GLI INIZIE LA PITTURA DI GENERE

Frans Hals nacque tra il 1580 e il 1583 ad Anversa, città delle Fiandre

che i suoi genitori (il padre era un mercante di stoffe) lasciarono nel 1585 o poco dopo, in seguito alla sanguinosa aggressione da parte degli spagnoli. Come molti fiamminghi, gli Hals scelsero di andare in Olanda, provincia dei Paesi Bassi del Nord allora in pieno sviluppo economico. Haarlem si rivelava per molti la meta perfetta: ricca, accogliente, a poche miglia da Amsterdam. Al censimento del 1622 risulta abitata da quarantamila persone, era la terza città d’Olanda dopo la capitale e Leida. 

Le notizie di prima mano sulla vita di Frans Hals sono scarse. Non lasciò niente di scritto, non esiste disegno che mostri il luogo in cui viveva o lavorava, la sua casa. Due autoritratti, supposti, sono l’unica traccia di sé che lasciò ai posteri. Alcune fonti lo danno allievo di Karel van Mander - anch’egli fiammingo (1548-1606), colto conoscitore dell’arte europea e in particolare italiana, autore di un volume di biografie di artisti del suo tempo, Het Schilder Boek (pubblicato nel 1604) - che risulta però lasciare Haarlem nel 1603, per cui dovette trattarsi di un apprendistato piuttosto breve, nel caso. La pittura dell’allievo, comunque, avrebbe conservato poco dello stile “fine”, fondato sul disegno, e dei soggetti storici praticati dal maestro. 

Due dei suoi fratelli si dedicarono anch’essi alla pittura. Il secondogenito della famiglia, Joost, morì relativamente giovane, nel 1626, e non si conoscono suoi lavori; Dirck (Haarlem 1591-1656) ricevette le prime lezioni di pittura dal fratello maggiore ma scelse un genere diverso dal suo, specializzandosi, come abbiamo accennato, in eleganti gruppi familiari e nelle cosiddette “allegre compagnie”, scene conviviali spesso ambientate all’aperto.


Jan Steen, Retorici alla finestra (1662-1666); Filadelfia, Philadelphia Museum of Art.


Karel van Mander, La continenza di Scipione (1600); Amsterdam, Rijksmuseum.

La carriera di Hals si svolse fra il 1616 circa e il 1666, anno della sua morte, pressoché interamente a Haarlem; città che lasciò poche volte, una delle quali per recarsi proprio ad Anversa (1616), unica occasione in cui uscì dall’Olanda. 

Nel 1610 era iscritto nei registri della gilda di San Luca. Più o meno in quegli anni sposò Annetje (o Anneke). Rimasto presto vedovo si sposò di nuovo, nel 1616, con Lysbeth Reyniers, la giovane bambinaia dei suoi figli, incinta di otto mesi al momento del matrimonio. Tra prime e seconde nozze ebbe nove figli (alcune fonti dicono undici), tre dei quali divennero a loro volta pittori. 

Nel corso della sua vita Hals ebbe alti e bassi, con momenti davvero neri negli ultimi decenni, quando un figlio e una figlia ebbero guai con la legge e furono imprigionati o comunque allontanati dalla comunità. Lo stesso Hals ebbe qualche problema con la giustizia; nel 1616, per esempio, fu citato in giudizio per non aver pagato dei colori; più tardi avrebbe avuto gli stessi problemi con un macellaio e un calzolaio. Altre voci, postume, sostennero che fosse comparso davanti ai giudici in quello stesso 1616 per aver picchiato la moglie Anneke; accusa dalla quale fu scagionato dagli storici per il semplice fatto che a quel tempo Anneke era morta da un anno. Si trattava di una vicenda capitata a un suo omonimo. 

Il pittore e memorialista Arnold Houbraken raccontava Hals, nel 1718, come un ubriacone, ma non esistono altre prove di questa sua inclinazione(1). Fece invece parte della guardia civica di San Giorgio ed era socio di una camera di retorica, genere di associazione teatrale e di poesia allora molto diffuso in Olanda e nelle Fiandre presso un pubblico di borghesi, artigiani, commercianti; luoghi di ritrovo per lettura e rappresentazioni di pezzi teatrali e farse satiriche, testimonianza di un diffuso desiderio di cultura e di divertimento al tempo stesso. 

