GRANDI SPERANZE

William Hogarth nasce a Londra, il 10 di novembre del 1697, in St. Bartholomew Close,

un quartiere incastonato tra la cattedrale di St. Paul e la miserevole area di Grub Street. Il padre, Richard, appena giunto a Londra dalla nordica contea del Westmoreland, si mantiene come correttore di bozze, essendo edotto di greco e di latino. Nel 1703, quando il figlio William ha sei anni, Richard Hogarth tenta di unire la concreta attività del commercio con l’astratta dimensione dell’arte, aprendo, in St. John Street, un “latin speaking coffee”, ovvero una taverna in cui si sorseggia del caffè, tra un’ecloga di Virgilio e una satira di Giovenale. 

Nel 1707, il “latin speaking coffee“ subisce un grave rovescio finanziario: Richard Hogarth è arrestato per debiti non saldati e segregato per quattro anni nella Fleet Prison. Nel settembre del 1712, giovandosi di un’amnistia decretata dal Parlamento, riabbraccia da uomo libero la propria famiglia: la moglie Anna, il primogenito William e le due figlie femmine, Mary e Ann, nate nel 1699 e nel 1701. 

È necessario ricordare come nel Seicento Londra fosse stata scossa da due tragici eventi: l’epidemia di peste nel 1665 e il grande incendio dell’anno successivo, evento, questo, che se da un parte aveva estinto il morbo, dall’altra aveva distrutto gran parte della città. Lo scrittore John Dryden, in Annis mirabilis, aveva reputato quella inaudita sofferenza quale preludio per una imminente resurrezione. Il novello assetto urbanistico era stato affidato, da Carlo II Stuart, all’architetto Chistopher Wren, il quale aveva adottato la pietra come materiale di costruzione; e aveva inoltre concepito un nuovo ordito simmetrico, in cui lunghi viali (“lanes”) avrebbero permesso un agevole transito alle numerose carrozze e alla frotta di viandanti che quotidianamente affollavano Londra. Nel 1712, Wren ultimava la cupola di St. Paul. 

Presumibilmente, in quello stesso 1712, William Hogarth entra come apprendista nella bottega dell’incisore Ellis Gamble, in Blue Cross Street, nei pressi di Leicester Fields, in cui è previsto lo studio della grande tradizione incisoria. Ma non porta a termine l’intero corso: e alla data del 1720, stampa il proprio biglietto da visita in cui si definisce “engraver” (incisore). Da circa due anni è mancato suo padre Richard. 

Dall’esecuzione del biglietto affiora la dimensione letteraria che Hogarth avrebbe assorbito sin dall’infanzia; il nome dell’artista è infatti fiancheggiato da due figure femminili: l’Arte (a sinistra) e la Storia (a destra). La prima è rappresentata con un seno scoperto, il cui tradizionale significato di materna fertilità era stato declinato con un sottile ma elegante erotismo, nel Seicento, in alcuni ritratti di Van Dyck e Peter Lely, di certo ben noti a Hogarth. Quella singolare figura a destra, invece, delineata consimile a un compiaciuto artista intento a tracciare un bozzetto, rappresenta la storia, intesa non come memoria d’un epico passato, ma alla stregua d’una cronaca contemporanea, che il taccuino e la matita dell’artista devono prontamente appuntare.


Una scena da L’opera del mendicante (1729), particolare; Londra, Tate Britain.

Biglietto da visita di William Hogarth (1720 circa); New York, Metropolitan Museum of Art.


Il pessimo gusto della città (1724 circa); Londra, British Museum.

