LETTURE ICONOLOGICHE
LE STORIE DI GIUNONE E GIOVE DI ANDREA APPIANI

le trappole
dell’eros
coniugale

I QUATTRO DIPINTI DEL CICLO LE STORIE DI GIUNONE E GIOVE, REALIZZATI DA ANDREA APPIANI PER CELEBRARE IL MATRIMONIO TRA NAPOLEONE E MARIA LUISA D’AUSTRIA, OFFRONO UNA DUPLICE INTERPRETAZIONE DEL TEMA DELLA SEDUZIONE E DELL’AMORE CONIUGALE.

Enrico De Iulis

Alla morte di Andrea Appiani nel 1817, nelle Carte Reina, una sorta di catalogo dei lavori di Appiani che ancora si trovavano nel suo studio al momento del decesso, era menzionato un gruppo di quattro dipinti a olio delle stesse dimensioni, raffiguranti Le storie di Giunone e Giove. Si smembrerà di lì a pochi anni e percorrerà strade diverse. La toletta di Giunone verrà acquistata da Paolo Tosio nel 1830 e attualmente rappresenta uno dei capolavori del XIX secolo della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia. 

Il suo pendant, Venere allaccia il cinto a Giunone, riapparirà nel 1982 in una collezione privata. 

Dei due dipinti, fortemente incompleti, raffiguranti Gli amori di Giove e Giunone e Il sogno di Giove, non si conosce il percorso intrapreso da quando vennero espunti dalle Carte Reina, ma sappiamo che le prime tre tele vennero messe a confronto nella mostra Antonio Canova e il suo tempo realizzata nel 2009 in occasione della XXII edizione di Brixiantiquaria a Brescia. Nel 2015 Francesco Leone riuscirà a trovare il quadro mancante (Il sogno di Giove) nella collezione Cavallini Sgarbi, rirpodotto poi nel catalogo della mostra dedicata alla stessa collezione nel 2018. 

L’ubicazione originaria del ciclo è chiarita nelle Carte da Francesco Reina. Il letterato e politico italiano dichiara negli stessi documenti che la serie era stata pensata per il Gabinetto dell’imperatore a celebrazione del matrimonio tra lo stesso Napoleone e Maria Luisa d’Austria, contratto nel 1810. 

L'iconografia delle quattro tele è il punto su cui soffermarsi perché mostra questioni iconologiche assai interessanti e inusuali. 

Nella Toletta di Giunone, Appiani adotta un’iconografia totalmente pertinente, in realtà, alla sfera venusiana: le stesse Grazie sono parte del mondo collegato a Venere. È raffigurato Eros che agita un drappo e una stella che ha doppia lettura: può raffigurare Vespero come prima stella della sera o Lucifero come ultima stella della notte a essere visibile nel cielo prima che l’aurora illumini la volta celeste, le due valenze del pianeta Venere. Giunone, al contrario, non è mai rappresentata con una stella come attributo e raramente è raffigurata assieme alle Grazie. In una scena di toletta, mai. Si tratta di una sostituzione, una sovrapposizione delle due dee che potrebbe rintracciarsi nei "desiderata" della committenza. Le quattro immagini rappresentate da Appiani traggono spunto dal XIV canto dell’Iliade in cui viene narrato di come Era (la romana Giunone, appunto), attraverso un inganno, chiede ad Afrodite/ Venere il suo cinto in grado di sedurre ogni essere vivente, compreso un dio. L’oggetto servirà a Era per riaccendere la passione di Zeus, al fine di distrarlo dagli scontri che infuriavano sotto le Porte Scee (le porte della città di Troia). La seduzione come arma strategica.


Le opere riprodotte in questo articolo fanno parte del ciclo Le storie di Giunone e Giove (1810 circa) di Andrea Appiani. La toletta di Giunone, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo.


Venere allaccia il cinto a Giunone.

VENERE ALLACCIA IL CINTO A GIUNONE RACCONTA IL MOMENTO IN CUI IL POTERE DELLA SEDUZIONE VIENE PASSATO DA UNA DEA ALL’ALTRA


In quest’ottica il quadro di Brescia avrebbe dovuto instradare il fruitore in un’atmosfera di intenzioni seduttive, una temperie sensuale a cui Giunone risulta aliena ma a cui può avvicinarsi sovrapponendole l’ambito più caro a Venere. 

