Letture iconologiche. 2
Bruegel e gli zingari

IL PROFETA
E IL CHIROMANTE

La lettura di una delle opere più note di Pieter Bruegel il Vecchio rivela l’attenzione dell’artista per gli strati più emarginati della popolazione del suo tempo, in questo caso i rom, qui sorprendentemente posti al centro di una composizione di soggetto religioso.

Bruno Morelli

La Predica del Battista (1566, Budapest, Szépmüvészeti Múzeum) segna un momento particolare, nella pittura di Bruegel, in cui si può ipotizzare una sua presa di posizione in difesa dei rom, perseguitati nel periodo della caccia ai protestanti nei Paesi Bassi, allora territorio sottomesso all’autorità della corona cattolica di Spagna. Un periodo drammatico che vede tra l’altro per reazione da parte dei protestanti la distruzione di molte opere d’arte sacra in nome di un’incontrollata e violenta iconoclastia.

Premesso che gli zingari nella storia dell’arte erano già presenti nella pittura occidentale dall’Alto Medioevo - e che lo sono ancora nell’arte moderna -, nel modo di rappresentarli è possibile leggere una sorta di termometro in grado di misurare la “salute sociale” dei vari paesi.

Esaminando l’opera presa in esame da un punto di vista iconologico, la vediamo ispirata alle Sacre scritture. Giovanni il Battista rivolge la sua predica a un popolo attento e silenzioso, ma vi scorgiamo un elemento anomalo e in totale discordanza con la sacralità del tema: al centro della composizione risalta ben evidente una scena di chiromanzia. Senz’altro l’immagine è da ritenersi blasfema, per quei tempi e quei luoghi.

Essa rompe, o meglio, compromette il contenuto escatologico del soggetto. La nostra attenzione, infatti, cade sullo zingaro indovino posto in primo piano, a scapito del santo relegato in fondo al dipinto.

Il chiromante è avvolto da una coperta a righe (segno distintivo della sua etnia e della sua conseguente marginalità) e legge disinvolto la mano a un borghese; entrambi si mostrano al momento poco interessati all’evento che si sta svolgendo in quel luogo. Mentre il popolino è attratto dalle parole del predicatore, l’uomo, distinto, affida la sua mano al sensitivo.

L’artista non esclude nessuno, si schiera dalla parte dei deboli perché ama il popolo


In fondo, si tratta di una scena classica, la lettura del destino, genere che sarà in voga nel Seicento con Caravaggio e seguaci: Simon Vouet, Georges de La Tour, Valentin de Boulogne, Bartolomeo Manfredi, Nicolas Régnier, Jan Cossier(1).

Il punto è: quale nesso lega la chiromanzia all’argomento del quadro? L’immagine della divinazione, così rilevante nell’opera, poco avrebbe a che fare con il contesto se non tenessimo conto di un fattore politico- religioso alla base di un interrogativo trascurato dalla critica. Probabilmente, la messa in scena è provocatoria. Bruegel inserisce una figura “fuorviante” con il chiaro intento di provocare uno sbilanciamento della “leadership carismatica” tra i due protagonisti, in quella che definirei “disarmonia iconica” tra santo e zingaro. 


La contrapposizione sacro/profano come demarcazione tra due fronti paralleli: il credo religioso e il paranormale


Meccanismo che dunque esige una spiegazione, al di là dell’abitudine dell’autore a ridimensionare i protagonisti all’interno delle proprie composizioni.


Pieter Bruegel il Vecchio, Predica del Battista (1566), Budapest, Szépmüvészeti Múzeum.

Vorrei ricordare, anzitutto, che le frange religiose sia cattoliche che protestanti rifiutavano la chiaroveggenza in quanto atto occulto, e per questo punito con pene corporali(2). E allora, perché mettere in bella mostra proprio lui, l’indovino? Forse ci troviamo di fronte a un Bruegel sorprendente, per il quale l’ambigua rappresentazione troverebbe senso nella sua posizione al tempo critica, per non dire risentita, nei confronti dei proclami restrittivi messi in atto dagli occupanti spagnoli.

Il lato “dissidente” di questo pittore apparentemente mite, per lungo tempo relegato in un ambito vernacolare o popolare, emerge negli studi recenti. Si configura un uomo di certa cultura che, pur amando la natura e la vita semplice, sa usare un linguaggio velatamente critico per esprimere il proprio pensiero. Come nel caso della Predica. Qui, il simbolismo moderato, per ovvie e comprensibili ragioni di prudenza, dà modo all’autore di entrare nel vivo degli scontri teologici, anche sanguinari, di quel periodo, offrendone una propria visione. La sua posizione è conseguenza, per esempio, delle violenze da parte delle truppe del duca d’Alba nella città di Bruxelles nel 1567, inviate da Filippo II.
Il pittore, cattolico, si asteneva dallo schierarsi apertamente o formalmente a fianco di fazioni oltranziste in lotta tra loro, ma l’opera parla chiaro. Nell’elaborare l’immagine, Bruegel trova il luogo ideale per esprimere contrarietà all’editto, già di Carlo V, che doveva espellere tutti gli zingari dai Paesi Bassi. Nel Nord di quelle terre i proclami di espulsione sono pubblicati simultaneamente nelle diverse province; il primo viene affisso in quella d’Olanda nel 1524, l’ultimo in Gheldria nel 1544(3).

