Grandi mostre. 1
Chen Zhen a Milano

ESPLOSIVO,
DEFINITIVO

Le installazioni di Chen Zhen, ora all’HangarBicocca, raccontano i perpetui passaggi, le “transesperienze” della vita, con riferimenti continui alla contaminazione tra culture, ai cortocircuiti tra relazioni simboliche e quotidianità.

Marcella Vanzo

Chen Zhen esplode immediatamente nelle navate dell’Hangar, un’esplosione silenziosa quella dei tamburi di Jue Chang, Dancing Body - Drumming Mind (The Last Song), che non possiamo suonare: grandi letti e sedie, appesi e ricoperti di pelle tesa, un’orchestra pronta e vibrante, il tuono possiamo solo immaginarlo.

Percussioni animate da musicisti o performer quando è il momento, altrimenti silenziose. Strumenti antichi ed esotici, eppure incredibilmente familiari. E la pelle? La pelle sta per il corpo umano ci dicono le istruzioni per l’uso, contenute nel prezioso libretto che l’Hangar omaggia a ogni mostra.

Il corpo. Il nostro veicolo per vivere nel mondo, per attraversarlo ed esserne attraversati, le nostre spoglie, mortali. Chen Zhen era molto consapevole di essere mortale, a differenza di molti di noi, a causa di una malattia autoimmune. Nato nella Shanghai francese nel 1955, figlio di medici, artista, col suo lavoro ha voluto “curare l’anima delle persone”. Ha vissuto qualche mese coi monaci in Tibet, poi è emigrato a Parigi, è morto nel 2000.

La sua mostra è una storia perpetua di passaggi: da uno stato all’altro della materia, dalla vita alla morte, dall’Oriente all’Occidente. Lui li chiama “transesperienze” ed è una chiave di lettura per l’intera mostra. Ogni lavoro è un ponte tra dimensioni diverse. Incontro una capannuccia, fronde d’alberi; bambù? Un vecchio olivo? È un tempietto per viaggiatori, i buddha appesi all’incontrario sorridono estatici, sovrastati da elettrodomestici in disuso: ventilatori, lavatrici, fili elettrici, cose, che di senso non ne hanno più. Il titolo dell’opera in cinese è Fu Dao/Fu Dao, Upside-down Buddha/Arrival at Good Fortune, gioco di parole perché lo stesso ideogramma significa sia “arrivo della fortuna” che “Buddha a testa in giù”.

Poi teche rosse ricoperte di ideogrammi, tre tombe potremmo dire. Una contiene manoscritti antichi, l’altra tubi di scappamento, l’ultima grandi urne sopra a fornelletti, chissà cosa bolle pentola.

I titoli non li guardo subito, per lasciarmi influenzare semplicemente da quello che vedo. Le immagini che sovrastano questi tre grandi sarcofagi sono quelle in bianco e nero di grandi depositi della spazzatura. Poi scopro che il lavoro si chiama La voie du sommeil - Sleeping Tao e le tre tombe stanno per tre letti, i “kang”, letti invernali cinesi che vengono scaldati dall’interno.


Fu Dao/Fu Dao, Upside-down Buddha/ Arrival at Good Fortune (1997), veduta dell’installazione al CCA - Center for Contemporary Art, Kitakyushu (Giappone).

Sono parecchi gli ideogrammi in questa mostra e sono molto esotici, sono davvero parole che non capiamo, gesti, geroglifici, che ci chiedono di guardare un po’ più da vicino, di sporgerci, di indovinare.


Sono oggetti sfiniti, scaduti, vecchi, rotti, inutili. Chen Zhen dona nuova vita agli scarti, gli stessi in tutto il mondo


Chiedono più attenzione nell’osservazione dell’opera, ci chiedono di capirla oltre i segni. Ed è chiaro il discorso di Chen Zhen perché lui usa materiali di tutti i giorni, anzi li ri-usa. Sono oggetti sfiniti, scaduti, vecchi, rotti, a quel punto inutili. E diventano il cardine della sua opera. Chen Zhen dona nuova vita agli scarti, gli stessi in tutto il mondo. La differenza invece sta nell’utilizzo di oggetti prettamente cinesi, non comprensibili al nostro primo sguardo.

