Fu un po’ una rivincita della razionalità contro le passioni, il successo dell’ottimismo sugli impeti tormentati dei sentimenti. Fu la scienza che apriva i suoi sterminati confini suggestionando con le sue leggi il campo impulsivo dell’arte. La lampadina, il motore a scoppio, il telefono, il grammofono, il tram, l’automobile, la bicicletta stavano cambiando la vita di tutti i giorni ma erano solo le conseguenze più visibili di quel flusso inarrestabile di scoperte scientifiche e conquiste tecnologiche che attraversarono la seconda metà del XIX secolo.
I PIGMENTI PURI DIRETTAMENTE SULLA TELA, UNO ACCANTO ALL’ALTRO, ATTRAVERSO PICCOLI TOCCHI DI PENNELLO
Non è dunque un caso se nel 1884, mentre Parigi si preparava a celebrare il centenario della rivoluzione francese cominciando a innalzare la Tour Eiffel, simbolo della nuova tecnologia costruttiva basata sul ferro e sull’acciaio, tre giovani pittori sensibili al mutamento dei tempi fondarono una società di artisti indipendenti, pronti a “rivoluzionare” la tecnica pittorica attraverso principi scientifici. Così Seurat, Signac e Pissarro dettero vita a un piccolo gruppo, quello degli “impressionisti scientifici” che, facendo tesoro delle nuove leggi dell’ottica, non univano più i colori sulla tavolozza, ma applicavano i pigmenti puri direttamente sulla tela, uno accanto all’altro, attraverso piccoli tocchi di pennello e secondo precisi accostamenti. In questo modo, secondo le moderne teorie del chimico Michel Eugène Chevreul, è l’occhio stesso, guardando l’immagine dalla giusta distanza, a mescolare i colori, liberandone la luce. Non più, dunque, la riproduzione spontanea e immediata della natura, come facevano gli impressionisti che dipingevano “en plein air”, catturando le sensazioni visive. Una pittura più meditata, riflessiva, invece, che della realtà rispettava le proporzioni, ma la rendeva più astratta, ricostruendola intellettualmente nell’atelier. L’obiettivo finale doveva essere la liberazione del colore, la sua indipendenza rispetto alla forma, anche a scapito della gestualità dei protagonisti, i cui movimenti restavano rigidi. Nello stesso modo le emozioni non erano più legate al soggetto, ma dovevano trasformarsi in emozioni ottiche. Una rivoluzione artistica che non fu immediatamente compresa, ma che tuttavia non rinnegò mai la discendenza dai precursori impressionisti, tanto da riconoscersi nel nome di “neoimpressionismo”. Sì alla tradizione, dunque, ma guardando il presente. Tanto che lo stesso Signac nel 1885 volle partecipare ad alcuni esperimenti sul fenomeno della riflessione della luce bianca svolti nella manifattura dei Gobelins, storico laboratorio tessile di Parigi specializzato in arazzi, di cui Chevreul era direttore.
Ed è proprio a Paul Signac, anticonformista, ribelle, anarchico e pioniere del neoimpressionismo che il Musée Jacquemart-André di Parigi dedica una mostra importante presentando un insieme di circa settanta opere riunite da più generazioni di una famiglia di grandi collezionisti. Dagli esordi impressionisti agli anni eroici della “mescolanza ottica”, dalla vita parigina ai colori forti del Midi fino alla luce trasparente della laguna veneziana, dai disegni, alle tele e infine gli ultimi acquerelli, in una carrellata cronologica che riapre anche il dialogo con gli artisti che condivisero l’avventura neoimpressionista. Seurat, Pissarro, Cross, Luce sono solo alcuni dei nomi più famosi che hanno fatto la storia della “decomposizione” del colore, e che oggi si confrontano di nuovo nelle sale del grande palazzo parigino di boulevard Haussmann.