Non riuscì mai a diventare ricco, visse sempre in abitazioni in affitto; all’attività di pittore Hals associava quella di restauratore e di mercante di quadri altrui; a volte pagava i suoi debiti con dipinti, e nei suoi ultimi anni - dal 1662, ormai fuori moda in un mondo che iniziava a guardare a modelli francesi e inglesi - dovette contare sul sostegno economico della collettività di Haarlem: prima centocinquanta, poi, nel 1664, duecentocinquanta fiorini l’anno; un po’ sussidio, un po’ tributo, perché in città godette sempre di buona fama e stima. 

Alla sua morte, quasi ottantaquattrenne, nel 1666, fu sepolto nella zona dell’altare in San Bavone, la grande chiesa sul Grote Markt. 

Frans fu uno dei più attivi e ricercati ritrattisti del suo tempo. Dipinse circa centocinquanta opere (secondo i calcoli dello storico dell’arte tedesco Claus Grimm, ma è in corso un tentativo di definizione più precisa del catalogo halsiano da parte del Frans Hals Research Project); di queste, l’ottanta per cento circa è costituita da ritratti. Le copie di atelier erano numerose e seguivano abitualmente la commissione principale. I suoi compensi, per i ritratti, stavano attorno ai sessanta-settanta fiorini. Rembrandt all’apice della fama ne chiedeva cento(2). Posavano per lui le massime autorità cittadine e i membri delle famiglie più in vista. Ritrasse anche uno dei massimi filosofi del suo tempo, il francese René Descartes, Cartesio - che trascorse parte della sua vita e dei suoi studi in Olanda -; l’originale è perduto, ma se ne conserva una copia al Louvre. 

Non mancano, nel suo catalogo, opere di diverso genere, alcune di soggetto religioso, allegorie dei cinque sensi, “tronies”, allegre compagnie, scene che appartengono in gran parte alla prima fase della sua attività, prima dell’opzione esclusivamente ritrattistica. Restano invece esclusi dai suoi interessi generi che andavano per la maggiore, come le risse da taverna, le ambientazioni contadine, le scene di interno con figure femminili e qualche velata allusione erotica, pastorellerie, giocatori di carte, notturni a lume di candela… Sta di fatto che dagli anni Venti del secolo XVII in poi si fanno sempre più rare sue opere che non siano ritratti. 

Del decennio precedente si sa davvero poco. La prima opera nota attribuita a Frans Hals è del 1611, il Ritratto di Jacob Zaffius (Haarlem, Frans Hals Museum), assegnazione che presenta qualche dubbio per lo stile, molto lontano da quello della maturità, ma è lecito supporre che gli anni Dieci fossero per Hals un periodo di ricerca e di ambientazione. In tutta la sua produzione sono riconoscibili le radici della scuola di Haarlem, dai manieristi come Hendrick Goltzius, Cornelis van Haarlem e lo stesso Karel van Mander fino ai più prossimi Willem Buytewech ed Esaias van de Velde. Ma non mancano connessioni con i caravaggisti della scuola di Utrecht. 

Tra le opere di genere, I festaioli del martedì grasso (1615-1616 circa, New York, Metropolitan Museum) e il Giovane uomo con la sua ragazza in una taverna (o Il giovane Ramp e la sua bella, 1623, New York, Metropolitan Museum). 

I festaioli del martedì grasso, nella composizione piena e giocosa e nei colori vivaci manifesta uno stile pittorico ancora molto legato alle radici fiamminghe dell’artista. La scena racconta l’atmosfera festosa e popolare dei giorni che precedono la quaresima, che nei Paesi Bassi prevedevano grandi mangiate, bevute, recite in costume e scherzi grossolani. 