Mi chiedevo cosa contenessero i recipienti di bambù che per esempio fanno da sfondo, da raccoglitore a un lavoro come Daily Incantations. Pensavo a qualcosa da mangiare, olive in salamoia, minestre calde. Invece sono vasi da notte. Che le donne sciacquavano al mattino mentre Chen Zhen andava a scuola. Erano il rumore di sottofondo della sua infanzia che fanno da sfondo a una sfera - un mappamondo? penso - fatta di vecchi stereo, le casse, i fili, radio, mangianastri, tutto quello che è tecnologia obsoleta per far rumore, proprio come i secchi al mattino.

L’auto opaca è ricoperta di insetti che se la mangiano ma a uno sguardo più attento scopriamo che gli insetti sono altre auto molto più piccole, macchinine giocattolo che entrano ed escono come api di un alveare che si è impiantato dentro alla macchina più grande. Un’escrescenza tumorale, un simbolo chiaro, parlante del nostro capitalismo, dell’eccesso della produzione, che ormai attacca se stessa, il mondo ormai attacca se stesso. Ma il titolo è ottimista, questo lavoro si chiama Perseverance of Regeneration.


Perseverance of Regeneration (1999).

Il letto giallo, il letto a dondolo, il letto a specchio, è ricoperto di spilli, di aghi, anzi di punte acuminate alte almeno dieci centimetri e molto spesse. È tanto invitante quanto repellente, questo letto, un simbolo dell’agopuntura, leggo. Ma non ne sono certa, perché l’agopuntura è fatta di aghi quasi invisibili che leniscono il dolore del corpo. Accanto a un’altra cavità fatta sempre dai secchi di bambù - che ora so a cosa servono -, poi, c’è un bellissimo mobile trasparente dove un getto d’aria fa balzare le palline numerate. Bisogna estrarle e vincere al lotto. Un mobile misterioso, una vetrinetta? No, un letto, leggo. Mi piace non capire. Mi piace fare illazioni. Infine, una lettura ed ecco il mistero svelato. Nightly Imprecations, il titolo. Andate a vederlo, fate attenzione.

Poi, Crystal Gazing, un nido grande fatto di perline di legno, al suo interno c’è una sfera piena d’acqua - soluzione fisiologica, mi corregge la guida - che lo riflette, in un gioco continuo di riflessi. Le sfere girano e io giro con loro senza però potermi vedere. Mi trovo ora di fronte a una stanza grigia dove grigi, oltre alle pareti e pavimento, sono gli abiti appesi al muro, il materasso, il carrello pieno di oggetti quotidiani, le bottiglie, la scala, il tavolo, le valigie e tutto quello che potrebbe occupare lo studio di un artista.

Ci sono ruote. Ci sono racchette per camminare, un motorino, alcune sedie, un computer abbandonato su di un mobiletto e un sacco di fili. Pare ceramica che si sfalda, leggo che lo è. Il frigo aperto, vuoto. Gli abiti, appeso al muro c’è un cappello. Sotto al grigio che uniforma tutto. Questa si chiama Purification Room.

Di cosa ci sta parlando Chen Zhen?


Stracci, inestricabilmente legati tra loro, non sono altro che la nostra stessa vita


E subito dopo c’è il suo famosissimo tavolo, il Round Table: quello le sedie per sedersi le contiene e rende impossibile sedersi, insomma diventa un grande pavimento; in mezzo ideogrammi cinesi «grandi temi della dichiarazione mondiale dei diritti umani», mi dice l’opuscoletto. Avvicinatevi, avvicinatevi e leggete, avvicinatevi a sentire, per capire.


The Voice of Migrators (1995).

Mi fermo davanti a un mappamondo fatto di stracci, un mondo che può girare su se stesso, un mondo da cui escono, dagli altoparlanti al suo interno, voci che ci raccontano qualcosa. Stracci quotidiani, golfini da donna, lane di tutti i colori, qualche camicia, un foulard vezzoso, sono inestricabilmente legati tra loro, non sono altro se non la nostra stessa vita, i nostri pezzi, le nostre voci. The Voice of Migrators, più che altro.