Al tempo, la nobiltà rappresenta una vivace attrazione per il popolo, che ammira le sontuose carrozze dirette al Royal Covent Garden Theatre dove, indossando opulenti abbigliamenti e voluminose parrucche, i vari lord prendono posto accanto al palcoscenico, impazienti di ascoltare i trilli e gli acuti vocali dei celebri contralti, Farinelli e Francesco Bernardi, diretti da Niccolò Porpora o da Georg Friedrich Händel. In particolare, quest’ultimo ha conquistato il plauso dell’intera città, dopo aver composto e diretto la Water Music, sulle sponde del Tamigi, nel 1717, per Giorgio II. E tra i più fervidi protettori di Händel figura Richard Boyle, terzo conte di Burlington, un nobile che ha sostenuto la diffusione in Inghilterra dello stile neopalladiano e ha edificato la propria residenza di Piccadilly affidandone il progetto a Colen Campbell e gli interni a William Kent. Questi si forma artisticamente come decoratore di carrozze; successivamente, si reca in Italia e durante il viaggio di ritorno verso l’Inghilterra conosce il conte di Burlington, il quale, oltre che l’arredo e la decorazione di Burlington House, gli affida la cura degli interni delle proprie residenze di campagna: Houghton Hall e Chiswick House. Quest’ultima, progettata dallo stesso lord Burlington, trae ispirazione dalla villa La Rotonda di Andrea Palladio. 
Ora, nella stampa The Bad Taste of the Town, ovvero Il pessimo gusto della città, del 1724 circa, Hogarth rappresenta un personaggio intento a svuotare una carriola colma di testi di autori inglesi; riusciamo a leggere sulle copertine dei volumetti alcuni nomi: Ben Jonson, William Shakespeare; mentre, a destra, una folla di gentiluomini, appartenenti alla classe media, sembrerebbe fronteggiare la torma di sinistra, composta invece da cantanti lirici, abbigliati con sontuosi vestiti di scena; sul fondo, chiuso da due palazzi che rimandano evidentemente a delle quinte teatrali, ecco che proprio lord Burlington addita il sommo del portale, su cui si staglia la statua - o addirittura la viva persona - di William Kent (Hogarth lo specifica trascrivendone ai piedi della statua il nome), il quale è il vertice di un ideale triangolo, alla cui base si riconoscono le effigi di Michelangelo e Raffaello. Con formidabile sintesti compositiva, Hogarth presenta i termini della questione tanto dibattuta in quegli anni: i volumi dei poeti inglesi sono trascurati a causa dell’ingombrante onnipresenza dei cantanti lirici; e, sul fondo, lord Burlington indica l’architetto William Kent quale latore delle idee concepite dai grandi maestri. Negli stessi anni in cui prende vita questo raffinatissimo revival del mondo classico, una nuova generazione di autori, come Swift, Fielding e appunto Hogarth, professa invece un’inedita poetica, fondata sull’osservazione del proprio vissuto e della quotidiana esperienza, come aveva affermato anche John Locke: «La legge di natura, l’ordine eterno delle cose deriva soltanto dall’esperienza sensibile: è questo l’unico elemento comune a ogni uomo». Dalle ceneri della città, dunque, a seguito del grande incendio, è nata la succitata nuova generazione di autori, incline a formulare un linguaggio fondato sull’ironia e ispirato dalla vita quotidiana: «Questa satira pungente, così dipinta, è l’unica arma che potremo usare, pur non avendo genio, poiché l’indignazione è comunque la miglior musa», aveva scritto John Oldham. 
Hogarth, dopo forse un triennio di apprendistato presso Ellis Gamble, frequenta dal 1720 l’accademia che il ritrattista John Vanderbank ha aperto in St. Martin Street; e dove insegna Louis Chéron, il cui nome è piuttosto celebre a Londra, poiché è già stato docente nella prestigiosa Académie royale de peinture et de sculpture di Parigi. 
Intanto, Mary e Ann, le due sorelle di William, cambiano indirizzo al negozio di tessuti che hanno aperto l’anno precedente: lasciano quello di Long Walk, per aprirne uno nuovo in Little Britain Gale; Hogarth ne esegue lo “shop card”, il biglietto che lo pubblicizza. Illustra, in questi anni, anche il Roman Military Punishments di John Beaver, mentre vive con la madre a Long Lane. 
In questo periodo, comincia a seguire i corsi di pittura che James Thornhill tiene nella propria abitazione di Great Piazza, vicino al Covent Garden; e inizia una relazione con la figlia dell’anziano maestro, che infatti sposa nel 1729, nonostante il padre di lei non sia affatto concorde. Anche se poi, a seguito della riconciliazione col genero, si trasferisce a casa di questi a Covent Garden. Curiosamente, anche il padre di Hogarth, Richard, aveva sposato Ann, che era la figlia del suo primo datore di lavoro; così come il giovane pittore ha preso in moglie la figlia del proprio maestro.