Qui vediamo a sinistra Pekelharing, letteralmente “aringa in salamoia”, nomignolo attribuito a un popolarissimo, al tempo, personaggio del teatro comico, caratterizzato da una sete inestinguibile (è qui il rimando all’aringa…) con la quale giustificava la sua conclamata passione per la birra; qui ha in mano una coda di volpe, simbolo di follia. A destra Hans Worst (altro personaggio delle farse, potremmo tradurre con Gianni Salsiccia), ha una salsiccia attaccata al cappello e fa un gesto osceno all’indirizzo della ragazza (o ragazzo vestito da donna) in abiti vistosi, seduta al centro. Sparsi ovunque oggetti o cibarie allusivi al sesso (altre salsicce, fagioli, cozze, uova, una cornamusa…).


Ritratto di Jacob Zaffius (1611); Haarlem, Frans Hals Museum. Il primo ritratto conosciuto di Frans Hals – in uno stile ancora ben lontano dalla maniera veloce e sintetica che diventerà la sua cifra distintiva – raffigura un canonico cattolico della Grote Kerk di Haarlem, fiero oppositore dei calvinisti ma graziato da Guglielmo il Taciturno per i suoi meriti nei confronti della città. Il dipinto è da alcuni studiosi ritenuto una copia da un originale di Hals.


I festaioli del martedì grasso (1615-1616 circa); New York, Metropolitan Museum of Art.


Giovane uomo con la sua ragazza in una taverna (o Il giovane Ramp e la sua bella) (1623); New York, Metropolitan Museum of Art. Hals si dedicò alla pittura di genere in età giovanile, e il suo approccio appare simile a quello di artisti suoi contemporanei come Adriaen Brouwer, Judith Leyster, Jan Miense Molenaer e Adriaen van Ostade (da alcuni ritenuti suoi allievi o collaboratori). Alcune opere di Judith Leyster sono state a lungo attribuite a Hals.

(1) Arnold Houbraken, pittore a sua volta, pubblicò a partire dal 1718, all’Aja, De groote schouburgh der Nederlantsche konstschilders en schilderessen (Il gran teatro dei pittori olandesi), raccolta di biografie molto romanzate dei pittori del suo tempo, in tre volumi.
(2) Può essere utile avere alcuni punti di riferimento per capire meglio il rapporto fra prezzi delle opere d’arte e costo della vita nell’Olanda del XVII secolo. Un fiorino era diviso in venti soldi. Un boccale di birra costava uno o due soldi; un pane di segale fra i sei e i nove soldi; lo stipendio settimanale di un operaio qualificato era di poco meno di tre fiorini; una piccola casa valeva trecento fiorini.

Il Giovane uomo con la sua ragazza in una taverna mostra come già nei primi anni Venti siano evidenti due principali caratteristiche del modo di dipingere di Hals: la composizione in diagonale che dà movimento alla scena e la tecnica pittorica, fatta di colori brillanti e pennellate corpose, capaci di suggerire non solo la forma ma la materia di cui è fatto ogni singolo dettaglio; e l’uso di collocare i protagonisti in primo piano, riducendo a minimi dettagli la definizione dell’ambiente in cui la scena si svolge. Ma è soprattutto evidente un’altra tipicità: l’approccio emotivo al soggetto, quella gioia di vivere che gli veniva riconosciuta unanimemente da critici e colleghi. 

Il soggetto introduce anche a una delle questioni fondamentali per l’interpretazione del senso della pittura di genere olandese. Qual è il messaggio - o l’intento, il significato profondo - che trasmettono scene come questa? Noi, e il pubblico a cui si rivolgevano dipinti del genere, vediamo un giovanotto abbastanza su di giri, sulla soglia di una taverna, che alza un bicchiere e accarezza il cane mentre una ragazza sorride e si appoggia alla sua spalla. È tutto qui? O ci troviamo di fronte a una simbologia da decifrare? È possibile che in realtà siamo di fronte a un episodio della vicenda neotestamentaria del Figliol prodigo (per la precisione a uno dei momenti di vita dissoluta che precedono il suo ritorno fra le braccia del padre)? 

