Come sottolineano Settis e Gasparri, la raccolta è una “collezione di collezioni”, e fra queste è particolarmente significativa quella di Bartolomeo Cavaceppi, complessa figura di scultore, copista e mercante del Settecento, amico di Winckelmann, restauratore a Roma di numerose opere dei Musei capitolini. Morì nel 1799 lasciando in eredità all’Accademia nazionale di San Luca il suo studio pieno di copie, calchi, restauri in corso: furono messi all’asta l’anno dopo e acquistati da Giovanni Torlonia. Fra le testimonianze del gusto di Cavaceppi, ma anche del nuovo proprietario, ricordiamo (rinvenuto sulla via Appia) un grande bacino marmoreo, frutto di sapienti montaggi, restauri, integrazioni. In gran parte originale (I secolo a.C.) è l’elegante fregio raffigurante le fatiche di Ercole. 

Oltre alle collezioni, a fornire opere da esporre contribuirono anche scavi eseguiti nei tantissimi terreni della famiglia Torlonia. Spicca un celebre rilievo marmoreo rinvenuto dal principe Alessandro nell’area del porto di Traiano a Fiumicino: raffigura proprio una nave che si prepara all’approdo, mentre un’altra l’ha preceduta e una scialuppa la affianca da poppa. È raffigurato un faro: era famoso quello del preesistente porto di Claudio, ed è perciò qui che la scena si ambienta. A poppa compiono una libagione (assistiti da un addetto) un personaggio maschile e uno femminile, in cui si ravvisano elementi propri dei ritratti di Settimio Severo e soprattutto dell’autorevole moglie Iulia Domna (pettinatura con scriminatura centrale e ampie bande ondulate che incorniciano il volto): forse la scena raffigura il ritorno dell’imperatore dal viaggio compiuto nel 204 d.C. nella provincia natia, l’Africa Proconsolare. Al di là delle navi, domina la scena un arco monumentale sormontato da una quadriga trainata da elefanti: elemento che agli antichi doveva indicare l’ubicazione, ma che a noi purtroppo non rivela molto. Una serie di figure allegoriche o divine compare qua e là (Bianchi Bandinelli parlava di dissolvimento del tessuto logico della rappresentazione): un grande Nettuno, una figura di Bacco (allusioni forse a culti praticati in edifici presso l’approdo) e soprattutto, ancor più scollegato dal contesto narrativo, un enorme occhio apotropaico, simbolo caro, però, alla gente di mare. 

Abbiamo selezionato alcuni esempi, ma speriamo che le visite (interrotte a causa del Covid) possano essere riprese per verificare non solo la consistenza di questa prima robusta tranche della collezione, ma anche le tappe della sua formazione, ben individuabili nell’allestimento di David Chipperfield Architects. Si parte con i pezzi che erano nel museo Torlonia per risalire a quelli provenienti dalla collezione Giustiniani, e così via: un viaggio all'indietro nel tempo che si snoda attraverso gli ambienti di villa Caffarelli efficacemente restaurati dopo lunga chiusura. Sarà questa la sede definitiva? Il futuro non è del tutto chiaro, e le incertezze partono dal passato: anche su questi temi ci racconta molte cose Fabio Isman.


Bassorilievo con veduta del Portus Augusti (200 d.C. circa).


Statua di Meleagro, testa (metà I secolo d.C.) corpo (età imperiale), particolare, dalla collezione Giustiniani.

Gruppo di sculture restaurate: in primo piano, Cariatide del tipo Eleusi, verosimilmente rinvenuta a Monte Porzio (40-50 d.C.), dallo Studio Cavaceppi; sullo sfondo, Statua di caprone, corpo (fine del I secolo d.C.), testa attribuita a Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), dalla collezione Giustiniani.


Veduta dell’esposizione romana con alcuni ritratti restaurati per l’occasione.

I marmi Torlonia. Collezionare capolavori

a cura di Salvatore Settis e Carlo Gasparri
Roma, Musei capitolini, villa Caffarelli
fino al 29 giugno
catalogo Electa
www.torloniamarbles.it

ART E DOSSIER N. 385
ART E DOSSIER N. 385
MARZO 2021
In questo numero: IN MOSTRA: Signac a Parigi; La collezione Ramo a Houston; Olmechi a Parigi. MARMI DI TORLONIA: Vita complicata di una grande collezione. COSA CI DICE IL VOLTO: Della Porta e la fisiognomica; il filosofo di Porticello; gli autoritratti di Francesca Woodman. CONTEMPORANEI TRANSNAZIONALI: Le non-sculture di Lee Seung-Taek, Alighiero Boetti e Salman Ali. Direttore: Claudio Pescio