Circa nel 1728, nella Congregazione dei dormienti, Hogarth rappresenta gli effetti soporiferi provocati dall’omelia di un pastore, che induce il sonno in un presbitero e in una coppia di giovani; mentre sulle tribune si distinguono appena i volti dei fedeli, tra i quali, quelli in basso a destra sembrano già prefigurare alcuni ritratti che eseguirà, due secoli più tardi, Georges Rouault. 

Jonathan Swift aveva pubblicato, nel 1704, Il racconto della botte, scritto per il miglioramento universale dell’umanità. Considerato uno dei testi più ermetici dell’autore dei Viaggi di Gulliver, narra la storia di Peter, Jack, Martin (evidentemente: san Pietro, Giovanni Calvino, Martin Lutero) e di come ciascuno di essi creda di custodire la Verità. Swift nel racconto - e così Hogarth nel dipinto della Congregazione - trascrive un sentimento di torpore che gli attriti tra le diverse confessioni cristiane hanno generato in una nuova generazione di autori, i quali invece reputano sterili le distanze dottrinali ed esprimono il proprio disappunto in merito a quei contrasti mediante la satira e la parodia. Hogarth riprende dal testo di Swift l’idea di rappresentare gli effetti del prolisso sermone del pastore mediante il sonno degli ascoltatori. 

Sul proprio rapporto col teatro, Hogarth ci ha lasciato questo esaustivo commento: «I miei quadri sono il mio palcoscenico, e le donne e gli uomini i miei attori, per l’espressione di parti, colori, gesti, inscenano il mio dumb show». (Il “dumb show”, nel teatro inglese settecentesco, consiste in una pantomima muta; simile, nella nostra epoca, alle performance portate in scena da Charlie Chaplin col personaggio di Charlot nei primi film muti da lui diretti e interpretati). Indubbiamente, quando Hogarth paragona la propria pittura al teatro, ha in mente la divagazione filosofica che William Shakespeare esprime per bocca di Jacques, nella commedia Come vi piace: «Tutto il mondo è palcoscenico e tutti gli uomini e le donne, semplicemente attori, hanno le loro uscite ed entrate, e un uomo del suo tempo gioca molte parti». 

Nel 1728 va in scena, al Lincoln’s Theatre, The Beggar’s Opera (L’opera del mendicante), una commedia scritta da John Gay (che nel Novecento, opportunamente riadattata, diverrà L’opera da tre soldi di Bertold Brecht). Il genere della “pièce” appartiene alla cosiddetta “Ballad Opera”, uno spettacolo che alterna arie d’opera celebri con motivetti popolari, e la cui origine risiede nella “Masque”, quello spettacolo ispirato alla Commedia dell’arte italiana, in cui il linguaggio talvolta sconfina nel gergo più triviale. L’opera del mendicante racconta dell’amore tra la bella Polly, figlia del corrotto Peachum, e il fuorilegge Macheat, uno sfrontato furfante che, una volta redento, convolerà a nozze con la stessa Polly. Molti osservatori del tempo individuano nella figura dell’usuraio Peachum un riferimento a Robert Walpole, il quale, rivestendo all’epoca la carica di primo ministro, esercitava un ramificato potere, intessuto con ambigui compromessi, sotto l’ala protettrice della regina Carolina, la moglie di Giorgio II, la quale aveva creato appositamente per Walpole la carica politica, prima del tutto inesistente, di primo ministro, confidando nella scaltrezza di quel giovane per reggere le sorti dell’Inghilterra. Hogarth dipinge la scena finale dell’Opera del mendicante, ovvero Il momento in cui Polly implora il perdono a suo padre per l’amato Macheat.


La congregazione dei dormienti (1728 circa); Minneapolis, Minneapolis Institute of Arts.


Una scena da L’opera del mendicante (1729); Londra, Tate Britain. Non si tratta soltanto di una delle prime opere di Hogarth, in cui in cui teatro e pittura coincidono; ma è anche un raro documento che ci permette di ammirare i fondali scenici realizzati dal paesaggista George Lambert, in cui la New Gate Prison è dipinta con vivido e crudo realismo.

