Grandi mostre. 3
SIGNAC A PARIGI

VIBRAZIONI A
TINTE FORTI

ALLA FINE DEL XIX SECOLO, IN PIENA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA E TECNOLOGICA, IL GIOVANE SIGNAC, INSIEME A SEURAT E PISSARRO, ADOTTA LA TECNICA PUNTINISTA, CHE “SCOMPONE” I COLORI E REGOLA L’ACCOSTAMENTO DI PICCOLE PENNELLATE SULLA TELA CON UN EFFETTO VIBRANTE E LUMINOSO. LA LIBERAZIONE DEL COLORE DALLA FORMA, FIN QUASI ALL’ASTRATTISMO, È ORA RACCONTATA IN UNA MOSTRA AL MUSÉE JACQUEMART-ANDRÉ.

Valeria Caldelli

Fu un po’ una rivincita della razionalità contro le passioni, il successo dell’ottimismo sugli impeti tormentati dei sentimenti. Fu la scienza che apriva i suoi sterminati confini suggestionando con le sue leggi il campo impulsivo dell’arte. La lampadina, il motore a scoppio, il telefono, il grammofono, il tram, l’automobile, la bicicletta stavano cambiando la vita di tutti i giorni ma erano solo le conseguenze più visibili di quel flusso inarrestabile di scoperte scientifiche e conquiste tecnologiche che attraversarono la seconda metà del XIX secolo. 


I PIGMENTI PURI DIRETTAMENTE SULLA TELA, UNO ACCANTO ALL’ALTRO, ATTRAVERSO PICCOLI TOCCHI DI PENNELLO


Non è dunque un caso se nel 1884, mentre Parigi si preparava a celebrare il centenario della rivoluzione francese cominciando a innalzare la Tour Eiffel, simbolo della nuova tecnologia costruttiva basata sul ferro e sull’acciaio, tre giovani pittori sensibili al mutamento dei tempi fondarono una società di artisti indipendenti, pronti a “rivoluzionare” la tecnica pittorica attraverso principi scientifici. Così Seurat, Signac e Pissarro dettero vita a un piccolo gruppo, quello degli “impressionisti scientifici” che, facendo tesoro delle nuove leggi dell’ottica, non univano più i colori sulla tavolozza, ma applicavano i pigmenti puri direttamente sulla tela, uno accanto all’altro, attraverso piccoli tocchi di pennello e secondo precisi accostamenti. In questo modo, secondo le moderne teorie del chimico Michel Eugène Chevreul, è l’occhio stesso, guardando l’immagine dalla giusta distanza, a mescolare i colori, liberandone la luce. Non più, dunque, la riproduzione spontanea e immediata della natura, come facevano gli impressionisti che dipingevano “en plein air”, catturando le sensazioni visive. Una pittura più meditata, riflessiva, invece, che della realtà rispettava le proporzioni, ma la rendeva più astratta, ricostruendola intellettualmente nell’atelier. L’obiettivo finale doveva essere la liberazione del colore, la sua indipendenza rispetto alla forma, anche a scapito della gestualità dei protagonisti, i cui movimenti restavano rigidi. Nello stesso modo le emozioni non erano più legate al soggetto, ma dovevano trasformarsi in emozioni ottiche. Una rivoluzione artistica che non fu immediatamente compresa, ma che tuttavia non rinnegò mai la discendenza dai precursori impressionisti, tanto da riconoscersi nel nome di “neoimpressionismo”. Sì alla tradizione, dunque, ma guardando il presente. Tanto che lo stesso Signac nel 1885 volle partecipare ad alcuni esperimenti sul fenomeno della riflessione della luce bianca svolti nella manifattura dei Gobelins, storico laboratorio tessile di Parigi specializzato in arazzi, di cui Chevreul era direttore. 

