La carriera di Hals si svolse fra il 1616 circa e il 1666, anno della sua morte, pressoché interamente a Haarlem; città che lasciò poche volte, una delle quali per recarsi proprio ad Anversa (1616), unica occasione in cui uscì dall’Olanda.
Nel 1610 era iscritto nei registri della gilda di San Luca. Più o meno in quegli anni sposò Annetje (o Anneke). Rimasto presto vedovo si sposò di nuovo, nel 1616, con Lysbeth Reyniers, la giovane bambinaia dei suoi figli, incinta di otto mesi al momento del matrimonio. Tra prime e seconde nozze ebbe nove figli (alcune fonti dicono undici), tre dei quali divennero a loro volta pittori.
Nel corso della sua vita Hals ebbe alti e bassi, con momenti davvero neri negli ultimi decenni, quando un figlio e una figlia ebbero guai con la legge e furono imprigionati o comunque allontanati dalla comunità. Lo stesso Hals ebbe qualche problema con la giustizia; nel 1616, per esempio, fu citato in giudizio per non aver pagato dei colori; più tardi avrebbe avuto gli stessi problemi con un macellaio e un calzolaio. Altre voci, postume, sostennero che fosse comparso davanti ai giudici in quello stesso 1616 per aver picchiato la moglie Anneke; accusa dalla quale fu scagionato dagli storici per il semplice fatto che a quel tempo Anneke era morta da un anno. Si trattava di una vicenda capitata a un suo omonimo.
Il pittore e memorialista Arnold Houbraken raccontava Hals, nel 1718, come un ubriacone, ma non esistono altre prove di questa sua inclinazione(1). Fece invece parte della guardia civica di San Giorgio ed era socio di una camera di retorica, genere di associazione teatrale e di poesia allora molto diffuso in Olanda e nelle Fiandre presso un pubblico di borghesi, artigiani, commercianti; luoghi di ritrovo per lettura e rappresentazioni di pezzi teatrali e farse satiriche, testimonianza di un diffuso desiderio di cultura e di divertimento al tempo stesso.
Non riuscì mai a diventare ricco, visse sempre in abitazioni in affitto; all’attività di pittore Hals associava quella di restauratore e di mercante di quadri altrui; a volte pagava i suoi debiti con dipinti, e nei suoi ultimi anni - dal 1662, ormai fuori moda in un mondo che iniziava a guardare a modelli francesi e inglesi - dovette contare sul sostegno economico della collettività di Haarlem: prima centocinquanta, poi, nel 1664, duecentocinquanta fiorini l’anno; un po’ sussidio, un po’ tributo, perché in città godette sempre di buona fama e stima.
Alla sua morte, quasi ottantaquattrenne, nel 1666, fu sepolto nella zona dell’altare in San Bavone, la grande chiesa sul Grote Markt.
Frans fu uno dei più attivi e ricercati ritrattisti del suo tempo. Dipinse circa centocinquanta opere (secondo i calcoli dello storico dell’arte tedesco Claus Grimm, ma è in corso un tentativo di definizione più precisa del catalogo halsiano da parte del Frans Hals Research Project); di queste, l’ottanta per cento circa è costituita da ritratti. Le copie di atelier erano numerose e seguivano abitualmente la commissione principale. I suoi compensi, per i ritratti, stavano attorno ai sessanta-settanta fiorini. Rembrandt all’apice della fama ne chiedeva cento(2). Posavano per lui le massime autorità cittadine e i membri delle famiglie più in vista. Ritrasse anche uno dei massimi filosofi del suo tempo, il francese René Descartes, Cartesio - che trascorse parte della sua vita e dei suoi studi in Olanda -; l’originale è perduto, ma se ne conserva una copia al Louvre.
Non mancano, nel suo catalogo, opere di diverso genere, alcune di soggetto religioso, allegorie dei cinque sensi, “tronies”, allegre compagnie, scene che appartengono in gran parte alla prima fase della sua attività, prima dell’opzione esclusivamente ritrattistica. Restano invece esclusi dai suoi interessi generi che andavano per la maggiore, come le risse da taverna, le ambientazioni contadine, le scene di interno con figure femminili e qualche velata allusione erotica, pastorellerie, giocatori di carte, notturni a lume di candela… Sta di fatto che dagli anni Venti del secolo XVII in poi si fanno sempre più rare sue opere che non siano ritratti.
Del decennio precedente si sa davvero poco. La prima opera nota attribuita a Frans Hals è del 1611, il Ritratto di Jacob Zaffius (Haarlem, Frans Hals Museum), assegnazione che presenta qualche dubbio per lo stile, molto lontano da quello della maturità, ma è lecito supporre che gli anni Dieci fossero per Hals un periodo di ricerca e di ambientazione. In tutta la sua produzione sono riconoscibili le radici della scuola di Haarlem, dai manieristi come Hendrick Goltzius, Cornelis van Haarlem e lo stesso Karel van Mander fino ai più prossimi Willem Buytewech ed Esaias van de Velde. Ma non mancano connessioni con i caravaggisti della scuola di Utrecht.
Tra le opere di genere, I festaioli del martedì grasso (1615-1616 circa, New York, Metropolitan Museum) e il Giovane uomo con la sua ragazza in una taverna (o Il giovane Ramp e la sua bella, 1623, New York, Metropolitan Museum).
I festaioli del martedì grasso, nella composizione piena e giocosa e nei colori vivaci manifesta uno stile pittorico ancora molto legato alle radici fiamminghe dell’artista. La scena racconta l’atmosfera festosa e popolare dei giorni che precedono la quaresima, che nei Paesi Bassi prevedevano grandi mangiate, bevute, recite in costume e scherzi grossolani.
Qui vediamo a sinistra Pekelharing, letteralmente “aringa in salamoia”, nomignolo attribuito a un popolarissimo, al tempo, personaggio del teatro comico, caratterizzato da una sete inestinguibile (è qui il rimando all’aringa…) con la quale giustificava la sua conclamata passione per la birra; qui ha in mano una coda di volpe, simbolo di follia. A destra Hans Worst (altro personaggio delle farse, potremmo tradurre con Gianni Salsiccia), ha una salsiccia attaccata al cappello e fa un gesto osceno all’indirizzo della ragazza (o ragazzo vestito da donna) in abiti vistosi, seduta al centro. Sparsi ovunque oggetti o cibarie allusivi al sesso (altre salsicce, fagioli, cozze, uova, una cornamusa…).