Entro in quello che mi pare un cesso pubblico, di legno, diviso in due parti uguali, la parete trasparente, qualcosa non quadra. Donne e uomini? Non capisco. Invento. Mi piace inventare. Monete sul fondo e scritte sul vetro. È un ufficio di cambio e va mantenuto pulito. È un corto circuito, proprio come il titolo della mostra. Al posto della merda, le monetine, l’acqua che in continuazione le sciacqua. Che l’artista ci stia dicendo qualcosa sul denaro? Adoro tutte queste illazioni: capisco, non capisco? Capisco, capisco, questo lavoro effettivamente si chiama Bureau de change.

Un igloo bianco di carta velina ospita quello che sembra un grande calcolatore fatto di tanti abachi di legno attaccati uno all’altro come se fosse un grande computer. Un calcolatore fatto a mano.

Sono parecchi i lavori che si incontrano attraversando le navate fino alla stanza finale, dove una decina di letti diventano fontane, diventano piccoli stagni, anzi lavatoi. Il lavoro si chiama Jardin - Lavoir e i letti contengono gli oggetti di tutti i giorni, quelli con cui mangiamo, quelli con cui leggiamo, quelli con cui dormiamo, quelli con cui lavoriamo, quelli con cui ci divertiamo. O ci divertivamo. Quelli con cui ci vestiamo. Quelli con cui camminiamo. Quelli che inestricabilmente diventano la nostra vita e che hanno appena finito la loro. Uscendo, incontro un’installazione fatta di grandi casse trasparenti rette da tubi innocenti che contengono spazzatura suddivisa per tipo: cavalletti e materiali da artista, avanzi di quadri, avanzi di scope, avanzi di tubi, immersi in acqua e pigmento. Le Rite suspendu/ mouillé. Spazzatura che grazie alla “poiesis” dell’artista diventa cultura. Definitiva, enciclopedica, trascendentale, questa è la mostra di Chen Zhen.


Round Table (1995).

Purification Room (2000); HangarBicocca.


Le Rite suspendu/mouillé (1991); HangarBicocca.


Jardin-Lavoir (2000); HangarBicocca.

Chen Zhen. Short-circuits

a cura di Vicente Todolì
Milano, HangarBicocca
fino al 21 febbraio 2021
orario giovedì-domenica 10.30-20.30
catalogo Skira
www.hangarbicocca.org

ART E DOSSIER N. 383
ART E DOSSIER N. 383
GENNAIO 2021
In questi numero: SAVE ITALY - Attacco al cuore mitteleuropeo; CAMERA CON VISTA - Venezia e dopo; ARTE CONTEMPORANEA - Il plinto sulla High Line; STORIE A STRISCE - Contrabbandieri di storie; ARCHITETTURA PER L'ARTE - In città tra fiumi, laghi, templi e giardini; GRANDI MOSTRE. 1 Chen Zhen a Milano - Esplosivo, definitivo; XXI SECOLO. 1 Restituzioni - Patrimonio di chi?; XXI SECOLO. 2 Musei e decolonizzazione - Alla ricerca di un equilibrio; INTERVISTA- Christian Boltanski - La memoria, il caso; XX SECOLO- Eugenio Garin e Maurizio Calvesi - Il filosofo e il suo “allievo”; LUOGHI DA CONOSCERE - Collezione Marzadori a Bologna - Nel deposito dove regna l’autarchia; PAGINA NERA - Non è degno di un encomio quel dismesso manicomio; LETTURE ICONOLOGICHE. 1 Angelo Caroselli, caravaggista eccentrico - Maghe, madonne e prostitute; LETTURE ICONOLOGICHE. 2 Bruegel e gli zingari - Il profeta e il chiromante; STUDI E RISCOPERTE. 1 L’“infrasottile” di Duchamp: analogie e anacronismi - Al limite della percezione;STUDI E RISCOPERTE. 2 I draghi tra mito e tassidermia - Creatori di basilischi;OGGETTO MISTERIOSO - Quando un’eclissi può far perdere la vista; GRANDI MOSTRE. 2 Antelami a Parma - Un calendario medievale; IN TENDENZA - Un rivoluzionario al ribasso.