Era d’uso, nel Settecento, che la nobiltà prendesse posto sul palco accanto agli attori. All’estrema destra del palcoscenico, infatti, sono effigiati alcuni nobiluomini, tra i quali si riconosce, nell’individuo vestito di nero, seduto, che tiene aperto il libretto dell’Opera, lord Bolton, mentre fissa i propri occhi sul personaggio di Polly, la donna biancovestita e genuflessa lì accanto, interpretata dall’attrice Lavinia Fenton. I due, a seguito di questo spettacolo, divengono amanti - nonostante il clamore provocato nella buona società londinese -, convivendo per quindici anni, fino al 1751, anno in cui muore la legittima consorte di lord Bolton, lady Ann Vaughan. Pertanto, nel 1740 Hogarth, ritraendo l’attrice, intitola la tela, con sottile ironia: Lavinia Fenton, duchessa di Bolton

Alla data del 1730 viene messa in scena, all’Haymarket Theatre, la tragedia Tom Thumb, the Tragedy of the Tragedies, opera di un giovane scrittore, Henry Fielding. Nella prefazione, l’autore allude a Grub Street, una strada realmente esistente a Londra, abitata perlopiù da presunti scrittori «che nelle loro pagine immortali, evocano Virgilio, Tacito o Plutarco, e che così facendo danneggiano la nostra società; perché già nelle nostre piccole vicende quotidiane, quelle che il volgo infatti chiama gli autentici libri di storia, ci sarebbe materiale sufficiente per le loro penne». Nel 1728, era stato pubblicato un lungo poema, The Dunciad, anonimo, benché, negli ambienti letterari, aleggiasse più d’un sospetto che l’autore fosse Alexander Pope (a lui è stato concesso l’onore di comporre l’epitaffio sul monumento di Isaac Newton, nella cattedrale di Westminster: «La Natura e le sue leggi erano velate dalla notte, finché Dio disse: che Newton sia! E tutto fu luce»). Il poema racconta di un luogo immaginario, in cui regna sovrana la Stoltezza, vezzeggiata da solerti scrivani che, assorti in voluttuose estasi pindariche, non si avvedono del marciume e del tanfo in cui vivono. In realtà, il poeta allude proprio allo stuolo di scrivani di Grub Street, gli stessi menzionati da Fielding in Tom Thumb

Alexander Pope era stato ritratto nel 1722 da Godfrey Kneller, col capo delicatamente sostenuto dalla mano. Prestiamo ora attenzione a Il poeta in disgrazia, che Hogarth dipinge attorno al 1730. Nella tela è rappresentata la miserabile condizione di un poeta che, incurante della fatiscenza della stanza in cui vive con la moglie e il gatto, rapito dalla propria vena creativa, non presta attenzione neanche alla domestica che reclama un pagamento non riscosso. Confrontando il volto del verseggiatore tratteggiato da Hogarth con il ritratto di Kneller, è legittimo supporre che nelle fattezze dello scrivano sia evocato, con magistrale dissimulazione, proprio il ritratto di Pope, la cui postura sarebbe stata variata nel gesto di scostarsi la parrucca per spulciarsi il cuoio capelluto.


Lavinia Fenton, duchessa di Bolton (1740); Londra, Tate Britain.

Godfrey Kneller, Ritratto di Alexander Pope (1722); Cambridge, St. John’s College.


Il poeta in disgrazia (1730 circa); Birmingham, Birmingham Museum and Art Gallery.

HOGARTH
HOGARTH
Luigi Senise
William Hogarth (Londra 1697-1764) inizia la sua carriera come incisore, diventa poi pittore di ritratti di gruppo per la buona società londinese, si lega al mondo del teatro e della letteratura, fino a definire una sua collocazione originale nel panorama artistico inglese. Diviene in breve il principale illustratore della società in cui vive, nel senso che ne analizza vizi e virtù, con un evidente intento morale, in alcune fortunate serie (le Carriere) di quadri e di incisioni: tra i principali la Carriera di un libertino e il Matrimonio alla moda. Ma non manca di intervenire nelle questioni estetiche che appassionano gli addetti ai lavori, assumendo posizioni decisamente anti accademiche.