«ADDIO, GRAN PITTOREDELL’UMANITÀ»

Dei volti ritratti nei Domestici di casa Hogarth, l’unico a noi noto è quello dell’uomo in alto a destra, il maggiordomo Ben;

degli altri non rimangono che degli sguardi pieni d’onestà e gratitudine. Raffinatissimo l’espediente teatrale, con le due giovani donne a destra e a sinistra che, guardando negli occhi lo spettatore, lo tengono avvinto alla contemplazione dei limpidi ritratti dei loro colleghi. 

Anche l’attore David Garrick con la moglie, la ballerina austriaca Eva Maria Veigel, sono ritratti da Hogarth. Lo sguardo di Garrick cerca quello dello spettatore, mentre la moglie intanto è prossima a sfilargli dalle dita la penna d’oca. L’impertinenza della donna è pari alla dolcezza con la quale si accosta al marito: Garrick, come se stesse occhieggiandoci dal palcoscenico, ci rivela di aver intuito quell’elegante dispetto, con cui la moglie vorrebbe richiamare la sua attenzione. 

In Sigismonda, Hogarth tratta un tema desunto da Boccaccio: la donna riceve da suo padre il cuore dell’amato Guiscardo, che lo stesso genitore ha ucciso. Sigismonda è simile a una Maddalena penitente, mentre si stringe al petto il cuore dell’amato, lasciando trapelare un inesprimibile dolore. Nei suoi occhi riluce quella sofferenza che non è strazio, ma intima pena: il corrispettivo visivo del componimento musicale The Virtuous Wife, scritto da Henry Purcell quasi un secolo prima. Nel volto di Sigismonda, si è ragionevolmente ipotizzato che Hogarth abbia ritratto la moglie Jane. 

Nel 1764, è appena terminata la guerra dei Sette anni e, nonostante l’enorme dispendio di risorse, l’Inghilterra ne è uscita ugualmente vincitrice, conquistando ai danni della Francia parte dell’odierno Canada. Hogarth aveva manifestato dubbi sull’entrata nel conflitto, e per questa ragione aveva avuto dei salaci scambi di battute col parlamentare John Wilkes, che sul giornale “North Briton” aveva definito Hogarth un individuo dal carattere bilioso, invidioso dei propri colleghi, incapace di concepire il bello e disposto soltanto a cogliere il lato distorto della natura umana. In quello stesso 1764, l’artista realizza The Bathos, una parola che designa una figura retorica, significa: caduta, dal sublime al ridicolo. Cronos, il dio del tempo, è morente e dalla sua bocca esce uno sbuffo di fumo; dietro di lui, una torre è oramai un rudere; lì accanto, una campana rotta, che non darà più l’allegro ritmo alle giornate; in terra, la tavolozza è attraversata da una lunga crepa; in alto, il carro del Sole si avvia verso la caduta. Soltanto le nuvole rimangono sospese nel cielo.


David Garrick e la moglie Eva Maria Veigel (1757); Windsor Castle, Royal Collection.

The Bathos (1764); New York, Metropolitan Museum of Art.


I domestici di casa Hogarth (1755); Londra, Tate Modern.

Dal 1750 circa, con l’amata moglie Jane, Hogarth ha acquistato una nuova residenza, nell’elegante sobborgo di Chiswick, appena fuori Londra. Per una singolare circostanza, è situata non distante dalla villa in cui abita Richard Boyle, III conte di Burlington, con la moglie Dorothy Savile. Ma il conte, che aveva impedito a Hogarth di diventare pittore di corte, muore nel 1753; e la dolce Dorothy Savile lo segue nel 1758. Dal 1757, Hogarth eredita da James Thornhill, la carica di “Serjeant Painter”, ovvero di curatore delle opere appartenenti alla Corona. 

Il 25 ottobre 1764 l’artista, da Chiswick, torna a Londra nella casa di Leicester Fields. Dalle finestre si scorgeva più in basso, adagiata su un dolce declivio, St. Martin Street, la strada in cui aveva abitato Isaac Newton con l’amato cane Diamond; e nell’ampia distesa a destra, lì dove il Tamigi formava una morbida ansa, la sagoma della cupola di St. Paul. Durante la notte, Hogarth viene colto da un malore: e la mattina del 26 ottobre muore, presumibilmente per la rottura di un’arteria. Si conclude così quel lungo piano sequenza, composto da dipinti e incisioni, con cui Hogarth aveva unito la storia al teatro e il teatro alla vita: l’artista, come aveva verseggiato un secolo prima John Oldham, «ora esultava per la meritata pace». Sulla lapide della sua tomba, ancora oggi, leggiamo l’epitaffio scritto dall’amico David Garrick: «Addio, gran pittore dell’umanità, addio a te, che hai raggiunto la vetta più alta dell’arte e i cui dipinti morali allietano la mente e, attraverso l’occhio, correggono il cuore».


Sigismonda (1760 circa); Londra, Tate Gallery.

HOGARTH
HOGARTH
Luigi Senise
William Hogarth (Londra 1697-1764) inizia la sua carriera come incisore, diventa poi pittore di ritratti di gruppo per la buona società londinese, si lega al mondo del teatro e della letteratura, fino a definire una sua collocazione originale nel panorama artistico inglese. Diviene in breve il principale illustratore della società in cui vive, nel senso che ne analizza vizi e virtù, con un evidente intento morale, in alcune fortunate serie (le Carriere) di quadri e di incisioni: tra i principali la Carriera di un libertino e il Matrimonio alla moda. Ma non manca di intervenire nelle questioni estetiche che appassionano gli addetti ai lavori, assumendo posizioni decisamente anti accademiche.