Il dibattito sulla potenziale vocazione allegorica della pittura di genere dei Paesi Bassi si innesta sulla fondamentale definizione di metodo tracciata da Erwin Panofsky nel 1939 e poi da lui ripreso nel 1962 riguardo alla lettura di un’opera d’arte. Lettura che può essere svolta su tre livelli: un livello primario che si limita al riconoscimento dell’essenza naturale dei soggetti raffigurati (livello preiconografico); un livello in cui i soggetti vengono identificati e associati a un contesto specifico di carattere storico, letterario, religioso (livello iconografico); un ultimo passaggio in cui il soggetto viene contestualizzato nell’ambito in cui è stata prodotta l’opera e di conseguenza interpretato (livello iconologico)(3)

Un metodo costruito sull’arte italiana del Rinascimento, difficile da adattare al naturalismo della pittura nordica, apparentemente semplice - soprattutto nell’accezione olandese qui presa in esame -, lontana dalle sottigliezze colte dei maestri italiani, priva di meandri in cui andare a cercare significati supplementari rispetto a quel che si vede dipinto. Lo stesso Panofsky affrontò il problema parlando di un «simbolismo nascosto», camuffato, totalmente assorbito dalla realtà raffigurata(4). Lo studioso olandese Eddy de Jongh riprese questo metodo interpretativo dicendo che l’intento degli artisti olandesi del tempo era di «istruire e dilettare», dissimulando messaggi morali o semplicemente istruttivi in un’attraente confezione resa credibile e piacevole dall’aderenza all’esperienza visiva di chi guardava(5).


Peckelharing (1630 circa); Kassel, Schloss Wilhelmshöhe.

(3) E. Panofsky, Studi di iconologia (1939-1962), ed. it. Torino 1975.
(4) Id., Early Netherlandish Painting (Cambridge, Mass., 1953), ed. francese consultata Parigi 2010.
(5) E. de Jongh, Zinne-en minnebeelden in de schilderkunstvan de zeventiende eeuw, Amsterdam 1967.

Ai primi anni Venti del Seicento appartiene una serie di quattro evangelisti che segna l’unica incursione conosciuta di Hals nella pittura di soggetto religioso. 

A chiusura di questo periodo iniziale si colloca un altro dipinto di genere, un Peckelharing (1630 circa, Kassel, Schloss Wilhelmshöhe), personaggio che in questa versione si diffuse e venne copiato; una sua riproduzione incisa, pochi anni dopo, era sulla copertina di un libro di barzellette. 

Alcune sue opere appartengono a un genere intermedio, quello dei “tronies”, o “studi di carattere”, figure non necessariamente individuate da un nome e cognome e non destinate al soggetto raffigurato: come il Suonatore di liuto (1623 circa, Parigi, Musée du Louvre); il tondo con Bambino sorridente (1625 circa, L’Aja, Mauritshuis); Il fumatore (1625 circa, New York, Metropolitan Museum); La zingara (1628-1630, Parigi, Musée du Louvre); L’allegro bevitore (1628-1630, Amsterdam, Rijksmuseum); Malle Babbe (1633-1635, Berlino, Gemäldegalerie). 

Quest’ultimo è uno dei dipinti più noti di Hals, replicato e copiato con varianti per molto tempo, fino al secolo XIX. Il dipinto “ritrae” Barbara (Babbe) Claes, una delle ospiti della Werkhaus (“casa di lavoro”) di Haarlem - via di mezzo tra ospizio per malati mentali e prigione - detta Malle Babbe, Babbe la folle. La casa ospitava in quel tempo anche Pieter, uno dei figli del pittore. In questo caso l’artista utilizza i tratti somatici di una persona reale per un quadro di genere. Raffigura una donna, piuttosto anziana, in abiti da lavoro, con una cuffia e un ampio colletto bianchi, un enorme boccale da birra nella mano destra e un gufo sulla spalla sinistra. Hals trascura la resa dei dettagli per affidare a una pennellata sommaria e veloce l’effetto sorpresa di una figura colta in una smorfia improvvisa, accentuata dalla torsione del corpo e dal fatto che la protagonista guarda qualcosa o qualcuno che noi non vediamo; nei due lacci della cuffia che svolazzano dalla sua tempia è il segreto dell’effetto di movimento generale della composizione. Un modo di dire olandese, “essere ubriaco come un gufo”, chiarisce sufficientemente il senso della scena, un monito moraleggiante frequente nella pittura di genere. Ma i toni scuri, il fatto che il gufo compaia spesso come simbolo di follia o stupidità, il ghigno sul volto suggeriscono anche una componente quasi selvatica, demoniaca o stregonesca.