Il dipinto Venere allaccia il cinto a Giunone racconta proprio il momento in cui il potere della seduzione viene passato da una dea all’altra. Mentre Gli amori di Giove e Giunone descrive Era che seduce Zeus: è una scena molto intima con una dea erotica come mai si ripeterà in tutta la mitografia classica. L’ultimo quadro della serie di committenza napoleonica vede Giove in un sonno ristoratore, strettamente collegato alla spossatezza e all’appagamento dei minuti successivi all’incontro intimo con sua moglie. Eros è raffigurato a rappresentare l’ambito amoroso, mentre la figura non finita a destra suona una lira ma non è da riconoscere come Apollo, bensì come la terza Ora o una musa. L’acconciatura infatti, seppur accennata, è una treccia raccolta sulla nuca, già sfoggiata dalle figure femminili degli altri quadri, non la chioma riccioluta e sciolta dell’Apollo della lunetta del Parnaso dello stesso autore, mentre il busto è solo accennato al punto da non poter rendere chiara la visione di un eventuale seno o di un torso maschile. 


GIOVE IN UN SONNO RISTORATORE, DOPO L’APPAGAMENTO DEI MINUTI SUCCESSIVI ALL’INCONTRO INTIMO CON SUA MOGLIE


La destinazione delle opere ci permette di individuare un secondo piano di significato dell'intero apparato. Il ciclo, nonostante l’apparente tema amoroso di coppia, non è destinato alle stanze private degli sposi, ma al Gabinetto dell’imperatore che amava essere rappresentato come un novello Giove. La chiave di lettura potrebbe essere allora quella del monito, del non cedere totalmente alle lusinghe di una moglie troppo seducente a scapito della vigilanza e del governo. Un doppio binario iconologico (politico e matrimoniale), in cui accanto alla fantasia di una moglie disciplinata ma eroticamente attiva, si sottende una raccomandazione a non cadere nelle trappole che l’eros coniugale può far scattare, pena una non piena lucidità riguardo alla situazione politica, quella stessa lucidità che Giove perde nell’Iliade, distratto dagli intenti di Giunone avversa ai troiani. 

Un’ultima interessante notazione si aggiunge alla luce di quello che sappiamo essere stato l’apparato decorativo del Gabinetto di Napoleone preesistente al 1810, data presunta dei quattro dipinti. In una nota di Reina è riportato: «Le lunette di palazzo dovevano essere due: l’una della mattinata di Giove beato (opera finita meravigliosamente). L’altra Apollo citaredo». 

Le lunette in questione sono andate distrutte, ma sappiamo che erano state concepite come sovrapporta del Gabinetto. 

Una parola di Reina, «mattinata», può essere la chiave di una seconda lettura di una rappresentazione delle fasi del giorno. Tre dei quattro dipinti, infatti, portano al loro interno un chiaro riferimento a una parte della giornata, lasciandoci anche azzardare una ipotesi di disposizione all’interno della stanza. 

Nell’incontro tra Giunone e Venere, in alto a sinistra, passa Aurora col suo chiarore sotto al manto gonfiato dal vento, nella Toletta di Giunone, Venere campeggia nel cielo sotto le spoglie della stella Vespero, la prima stella della sera. Infine Il sogno di Giove ci mostra un dio completamente addormentato su uno sfondo di nubi notturne. Inoltre nella lunetta di Apollo citaredo, nota attraverso un disegno preparatorio conservato alla Galleria d'arte moderna di Milano, la sera è chiaramente evocata dal riposo delle Grazie assise e dal sopimento di Amore. 

Il meriggio rimarrebbe inserito negli Amori di Giove e Giunone attraverso la finestra aperta su un cielo luminoso e punteggiato di nuvole.


Gli amori di Giove e Giunone.


Il sogno di Giove.

ART E DOSSIER N. 385
ART E DOSSIER N. 385
MARZO 2021
In questo numero: IN MOSTRA: Signac a Parigi; La collezione Ramo a Houston; Olmechi a Parigi. MARMI DI TORLONIA: Vita complicata di una grande collezione. COSA CI DICE IL VOLTO: Della Porta e la fisiognomica; il filosofo di Porticello; gli autoritratti di Francesca Woodman. CONTEMPORANEI TRANSNAZIONALI: Le non-sculture di Lee Seung-Taek, Alighiero Boetti e Salman Ali. Direttore: Claudio Pescio