Approfondendo l’analisi dell’opera, notiamo che la scena nella scena è ricavata nel pieno di un’assemblea clandestina (le riunioni religiose autonome nelle campagne erano proibite). È chiara la dignità che riconosce alle due categorie sociali minoritarie, quella protestante e quella etnica, entrambe minacciate dal potere assolutista. L’artista, infatti, non esclude nessuno, si schiera dalla parte dei deboli perché ama il popolo. La sua genialità non lo limita al territorio, egli appartiene alla terra, all’umanità. Il suo “sguardo” è al di sopra. Rom e riformati finivano spesso sul patibolo per molto poco. Nonostante i nomadi facessero parte della popolazione, allora come adesso, erano comunque non tollerati perché nemici della “Verità”. Il reato di eresia veniva indicato “in primis” nella loro esibita capacità di predire il futuro.

Il pittore, acuto osservatore del quotidiano, non manca nella composizione di rimarcare la fascinosa presenza della “magia”. Anche se le linee di fuga nel dipinto convergono sul Battista, mantenendo la centralità del tema, nella realtà dei fatti siamo calamitati dal gruppo “alieno” accolto in prima quinta: una famiglia rom composta da madre col bambino, padre indovino, il cliente e il cane. L’operazione fa riflettere sulla contrapposizione sacro/profano come demarcazione tra due fronti paralleli: il credo religioso e il paranormale. Di fatto Bruegel riabilita un’attività vietata dalla Chiesa, la chiromanzia, scostandosi dai dogmi dottrinali. Un atteggiamento a dir poco audace. Inoltre c’è da chiedersi: perché mai un committente avrebbe dovuto accettare una tale “sfida”? Resta un mistero. Possiamo azzardare delle ipotesi, dal momento che risulta sconosciuto l’eventuale destinatario del dipinto. Si tratta forse di un lavoro spontaneo che ha attratto uno dei suoi ricchi e capricciosi collezionisti? C’è da aggiungere che molti rom in quei luoghi avevano seguito il nuovo indirizzo religioso diventando anabattisti.


Nella zona di sinistra in alto, vicino al predicatore, notiamo altre due donne col bambino con in testa un cappello di paglia tondo e piatto per difendersi dal sole, tipico dei braccianti agricoli. Le “romnià” (le donne rom) lavoravano stagionalmente nelle contrade di quei territori. Dunque, rom dentro e fuori dal “coro”. Anche il bosco, in cui l’evento si articola come “casa naturale” degli uomini, non esclude la presenza di un bivacco rom nei paraggi. La “famiglia zingara” che Brugel immortala sulla tavola possiede un valore morale che va al di là della giustizia sociale, nella quale forse l’artista si identifica. Figlio della cultura del Rinascimento fiammingo, preferisce soffermarsi sui particolari, sul reale e sulle dinamiche sociali, lontano dall’antropocentrismo umanista legato alla mitologia classica, tipico della nostra Rinascenza. In conclusione, possiamo affermare che questo pittore è apparentemente limpido e trasparente ma non di scontata comprensione. Il geografo Abraham Ortelius, amico di Pieter Bruegel, scrisse di lui: «In tutte le sue opere bisogna saper intendere sempre più di quel che è stato dipinto», lasciando intuire l’esistenza di un sostrato esoterico nella sua pittura.

Svariate ipotesi si sono avvicendate su quest’opera sin dai tempi in cui il pittore viveva. Marcus van Vaernewyck, letterato e cronista suo contemporaneo, racconta: «Vi si vedeva parecchia gentaglia e, in seguito, a dire il vero, anche altra gente di buona reputazione, timorosa di Dio dalla condotta irreprensibile, anche se a molti sembrava incredibile che persone di questo genere vi fossero presenti». Alcuni studiosi ritengono che Bruegel abbia fatto parte degli anabattisti, ma nessuno studioso lo ha mai dimostrato. Resta il fatto che nella Predica del Battista l’autore ha lasciato un segno indelebile che fa parlare di sé ancora oggi.

(1) Nelle Vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, 1672, Giovanni Pietro Bellori cita la risposta di Caravaggio a chi gli proponeva l’antico come modello:«Chiamò una giovane zingara che passava per caso in strada e, condottola nella locanda, la rappresentò nell’atto di predire la buona ventura secondo il costume delle donne egiziane. Le misero accanto un giovane, che pone la mano guantata sulla spada e tende l’altra, scoperta, a quella che la tiene e la guarda». Il quadro si trova al Louvre. I “caravaggisti” francesi che vissero a Roma, Valentin de Boulogne, Simon Vouet, Nicolas Régnier, hanno dipinto, come il loro maestro, un’indovina in cappa blu bordata di rosso. Cfr. di chi scrive, Athinganos, arte e baratto, Roma 2017.

(2) In P. Bianconi, Bruegel, Milano 1967, p. 188.

(3) Ibidem.

ART E DOSSIER N. 383
ART E DOSSIER N. 383
GENNAIO 2021
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