Ed è proprio a Paul Signac, anticonformista, ribelle, anarchico e pioniere del neoimpressionismo che il Musée Jacquemart-André di Parigi dedica una mostra importante presentando un insieme di circa settanta opere riunite da più generazioni di una famiglia di grandi collezionisti. Dagli esordi impressionisti agli anni eroici della “mescolanza ottica”, dalla vita parigina ai colori forti del Midi fino alla luce trasparente della laguna veneziana, dai disegni, alle tele e infine gli ultimi acquerelli, in una carrellata cronologica che riapre anche il dialogo con gli artisti che condivisero l’avventura neoimpressionista. Seurat, Pissarro, Cross, Luce sono solo alcuni dei nomi più famosi che hanno fatto la storia della “decomposizione” del colore, e che oggi si confrontano di nuovo nelle sale del grande palazzo parigino di boulevard Haussmann.


PROGRESSIVAMENTE LA RICERCA DEL COLORE SOSTITUISCE QUELLA DELLA LUCE


Les Andelys. Tramonto (1886), particolare.


Saint-Briac-sur-Mer. I fari (1890).


Saint-Tropez. Dopo la tempesta (1895).

Venezia. L'arcobaleno (1906).


Avignone, mattino (1909).


Juan-Les-Pins. Sera (1914).

«L’opera di Signac è molto ricca. Se il suo approccio tematico si concentra su fiume mare e battelli, lui si appassiona anche a tecniche diverse. Non solo la pittura, dunque, ma anche l’acquerello e il disegno. Soprattutto il suo stile evolve dall’impressionismo al neoimpressionismo vicino a Seurat, poi a un secondo neoimpressionismo, più libero e più colorato», spiega Marina Ferretti, curatrice della mostra insieme a Pierre Curie, conservatore del Musée Jacquemart-André. «Si è dunque imposto un percorso cronologico per consentire al visitatore di seguire questo progresso espressivo». 

Ma in tutte le sue esplorazioni stilistiche, la ricerca della luce e la liberazione del colore per Signac restarono sempre un chiodo fisso. Non a caso, da giovane viziato, figlio unico di famiglia benestante, destinato a un’attività professionale, interruppe bruscamente gli studi di architettura dopo aver visto una mostra di Claude Monet. Era il 1880 e quella determinazione a braccare anche il minimo riverbero di luminosità che ossessionava il maturo artista suggestionò anche il giovane studente che, proprio in quell’occasione, decise di diventare un pittore. Le sue prime opere avvengono dunque nel segno dell’impressionismo, con il pennello che accresce la luce attraverso il vacillamento dei suoi tratti sulla tela. Fu invece l’incontro con Seurat, quattro anni più tardi, ad aprirgli una nuova strada, quella del "pointillisme”, che prevede piccoli tocchi di colori puri, mai sovrapposti e accostati secondo la precisione scientifica indicata da chimici e fisici del tempo (non solo Eugène Chevreul, ma anche Charles Blanc e Ogden Rood). Vale a dire che i colori primari - rosso, giallo e blu - affiancati a quelli complementari - verde, viola e arancione - avrebbero prodotto nell’occhio in maniera automatica le tinte intermedie e secondarie, aumentandone la brillantezza. Se questa era la scienza, “avventurieri” artistici come Seurat e Signac azzardarono la loro proposta. Che ebbe seguaci importanti, ma trovò anche molte resistenze. Basti pensare che nell’ottava e ultima mostra degli impressionisti in rue Lafitte a Parigi, nel 1886, a queste opere “puntilliste” venne lasciata l’ultima sala, anche perché sembra che Monet e Renoir si fossero rifiutati di esporre i loro quadri accanto a quelli dei neoimpressionisti. neoimpressionismo. D’altronde proprio il termine “pointillisme” venne al tempo utilizzato in maniera derisoria e rifiutato dagli artisti stessi. Comunque questi furono solo ostacoli momentanei. In realtà agli inizi del XX secolo Signac si era già conquistato un posto d’onore in Belgio, Olanda e Germania. In Francia, nel 1915, verrà nominato pittore ufficiale della marina militare. «È allora considerato come uno dei padri fondatori della pittura moderna, accanto a Cézanne, Gauguin e Van Gogh», racconta Marina Ferretti, ricordando che proprio la liberazione del colore era in quel periodo al centro del dibattito artistico, come dimostra la nascita del fauvismo in Francia, quella dell’espressionismo in Germania, senza dimenticare l’avvento dell’astrazione. 