Suonatore di liuto (1623 circa); Parigi, Musée du Louvre.

Bambino sorridente (1625 circa); L’Aja, Mauritshuis.


Il fumatore (1625 circa); New York, Metropolitan Museum of Art.

L’allegro bevitore consente una riflessione sul pregiudizio per cui un po’ tutti gli artisti che, praticando la pittura di genere, proponevano spesso ambientazioni o situazioni equivoche - bordelli, osterie, bevitori, giocatori di carte, situazioni di caos domestico - dovevano senza dubbio condividere lo stesso stile di vita dei soggetti raffigurati. È un’etichetta che è toccata anche ad artisti come Adriaen Brouwer e Jan Steen, e mai sufficientemente confermata da dati concreti. Lo stigma riflette una gerarchia di valori tutta interna al sistema delle arti: i pittori di soggetti storici, mitologici o religiosi (come Houbraken o Gerard de Lairesse, a sua volta molto critico nei confronti anche di Rembrandt, per esempio) praticavano una snobistica equazione per cui chi praticava generi pittorici “bassi” doveva appartenere a una classe inferiore, per indole ed educazione. 

Pregiudizio che riecheggiò a lungo nella critica d’arte, se ancora John Ruskin, nel primo volume del suo Modern Painters (1843) esprime giudizi feroci sulla pittura dei «vari Van qualcosa» (riferendosi agli artisti olandesi in genere): «La miglior forma di mecenatismo nei confronti di quelle arti sarebbe quella di raccoglierne l’intero corpus e darlo alle fiamme», con tutto il loro «realismo da birreria» evidentemente ispirato dalla «natura essenzialmente porcina» dei loro artefici «stupidi, infidi e debosciati», spesso impegnati, nel loro lavoro sulla tela, nella «pensosa imitazione di una carota». E così via, in una serie di argomentazioni sul tema della volgarità, trivialità, insignificanza che abbraccia artefici e artefatti. Toni che, evidentemente, vanno al di là della mancata condivisione della stessa gerarchia dei soggetti pittorici, ma che chiedono anche di essere contestualizzati nel clima di polemica antitradizionalista che Ruskin rappresentava nell’Inghilterra vittoriana. 

Un discorso a parte merita il citato Bambino sorridente del Mauritshuis (1625 circa), un dipinto allegro e con ogni evidenza svincolato da obblighi di committenza, molto probabilmente destinato alla famiglia del pittore stesso. In questo caso non possiamo neanche considerarlo un “tronie”, si tratterebbe di un ritratto privato, forse un figlio, un po’ gioco e un po’ libera esercitazione della pennellata “alla Hals” nella sua forma più disinvolta, con la materia che si disfa in semplici pennellate di colore, sicure di sé e della propria forza espressiva.


L’allegro bevitore (1628-1630); Amsterdam, Rijksmuseum.

Gustave Courbet, Malle Babbe (1869), copia da Frans Hals; Amburgo, Kunsthalle.


Malle Babbe (1633-1635); Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie.

HALS
HALS
Claudio Pescio
Frans Hals (Anversa 1582 circa - Haarlem 1666) è, insieme a Rembrandt e Vermeer, uno dei protagonisti della pittura olandese del Secolo d’oro. Nel suo periodo giovanile dipinge scene di genere, qualche opera di carattere religioso, soggetti popolari. Nella maturità sceglie il ritratto e dedica il resto della sua carriera a questa specializzazione. La sua capacità di rendere la scena movimentata, vivace, di cogliere gli stati d’animo, di far emergere addirittura rapporti e complicità nei ritratti di coppia o di gruppo ne fanno forse il miglior ritrattista del suo tempo; non raggiunge la profondità di penetrazione psicologica di Rembrandt ma è certamente uno dei pochi capaci di restituirci una scintilla di vita vissuta da individui in carne e ossa.