In mostra, seguendo Signac nel suo cammino rivoluzionario lo incontriamo prima in Bretagna con Saint-Briac-sur-Mer. I fari e poi nel Sud della Francia con Saint-Tropez. Dopo la tempesta. «Difficile indicare quali siano le opere maggiori esposte al Jacquemart-André, perché il giudizio è sempre una questione molto personale», dice ancora la curatrice. «A me appaiono entrambe capolavori e trovo che la quasi monocromia della seconda sia particolarmente interessante». 

Non può tuttavia sfuggire l’amore di Signac per l’acqua. Forse fu il bisnonno, ufficiale di marina durante la Rivoluzione, a trasmetterglielo. O forse fu ancora una volta la sua passione per la luce a fargli trovare nel mondo del mare, delle vele e dei venti le sue ispirazioni più felici e ricorrenti. Nella sua vita si contano una trentina di imbarcazioni con cui, da navigatore esperto, amava solcare il Mediterraneo insieme al collega e amico Gustave Caillebotte. Eccolo allora di nuovo in Francia con Juan-les-Pins. Sera e Avignone. Mattino. E poi in Italia con Venezia. L’arcobaleno. «Lo dipinge nel 1906 e, in termini di colori, qui si libera chiaramente da una rappresentazione fedele alla realtà», commenta Marina Ferretti. «Progressivamente, infatti, la ricerca del colore nella sua opera sostituisce quella della luce». 

Certo, guardando alcuni dipinti, come Tramonto sulla città di Saint-Tropez o Concarneau, sembra che insieme ai colori anche l’impatto emotivo si faccia spazio sulle sue tele, togliendo alla scienza lo scettro di formula ideale, per lasciarle solo il compito “burocratico” di trovare alcune soluzioni concrete. La tecnica dell’acquerello, di cui Signac diventerà appassionato seguace, gli permetterà più tardi di ritrovare il contatto diretto con il soggetto lasciando campo libero a quella spontaneità che il “pointillisme” aveva “ingessato”. Con Tramonto siamo davanti a un’opera che quasi precorre l’astrattismo, certamente più vicina ai Fauves che al neoimpressionismo. D’altra parte l’abolizione del volume e della profondità voluta dai puntinisti lasciava spazio a un equilibrio immaginario in cui il colore diventava l’interprete principale. Non stupisce che non solo i Fauves, ma anche Kandinskij, ai suoi inizi, ne siano stati influenzati. E fu così che infine l’arte si vendicò sulla scienza.


Tramonto (il ventaglio) (1905 circa).


Studio di Concarneau (1891).


Tramonto sulla città di Saint-Tropez (1892).

Signac, les harmonies colorées

Parigi, Musée Jacquemart-André
5 marzo - 19 luglio
a cura di Marina Ferretti e Pierre Curie
www.musee-jacquemart-andre.com

ART E DOSSIER N. 385
ART E DOSSIER N. 385
MARZO 2021
In questo numero: IN MOSTRA: Signac a Parigi; La collezione Ramo a Houston; Olmechi a Parigi. MARMI DI TORLONIA: Vita complicata di una grande collezione. COSA CI DICE IL VOLTO: Della Porta e la fisiognomica; il filosofo di Porticello; gli autoritratti di Francesca Woodman. CONTEMPORANEI TRANSNAZIONALI: Le non-sculture di Lee Seung-Taek, Alighiero Boetti e Salman Ali. Direttore: Claudio Pescio